Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Fondi e Giulia Gonzaga, la più bella donna del Rinascimento

Posted by on Feb 7, 2020

Fondi e Giulia Gonzaga, la più bella donna del Rinascimento

Fondi è una cittadina del basso Lazio, già Terra di Lavoro, posta sulla via Appia, nell’estremità settentrionale  della piana omonima. E’ centro agricolo (aranci, ortaggi),con industrie di conserve alimentari e succhi d’agrumi.

Fondi e Giulia Gonzaga, la più bella donna del Rinascimento Di origine assai antica, conserva perfettamente  la pianta romana, con gran parte della cinta muraria. Fra i monumenti, meritano particolare ricordo il Palazzo del Principe, castello feudale dei Caetani, poi dei Colonna, in stile catalano, costruito fra il 1466 e il 1477;il castello rettangolare, con tre torri cilindriche merlate, nel quale, nel 1378,fu eletto l’antipapa Clemente VII; il Duomo di S. Pietro, eretto su un tempio di Giove, che ha un portale ogivale con un’edicola gotica e vari bassorilievi e statue, un campanile del 1278,con bifore, un interno con il pergamo di Giovanni di Nicolò (1286) e ricchi mosaici; la chiesa di S. Domenico, costruita sulle rovine dell’anfiteatro romano; l’altra chiesa di S. Francesco, del Trecento, con un portico ogivale e con un chiostro su pilastri ottagonali. L’antica “Fundi” sarebbe stata fondata, secondo la leggenda, da Ercole,a ricordo dell’uccisione dell’abigeo Caco. Famoso il suo vino, il “Cecubo”.

 Nel 1534 la contessa di Fondi, Giulia Gonzaga, vedova di Vespasiano Colonna, teneva nel palazzo baronale di Fondi una lunga schiera di artisti  e di letterati, dove, verosimilmente, si avevano dispute letterarie, per cui la città fu denominata “ Piccola Atene”. Gandolfo Porrino affermò che quella fu “la vera età dell’oro”. Di questo cenacolo fecero parte: Bernardo Tasso, Ippolito de’ Medici, Vittoria Colonna, cugina di Giulia Gonzaga, Francesco Maria Molza, Claudio Tolomei, Mauro D’Arcano, Marcantonio Flaminio, Pietro Carnesecchi, Juan de Valdés, Camillo Soranzo, Francesco Berni, Pietro Paolo Vergerio, il cardinale Ercole Gonzaga, Giovanni Morone. Alcuni di essi, attratti quasi da un fluido magnetico, fecero a gara per conquistare l’amore di Giulia.

La “divina” nobildonna, della celebre casata mantovana, fra le più illustri d’Italia, figlia, per parte di madre, di una Este, partecipava al fervore letterario dell’epoca esercitando sugli uomini una collaborazione indiretta, fatta di mecenatismo e di fascino personale, di grazia e di incoraggiamento.  La contessa ne era ripagata con adulazioni galanti o con sincero, devoto omaggio, se non con venerazione. Morto, dopo due anni di matrimonio, suo marito, Vespasiano I Colonna, nobile guerriero, ma zoppo e malaticcio, la sua anima si volse sempre più al mondo delle cose belle, al culto della letteratura. Era il tempo dei rimatori: nascevano sonetti e canzoni, ballate e stornelli, forme spigliate della poesia popolare, in cui venivano trasferiti in rima gioia e dolori. Era il petrarchismo trionfante ed anche le donne colte ne furono abbagliate.

L’affascinante ed intelligente dama, rimasta vedova a diciotto anni, fu celebrata in versi da Ludovico Ariosto e da Bernardo Tasso. Il primo disse, nel canto XLVI del poema “Orlando Furioso”, che la sua venustà non temeva confronti nella lieta coorte di gentildonne e di uomini del Rinascimento italiano. Ne  riportiamo una quartina: “Giulia Gonzaga, che dovunque il piede / volge, e dovunque i sereni  occhi gira, / non pur ogn’altra di  beltà le cede, / ma, come scesa dal ciel,dea l’ammira”. Il secondo così la cantò:”S’apron due chiare e lucide finestre /Sotto le nere sue tranquille ciglia,/ Onde in questa prigion bassa e terrestre/ Scorger si può di Dio la meraviglia. /…. A quella bocca che perle e rubini / Avanza di vaghezza e di colore…” A lei lo stesso poeta bergamasco garantì l’immortalità: “Viva di “Iulia” il glorioso nome/ Mentre spiegherà il Sol l’aurate chiome”. Benedetto Varchi la definì “immortal dea, spregiar tutte le cose umane avvezza”. Luigi Gonzaga soleva chiamare Giulia “bianco e immacolato giglio”. Il vescovo Paolo Giovio, nel suo “Dialogo delle donne illustri”, scrisse: “Che fiore di giovinezza, che armonia di figura, che candore del viso e della fronte,che venustà di tutta la persona, che vivezza, facilità e semplicità di parola! Diana non è più agile di lei, né Venere più formosa e dolce”.

La vedova di Vespasiano I Colonna fu, nel pieno fulgore della sua bellezza, anche immortalata, per incarico del cardinale Ippolito de’ Medici, vicecancelliere della Chiesa, pronto a rinunciare al laticlavio per sposarla, dai sublimi pennelli di Tiziano Vecellio e di Sebastiano Luciani, meglio conosciuto, quest’ultimo, come “fra’ Sebastiano del Piombo”, che l’hanno raffigurata con un piccolo naso schiacciato e rotondo, con una incantevole boccuccia ed una fronte superba. La fama di così grande virtù e di così sfolgorante bellezza volò lontano, al di là del Mediterraneo, fino ai lidi africani, “in partibus infidelium”,e fu causa di un tragico evento per il contado di Fondi: il più celebre ed audace predatore di quell’epoca, un vero flagello di Dio,il turco Kheyr-ed-din, detto dai cristiani il “Barbarossa”, incantato  della prodigiosa  beltà di Giulia Gonzaga, volendo rapirla per farne gradito dono al suo sultano, Solimano II il Magnifico, fece una fulminea incursione sul Tirreno. Il signore di Algeri, ammiraglio della Sublime Porta, con una flotta di 80 galee, leggere e rapide, dotate di potenti artiglierie, sbarcò,il 6 agosto 1534,a Sperlongae, nottetempo, marciò su Fondi attraversando con i suoi giannizzeri la boscaglia del “Salto”, guidato da un uomo del posto.  Il 9 agosto, allo spuntar del giorno, le truppe ottomane, armate di archibugi, di scimitarre e di archi e frecce, come cavallette voraci piombarono sulla cittadina, dalla porta orientale. Giulia Gonzaga, avvertita tempestivamente da un fido servo, seminuda (aveva addosso solo una leggera camicia di crespo),riuscì a fuggire, secondo la tradizione popolare locale, calandosi da una finestra del palazzo baronale sul ponte levatoio del castello e di lì, valendosi di un’uscita segreta,si dette alla campagna riparando nella munita fortezza di Itri, facente parte del suo contado, sfuggendo al ratto del violento musulmano. Il deluso corsaro, furibondo per aver mancato la bella e ricca preda, con la quale si sarebbe ancor più ingraziato Solimano II, sfogò la sua rabbia su Fondi facendola mettere a ferro e a fuoco dai suoi duemila uomini e facendo trucidare tutti quelli che incontrava sul suo cammino. Fu un massacro che durò 4 ore: il sangue grondò. Solo pochi scamparono alla morte o alla deportazione fuggendo sui monti circostanti. Nella cattedrale di S. Pietro Apostolo il Pascià di Khapudan fece saccheggiare l’altare maggiore e la sagrestia;poi,sprezzante verso le sepolture cristiane, fece scoperchiare dalle sue orde le tombe e spargere al vento le ceneri di Prospero e Marcantonio Colonna. Indi il pirata magrebino  lasciò in balìa dei suoi uomini il monastero delle Benedettine, sito fuori dell’abitato di Fondi, che ospitava 20 monache, che furono violate ed uccise. Una serie di sciagure si abbatté sulla contessa, cosicchè Giulia, disperata, lasciò il guscio dorato di Fondi ritirandosi, nel 1536,a Napoli, nel convento di S. Francesco delle Monache, dell’ordine di S. Chiara, dove passò gli ultimi anni della sua vita ricevendo letterati. Solo alla morte  della Gonzaga, avvenuta nel 1566 nel suddetto convento, dove aveva dimorato per trent’anni, furono scoperte le sue relazioni con il Carnesecchi, impiccato e poi arso, per eresia, con Juàn Valdés (l’ “Alfabeto cristiano” dell’umanista mistico, opera dedicata alla contessa, sua prima e degna discepola, sua figlia spirituale, pone in luce la simpatia con cui lui guardò Lutero, la stessa che ebbe Erasmo) e con molti altri, che, imbevuti di idee riformistiche, furono giustiziati o interdetti. Se ciò fosse stato scoperto prima del suo decesso dal Sant’Uffizio, le sarebbe toccato il rogo come eretica, una bel triste fine. La morte pietosa e tempestiva ve la sottrasse appena in tempo. Era l’epoca dell’Inquisizione, con le sue orrende stragi, le sue torture ed il rogo contro i fautori del Rinnovamento. Pio V, il domenicano Michele Ghislieri, una volta rinvenuto il carteggio, ebbe a dire che,se Giulia fosse stata ancora al mondo,  “l’avrebbe abbruciata viva”, come riferisce un diplomatico vaticano, il Rabbi, al suo governo. Il frate, che aveva dispiegato uno zelo straordinario  come Commissario generale del Sant’Uffizio,”propugnator catholicae fidei”,suscitò il terrore fra gli eretici e i riformatori. Da parte della Chiesa si viveva in “un mondo irrimediabilmente incrinato” dalla Riforma luterana,con scontri,in occasione dei Conclavi, tra re e imperatori. Siamo nel 1571,alle soglie della battaglia di Lepanto, che vide la vittoria della flotta cristiana su quella musulmana. Siamo in epoche in cui sono vivi Michelangelo, Tiziano, Sebastiano del Piombo e Palestrina, che, in onore del pontefice Marcello, compose una bellissima Messa per coro e voci.

Alfredo Saccoccio

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