FRA DIAVOLO E LA REPUBBLICA PARTENOPEA 1799 (3^ PARTE)

Istoria delli fatti accaduti a D. Michele Pezza dal giorno 17 DICEMBRE 1798 PER LA RIVOLUZIONE ACCADUTA NEL REGNO DI NAPOLI ALL’ENTRATA DE’ FRANCESI[1].
Essendo giunto l’ordine del Tenente Generale il Duca della Salandra, che tutte le popolazioni si fossero armate in difesa del nostro amabilissimo Sovrano Ferdinando IV Dio Guardi contro l’infame sedicente Repubblica, essendo D. Michele Pezza alias Fra’ Diavolo della Terra d’Itri provincia di Terra di Lavoro attaccato alla Corona, subito cominciò a fare unione di altri[2], scrisse lettere circolari per tutti i Paesi vicini che si fossero armati prestamente, e tutti si fossero portati da lui in Itri, anche coloro che armi non avessero, che dal medemo se li sarebbero date, in maniera tale che in termine di giorni quattro strinse da circa 10.000 [sic] uomini, e si portò subito nel Fortino chiamato S. Andrea, che sta situato nella strada che da Itri si cala alla Città di Fondi unico passo che da Roma si viene nel Regno circondato da montagne, dove stava il Comandante per nome Sicardi. Questo comandava cinque pezzi di cannoni, e teneva sotto di se da circa 1.000
[f. 2] uomini di Fanteria, Cavalleria, Fucilieri di Montagna ed Artiglieri, e si presentò dal suddetto Comandante con tutta la sua gente, a cui il Sicardi gli disse che colà non bisognavano, ma che l’avesse guardato le spalle che per il Fortino penzava lui, a cui rispose il Pezza che per le spalle non dubitasse, e stesse pur sicuro; allora subito si partì colla sua
gente, e la divise ne luoghi più opportuni che lui stimò, per dove i Francesi potevano passare per impadronirsi del Fortino, cioè a Sperlonga, a Migliograna, a Vallefredda, alla Madonna della Civita, S. Nicola ed altri luoghi, ed erano dalle Università mantenuti di tutto il bisognevole di bocca e di guerra.
Come di fatti giunti i Francesi nella città di Fondi non mancavano di andare a stuzzicare i suoi, per poter passare avanti, ma sempre erano respinti colla perdita di più Francesi, che un giorno l’inseguirono sin’ a vicino Fondi, dove presero 400 castrati, che i Francesi tenevano, e furono condotti in di lui potere, e fu fatto il calcolo de’ morti francesi da circa 300,
[f. 3] e cinque prigionieri, che furono mandati in Gaeta, altri furono trattenuti ed impediti, per non farli passare circa giorni undeci sempre coll’armi alla mano, di giorno e di notte in mezzo alle gran nevi di cui erano coverte quelle montagne, ma il giorno 29 dicembre 1798 verso la sera s’intese sparare tre colpi di cannone, e poi non s’intese più niente. Credendo il Pezza essere cosa da nulla, ma che ad un’ora della notte giunse un corriere al medemo, e gli disse che il Comandante Sicardi aveva reso il Fortino senza fare alcuna resistenza.
Sentendo questo si restrinse quella poca gente che potè per portarsi alle montagne di Gaeta per poter dare ajuto alla detta Piazza. Ma il fatto si fu che al far del giorno li furono addosso circa 3000 Francesi, con quali stiedero più di otto ore a far foco, e ne massacrarono più di 300, e gl’ altri perseguitarono fin’ a Gaeta, credendo il Pezza non si fusse resa la Piazza, ma il fatto si fu che la trovò resa; avendo ciò inteso tutta la sua gente si scoragì, e subito depositò l’armi per andar nelle loro case, e salvare le proprie famiglie, dal che restò il Pezza
[f. 4] con soli 24 uomini, che non sapeva il medemo cosa farsi.
In capo a sei giorni risolse, e disse a suoi compagni andiamo in Itri a massacrar quei pochi Francesi che vi sono, come di fatto andiedero, e trovarono circa 60 Francesi, che una quantità furono massacrati, ed altri perseguitati fin’a Castellone, e poi ritornarono indietro, ed andiedero a sonare le campane ad armi, al che tutto il popolo corse, ed armossi fin’anche le donne, per cui da diverse donne furono ammazzati molti Francesi; nell’istesso giorno ne massacrarono una gran quantità tutti della piana maggiore, che passavano colle carrozze, come benanche fermarono un corriere che portava una cassa di proclami per affiggerli per i paesi, e fu fatto prigioniere un Generale ed un Colonnello, al che penzò il Pezza portarli prigionieri in Napoli al Generale Pignatelli, per aver dal medemo soccorso di armi e munizioni; giunto che fu a Sperlonga per imbarcarsi, trovò colà circa venti Francesi, e cominciò a far foco, e ne ammazzò sette, ed un Commissario ed un [f. 5] giacobino fece prigionieri, che in unione degl’altri due condusse in Napoli.
Giunto a Napoli si portò dal Generale, e gli disse che avea portato quattro prigionieri, gli rispose il Generale che li avesse portati al Granatello, che colà avrebbe trovato un Aiutante, al quale doveva consegnarli, come infatti fu eseguito; dopo averli consegnati il Pezza con altri due suoi compagni ritornò in Napoli, e tre altri suoi compagni rimase a guardare li prigionieri; la mattina susseguente si portò di bel nuovo dal Generale, quale pregò che l’avesse data una barca, armi con munizione di guerra, che in capo a giorni sei l’avrebbe ripigliato la Piazza di Gaeta, ma niente li rispose, nè volle darli niente[3]. Ciò vedendo si portò subito al Granatello, per chiamar li suoi compagni e portarli nella loro patria, ma il fatto si fu che non trovò li suoi compagni, nemmeno li prigionieri, solamente li disse un soldato che nella notte antecedente era venuta una compagnia di Cavalleria da Napoli, e si aveva portato li prigionieri e li suoi compagni in Caserta; sentendo questo si portò subito in Napoli, e prese altri due compagni e si partì per Itri.
Colà giunto di nuovo incoraggi li suoi compaesani, e li portò seco per affrontarsi col nemico, che veniva per abbatterli, che appena fu veduto che si cominciò un vivo fuoco, che non cessò un momento, ma durò circa due ore, e morirono de Francesi da circa 100, ed il restante
[f. 6] fu perseguitato fin a Gaeta, che di timore abbandonarono un carro d’armi ed un altro di munizione e 10 cavalli; questa funzione continuò giorno per giorno, più volte i Francesi tentavano abbatterli, ma sempre valorosamente erano conquassati giornalmente colla perdita di quaranta e cinquanta, senza li feriti, che si fece il bilancio delli morti circa 500 tra soldati e piana maggiore. Per fine li mancò la munizione, son venuti li Francesi, si fece quanto si potè, per cui convenne fuggire, e loro s’impadronirono del Paese, dove fecero sette giorni di sacco, e massacrarono da circa 50 paesani tutti di età avanzata, fra’ quali il capo fu suo Padre. Qual cosa saputasi da suoi figli senza badare al pericolo della vita, uno se lo prese sopra le spalle e l’altri collo schioppo alla mano si fecero strada in mezzo alle sentinelle francese [sic] di notte, e nella sua Chiesa lo seppellirono.
Allora restò con soli 27 uomini e si portò in Maranola, e subito risvegliò tutti quei Paesi convicini, cioè Maranola, Triulo, Casitelnuovo, Spigna, Traetto, S. Maria della Lefna, Pulgarino, Castelforte, Salvagana, le Fratte, Coreno, e radunò da circa 1.700 uomini, di più fece una lettera circolare per tutto lo stato di Sora, Abbruzzo, in nome di Sua Maestà Re delle due Sicilie, quale intesisi subbito abbandonarono le loro famiglie e si avvalse delle seguenti espressioni, cioè:
Eccomi vicino a voi miei cari figli, in breve
[f. 7] sarò tra voi, e non credete che io vi abbia abbandonato e rimasti in preda dell’inimici, il rammarico della mia partenza fu grande, colpa non fu la mia, ma de miei Ministri. Eccomi che sono tornato con una grande Armata, di mare e di terra, e viene in mio soccorso il Sacro Romano Impero, l’Impero Ottomano, oltre altre Potenze. Cari vassali siatemi fedeli, perchè non sarete oppressi: guai a coloro che ànno detto, mentre nell’avvenire non ci sarà chi possa frangere Leggi sì sante,’ che il mio Figlio, vostro Figlio, invigilerà sopra tutte le Provincie per formare la felicità de miei Popoli. Cari vassalli siatemi fedeli, ed il Ciel vi assiste.
Mare di Brindisi mese di gennaio 1199. Vostro Padre e Re Ferdinando IV.
Quale intesi, subito abbandonarono le loro famiglie, e presero le armi in difesa del nostro amabilissimo Sovrano.
Dopo d’ aver ristretto la gente si portò a fronte del nemico che stava al Garigliano, e ne massacrò un gran numero, e poi tagliò il ponte al Garigliano; il giorno seguente vennero circa 4.000 Francesi, ed attaccarono un vivo fuoco, che durò circa tre ore, e siccome era forza maggiore li convenne fuggire, e dopo due giorni si portò nella strada, dove loro dovevano
[f. 8] passare, come in fatti vennero circa 300 con 27 carri di munizione di guerra, quali furono disfatti, ed ànno preso tutta la munizione. Ma sentendo [che] in Traetto stavano lentamente con i suoi andiedero ad assaltarli, e [li] massacrarono senza che ne fusse scappato uno al numero di 242, dove il Pezza si fortifìcò; dopo son venuti con forza maggiore ad attaccarli, e-combattendo valorosamente col nemico restarono i Francesi vincitori convenendo a loro fuggire, che appena sono entrati saccheggiarono, ed ammazzarono una gran quantità di paesani con mandare a fuoco la città; i morti francesi restarono senza numero che restarono in loro potere.
Dopo altri tre giorni si son fatti avanti di bel nuovo, gli ànno sciacciati [sic] dalla detta città che tutti si son ritirati al Garigliano, e perseguitandoli valorosamente l’hanno anche discacciati dal detto luogo, con farli fuggire più di un miglio verso Capua, poi nel giorno [stesso] levarono il ponte di nuovo, e lasciarono una guardia per non far passare nessuno, e si portarono a Gaeta, per affrontare ed abbatter l’ infame nemico, che poco ci voleva a rendersi. Ma in questo momento venne il capoposto che stava al Garigliano, e gli disse [che] erano passati
[f. 9] colle barche più di 4.000 Francesi, e stavano poco lungi da loro. Sentendo i suoi soldati questa notizia fuggirono tutti ne loro paesi, così ancora lui fece lo stesso, ma poi fu appurato bene che erano 400 che cotesto capoposto fece passare, che se non fusse questo tradimento accaduto, avrebbero occupata detta Piazza.
Mentre stava restringendo la sua gente, i Francesi di notte si son fortificati, e formarono di nuovo il ponte al Garigliano, e ci posero quattro pezzi di cannoni, e ci accamparono da 500 uomini, e si ritirarono di nuovo in Traetto, ed in tutti quei paesi che da mano in mano la strada conduce a Roma, ma niente più poterono acquistare mentre li facevano in ogni parte ostacolo, ma bensì non passava giorno che non fussero andati ad attaccar fuoco, che sempre fu sparso gran sangue, non potendo assaltar Traetto per il motivo che si son provveduti di cannoni, ma vedendo ciò il Pezza prese quartiere poco distante da loro.
La mattina delli due di febbraro giorno della Madonna Nostra Signora, si trovò un prete il quale disse figlioli sentiamoci la Messa, che la Madonna ci faccia portare vittoria in questo giorno, per poter superare l’infame nemico. Al che il Pezza per non [f. 10] contradire disse a suoi sentiamola, ma per celebrare la Messa non si trovava pronto il calice, nè tampoco l’ostia nella Chiesa, tutto si stava cercando sin anche le candele per pigliar tempo, acciò li Francesi l’avessero colti nella Chiesa. Dopo tanto tempo si disse la Messa, si voltò il sacerdote e disse diciamo le litanie alla Madonna; allora lui disse non serve dir litanie dobbiamo andare al nostro destino, mentre stavano uscendo dalla Chiesa s’intese gridare all’armi, all’armi che si accostava il nemico, come in fatti lo era; ritrovandosi la sua gente così all’improvviso si sbaragliarono ponendosi tutti a scappare, e lui restò con soli cinque uomini, trattenendo li Francesi circa due ore colla morte di 83 individui fra quali erano 30 uffiziali francesi; vedendo poi che da Traetto usciva altra forza li convenne fuggire per salvare la propria vita.
Il giorno seguente tornò con pochi uomini nella strada dove quelli passavano imboscandosi nel loro passaggio attaccando un vivo foco colla morte di 50 Francesi, soldati di Cavalleria, dove presero 14 carri di
[f. 11] prigiotti, un altro carico di apparamenti di Chiesa; il giorno dopo prendendo cammino verso Traetto per attacar l’inimico dove riceverono più di 600 scoppettate per cui la sia gente tutta l’abbandonarono, ma nulla esso curando ostinatamene li prese 19 vacche, che trasportava avanti un villano verso Traeto; alla fine vedendo che la sua gente voleva lasciarlo solo prese viaggio ed andiede a trovar la sua famiglia, per vedere se erano vivi o moti in Itri.
Dopo che restò con soli 27 uomini, e sempre facendo imboscate per non far passare anima vivente, che tanto le carrozze del nemico quanto i soldati dovevano morire, dopo fatto un attacco subito: ritirava alle montagne, ma non sempre nell’istesso luogo, ma in diverse parti, conforme venivano le spie, che dicevano dove passar dovevano i Francesi, là subito s’imboscava. Un giorno venne un aviso che passar dovevano i carri coverti che Chiambionetti portavi lui subito si portò ad aspettarli, e dopo che vennero detti carri accompagnati da 70 uomini di Cavalleria, quali furono tutti massacrati e presi detti carri, credeva esser danari, o argenteria, ma in un solo erano danari, e negl ’ altri tutti vestuarii della truppa, ma preso detto
[f. 12] bottino con i suoi si ritirò col suo destino.
Di nuovo se li scrisse da Castelforte che si fusse là portato con dirli che si erano radunati circa 4.000 uomini, allora non tardò subito andiede, perchè sapeva che ogni giorno venivano i Francesi ad inquietare, che un giorno avevano portato un mortaro per le bombe cannoni dicendo voler distruggere detto paese, ma ogni volta che son venuti erano respinti colla morte di molti loro individui, che tra morti e feriti furono circa 300 che l’imbarcarono e mandarono in Gaeta, mentre una persona suo strettissimo amico quanto si faceva in Gaeta tutto li avisava, e sempre tentavano di distruggere la sua gente, nè li riuscì, che anzi un giorno li prese sin’ anche li cannoni, e furono buttati nel Garigliano per non poterli portare nel Paese dove stava per cagion delle montagne. Aveva lui ben’ anche in detto Castelforte quattro pezzi di cannoni di legno che pochi colpi potevano sparare, che servivano per dar terrore al nemico, per cui dopo li soldati Polacchi e Francesi
[f. 13] quando erano comandati per Castelforte gli pigliava il diavolo, che sempre erano battuti valorosamente, che furono costretti abbandonar quel luogo per non essere tutti massacrati.
Vedendo il Pezza che non venivano più a tentare il Paese, risolse della sua gente formar due colonne, una dovea batter Traetto, Garigliano, Mola e Castellone, e l’altra Itri e Fondi per poi uniti batter la piazza di Gaeta, ed in fatti ha combattuto colli Francesi a Fondi ed Itri colla colonna da lui comandata, de quali porzione furono morti, ed altri perseguitati per fìn’ allo Stato Romano; la colonna di Traetto la fece comandare da un fuciliero di montagna chiamato D. Antonio Guisa, ma nel mentre si battè colla città ebbe la disgrazia il detto comandante di perire, bensì fu presa Traetto, ma tutta la gente si scoraggi, per non aver chi li comandava, perciò non eseguì quanto il Pezza l’ aveva ordinato. Mentre lui si portava in Gaeta, li giunse un corriero dicendo che la
[f. 14] gente se nera andata vedendo la morte del detto Guisa; in quell’istante giunse una colonna innumerabile del nemico, e si ripigliò Traetto, dove massacrarono circa 400 uomini e donne, e ci sono incappati circa 60 della sua truppa, e poi si sono incamminati verso Castelforte. Ciò lui sentendo si portò subito a dar ajuto a quella povera gente, ma giunto che fu in quelle vicinanze intese che stavano per entrare in detto paese, e per mancanza di munizioni si dovea rendere, ma bensì morireno circa cinquecento cinquanta Francesi[4].
Avendo il Pezza questo inteso disse che non dubitassero che pensava lui per la munizione, ed avendo inteso che era giunta in Procida l’armata inglese, e di fatti trovò una barca, e si portò da loro in Procida per aver munizione; appena arrivato fece passare imbasciata al Comandante Dobrits, con dirli che era colà giunto Fra’
[f. 15] Diavolo, che voleva comunicarli alcune cose. Appena intese il Comandante il suo sopranome, subito lo fece salire a bordo, e lo ricevè benignamente, dopo un lungo discorso li offrì qualunque danaro hi volesse, a cui rispose che danaro non li necessitava, che n’avea bastante, solo era venuto a pregarlo per armi e munizione di guai, che di questo ne avea bisogno. Allora il Comandante l’inviò col suo interprete Cianchi, e comandò al Governadore, allora D. Michele de Curtis col quale anche lui parlò, e li fece l’istessa offerta di danari, e lui rispose l’istesso, al che prontamente li diedero due cannoni, e tutta la necessaria munizione di guerra.
Ritornato che fu al suo destino, ritrovò solo 20 uomini al Garigliano, dove sbarcò li cannoni, e pensava portarli in Traetto, che aveva inteso colà dovevan venire circa 200 Francesi, pensando tra se stesso se il nemico viene si piglierà i cannoni, e noi ci convien fuggire; dopo verso un ora di notte fece attaccare li cannoni, e portare nella strada vicina Scavora [sic]; e là situarono
[f. 16] li cannoni, pensando che se loro vengono non possano passare per altro luogo ma solo per qua, ed allora si farà quanto si può. Ma buona sorte si fu che nessuno si vidde al far del giorno, e subito vennero circa 300 uomini delli suoi, e così si son portati sopra Maranola la quale è situata sopra una montagna, che li cannoni si dovettero portare a schiena di cavalli, dove si formò un quartiere di ritirata, aspettando per restringere tutta la gente che in termine di dieci giorni radunò circa 1.000 uomini, e 700 stavano in Itri comandati da suoi fratelli che impedivano il passo per il mare e per terra alli corrieri, e non lasciavano passare nessuno, che non fosse visitato; come passavano i corrieri, così erano arrestati e prese le balice, con lettere, che si trovavano, ed all’istante erano spediti per Procida per farli ricapita quanto prima nelle mani di Sua Maestà nostro Sovrano.
[F. 17] Di più di questo ha avuto due corrispondenti in Gaeta che erano provisionati, che non tralasciavano giornata per farlo inteso di quanto si faceva dal nemico per essere più sicuro ad affrontarlo; oltre di questo i sudetti fecero una gran provisione di carne salata col suo consenso, in maniera che s’inverminì, e tutto dovettero buttare in mare, che questo ancora fece rendere prima di due mesi la Piazza perchè li mancò la provisione, e sentendo che i Francesi volevano sortire da detta Piazza di Gaeta, subito si sono imboscati che il giorno 10 maggio fecero un gran massacro, che tra morti e feriti furono più di 160, ed il restante perseguitarono fino a Gaeta.
Pochi giorni dopo che fu il giorno di S. Marciano fecero una imboscata al ponte di Castellone che passavano 200 Francesi, tanto furono battuti che nessuno potè scappare per portare la notizia in Gaeta, che tutti furono massacrati, dopo di ciò ognuno se n’ andiede al suo destino, rimanendo lui solo con solo 40 uomini in Mola. Intanto vennero due trabacoli per mare, menando cannonate da per tutto, e neppure loro hanno
[f. 18] risparmiato di sparare. Nel tempo che si faceva questo foco, ecco che se ne vengono 700 Francesi colla Cavalleria davanti, alla vista de quali il Pezza con [un] suo compagno sparò, e n’uccise due, dove si fece un gran fuoco, e li trabacoli da mare si accostavano, sparando cannonate e mitragliate; lui intanto ciò vedendo con i suoi compagni se n’andiedero al loro destino, perchè erano pochi, e non potevano far resistenza, che se i Francesi volevano venire sopra Maranola l’aspettavano, dove stava lui colla sua colonna; ma non si sono rischiati di andare, e subito hanno saccheggiato Mola e Castellone, e si sono ritirati in Gaeta.
Dopo giorni due venne un corriere con dirli che in Mola son giunti 30 Francesi con due barche a macinare il grano, allora lui prese 100 uomini, e si portò colà, e massacrarono circa tutti 30 Francesi, e presa tutta la farina la portarono al loro luogo. A capo di pochi giorni calò a Castellone con tutta la sua gente, dove formò quartiere, e poi giunse il suo fratello D. Giuseppe Antonio con altra gente da Itri, e due cannoni, i quali
[f. 19] furono conquistati dal medesimo. Dopo si sono accostati verso Gaeta per conquistar detta Piazza, al che immediatamente si portò il Pezza per parlar colli Inglesi, ed andiede a bordo di un brigantino, che poco distante stava; in questo momento sortirono i Francesi dalla Piazza colli cannoni e colla Cavalleria, attaccarono il foco, che durò circa due ore, e che dalli nostri hanno pigliato due cannoni, lo che accadde per non essere presente il Pezza, che non potendo arrivare prima, per il contrario tempo, ma alla fine arrivò lui, e ricuperò un barile di munizione e molte armi di diversa qualità, e di bel nuovo si situò a Castellone, e non fece passare neppure la paglia per i cavalli.
Dove stiede fin tanto che sono arrivate due galeotte, quattro bombardiere e quattro lanzoni da Procida, e così si son portati di nuovo all’assedio che fecero sì stretto, che neppure poteano sortire per prendersi un poco di verdure dalli giardini sotto la fortezza, e non passava giorno che non avessero tentato di sortire contro di loro, ma sempre colla perdita di più Francesi, che sempre vergognosamente si sono ritirati. Nel[le] loro sortire che facevano erano tre colonne, una veniva di fronte, l’altra per la montagna, e la terza andava a saccheggiare il borgo, ed il Pezza gli perseguitava che doveano lasciare quanto aveano fatto; ma di ciò
[f. 20] sdegnato, ben tre volte li avisò che fussero l’abitanti usciti dal borgo, e levato ogni cosa per non dare modo al nemico che col saccheggio si fusse rinforzato. Alla fine alle sue voci non volendo ubbedire, colla sciabola alla mano gli scacciò, dicendo a suoi scarpitti che non avessero portato riguardo a nessuno, qual cosa fu di molto danno a quelli del borgo, ma dovette farlo per levare ogni forza al nemico, e per farli più presto renderli andava di nascosto a dar fuoco travestito in più forme alla munizione della polvere che avevano sopra la fortezza, che li riuscì una volta mandare in fumo da 50 artiglieri, per cui da quel giorno in poi i Francesi furono privi dell’artiglieri sopra la fortezza.
Altra volta con 20 uomini sciolti andiede a tagliare li capi delli pozzi per tutti li giardini che bagnavano le verdure, e così li riuscì disseccarle tutte acciò non avessero avuto neppure erba da mantenersi i suoi nemici; un giorno si avanzò sotto le mura con un suo compagno, avendo veduto che avanti la porta di Gaeta stava un uffìziale francese con pippa in bocca e libro in mano seduto ad una sedia nell’erba con un soldato di guardia avanzata di sua difesa; accostatisi a tiro di scoppo [sic], lui vestito da scarpitto colla
[f. 21] carobina [sic] e ’l suo compagno da uffiziale colla sciabola, il quale ebbe un archibusciata, ma non lo colpì; allora lui disse voglio veder se il colpo della mia carobina lo sgarra, ciò dicendo sparò, al che si vidde in un punto andar su sopra l’uffìziale, il libro, la sedia la pippa, ed il soldato se la scappò, e così li riuscì guadagnar quella pippa che lui da lontano si aveva prefisso pigliarsi, per cui a questo cimento si espose.
Di più due suoi ciacchetti continuamente insultavano sotto le mura i Francesi, dicendo loro ha [sic] striga galline, mangia lardo uscite a combattere, uno de quali con un colpo di cannonata fu spezzato per mezzo per troppo azzaldarsi [sic]; questo saputo il Pezza si rammaricò da una parte ma si contentò, perchè questo ne avea ammazzato più degl’altri, mentre quando sortivano i Francesi di notte a rubar verdure e frutta ne giardini, il ragazzo sotto le foglie folte ed alte di cocozze nascosto li ammazzava, e lui colle proprie mani lo seppellì in una Chiesa vicina in un vaso di pietra dove si poneva l’acqua santa per non esserci ivi luogo di sepoltura, e di più li bruggiò da circa mille e duecento tomola di grano ammetati avanti le mura, per non darli modo da vivere.
[f. 22] I Francesi un giorno vollero armistizio dal sudetto Pezza; diede pranzo a tutti l’ufficiali che si mangiarono come tanti lupi molti prigiotti e frutta, oltre di molto pane e vino e mezzo barile di acquavite che aveva fatto [venire] a posta per incoragirsi con i suoi nell’attacchi. Per cui li dissero quanto siete velenoso in battaglia tanto siete amabile nella pace. Per cui obligati invitarono anche lui nella piazza a pranzo, e lui rispose non poterla [sic] servire, mentre non poteva muoversi una pedata senza ordine del Sovrano; ma almeno li dissero si fusse trattenuto un ora per avere il piacere di farne il ritratto, nè ce l’accordò, sicché licenziati si ritirarono nella piazza, e disperando si dicevano abbiamo a combattere con tutte le corone, ed anche con un Diavolo in terra.
Una mattina fece un entrata falza a vista del nemico con 500 uomini, carri ed altri equipaggi con cassa battente che i Francesi si credevano essere altra truppa di linea venuta, per cui intimoriti non sortivano più dalla fortezza, ma pure un giorno vollero tentare alla disperata, ed il fatto si fu che mai non successe tanto di loro massacro quanto quella mattina da circa più di 200, e ne furono appiccati per i macelli e per gl’albori come tanti porci, che il Comandante di detta piazza si mandò a lagnate con dire che queste non erano azioni di guerra, e da lui li fu risposto prontamente che non l’avrebbe fatto, se non l’avesse imparato da loro, i quali poco prima aveano trovato tredeci [sic] de suoi e l’aveano fatti a pezzi a colpi di accetta, dicendo loro fate de nostri quello che volete, che se venite nelle nostre mani faremo quel che ci piace.
Dopo questo fatto d’ armi non s’ intesero fin tanto non si fece
[f. 23] la capitolazione[5]; allora gli disse il Comandante francese che [se] per giorni tre non si fusse capitolato si doveva rendere per fame giacché nel mentre era durato l’assedio si cibavano di solo pane e lardo ed acqua, consistente assegnato per ciascheduno [era] mezza libra di pane e due oncie di lardo, e che un piede d’insalata si pagava un carlino; dopo che si sono imbarcati il Comandante li disse che fra mesi sei si sarebbero veduti di bel nuovo, a cui il Pezza rispose spero dal Signore di vederci in Parigi prima di cinque mesi.
Dopo presa la consegna di detta piazza si portò in Napoli alle prime [sic] di agosto a bordo da Sua Maestà giusto quel giorno che sarpò [sic] la sera da Napoli per Palermo, che dopo gran piacere di Sua Maestà in averlo la prima volta veduto con quei Signori che li facevano corono [sic] encomiandolo e lodandolo della sua brava condotta e fedeltà se li domandò sera casato, o soluto, volendolo premiare con superbissime e nobilissime nozze, a cui lui rispose d’ aver dato parola[6] ad una giovine, nè potea mancarla, essendo sempre stato il suo carattere di un uomo fedele; di che dal Re e da quei Signori ne fu lodato come uomo fedele ed onorato, poi li disse che fosse
[f. 24] partito per la conquista di Roma, e concertato prima col Cardinal Ruffo.
Come di fatto a 23 di agosto da Castellone la mattina di venerdì licenziatosi dalla moglie e suoi parenti dopo otto giorni di matrimonio partì, con 3.000 uomini tra scarpitti, Fucilieri di montagna ed un battaglione di campagna e treno di artiglieria, e li furono consegnati due cannoni e tutto il bisognevole da guerra, con tutta la munizione e ducati 4.000 che arrivato in Terracina li consumò per la paga de soldati, e subito dovette cercar danaro per mantenimento della truppa, e prese come fece molta robba de Giacobini dalle mani de consegnatarii con suoi ricivi; avendo inteso che i Francesi aveano disfatta la colonna di un certo calabrese chiamato Rodio in Frascati di Roma, quale colonna per aver dato il sacco ed incauti nel dividersi e vendersi la robba in Marino, fu assalito da i Francesi colla perdita di molti [e] fuggì fin dentro l’ Abbruzzo, al che lui subito si avanzò e si portò in Velletri
[f. 25] da dove promulgò proclami con affiggerli dentro le mura di Roma di notte nascostamente del tenore seguente, cioè[7][:]
Ferdinando IV, per la Dio grazia Re delle Due Sicilie, di Gerusalemme ecc., Infante di Spagna, Duca di Parma e Piacenza, Castro, Gran Principe Ereditario di Toscana. Fabrizio Cardinal Ruffo Vicario Generale del Regno di Napoli. D. Michele Pezza Comandante e Generale della Regia divisione che forma l’ala sinistra dell’Esercito di S.M. che marcia verso Roma.
Dopo le paterne premure che si è dato S. M. di riacquistare quella porzione del suo Regno di Napoli, che per disegno dell’ insensato Giacobinismo era stata sovvertita ed invasa da i Francesi, onde riportare a suoi buoni ed amati sudditi la pace, la giustizia ed il buon ordine originario della sola onestà cristiana, per il di cui fine
[f. 26] appunto il Creatore dell’Universo ha dato i Re alle Nazioni, si è pure la Maestà Sua determinato di far inoltrare le sue vittoriose truppe in questo Stato Romano, richiamato dalla premura di tranquillizare anche questi Popoli suoi limitrofi e salvare la S. Chiesa già illanguidita per assicurar la pace dell’Italia, nella quale va ineressata. E siccome per li gloriosi ed interessanti oggetti è intenzione della Maestà Sua che vi concorra più la ragione propria del [sic] uomo da bene, che la forza imponente ed estesa delle sue armi, e specialmente di voi Popolo Romano, che solo rimanete ancora sotto di quella violenza che vi produce un governo tumultuante destituito di dritto, di leggi, e principii: siete perciò con il presente editto chiamato dal pietoso cuore della
[f. 27] Maestà Sua ad interessarvi in questa santa, giusta e devota causa, con promettere che sebene siete concorsi colle armi alla rovinosa ed abominevole sacriliga Democrazia, che vi andava a distaccare dal Vangelo e dalla vostra stessa felicità ne rimarrete non solo perdonati, subito che deporrete le armi, e verrete a presentarvi a me, o ad altro Comandante delle Regie Truppe sia generale o locale o dei suoi Alleati, ma ben’anche sarete premiati, preferiti e ricombenzati; persuasi come dovete essere che la sola benignità sovrana si è quella propria del suo Reale animo si e quella che vi dispensa questa indulgenza per somministrarvi un mezzo per farvi salvi ed immuni; poi che se mai sarete trovati colle armi alla mano, allora verrete trattati come veri ribbelli
[f. 28] figli della perfidia e dell’errore, e soffrirete soli e non mai altri il saccheggio stato vietato alle Reali Truppe.
Dato in questo Quartiere di Velletri 9 settembre 1799.
- Michele Pezza Fra Diavolo.
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