Alta Terra di Lavoro

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Fra Diavolo, “Quell’uom dal fiero aspetto…”

Posted by on Set 11, 2019

Fra Diavolo, “Quell’uom dal fiero aspetto…”

continua la pubblicazione degli interventi dei presenti all’inaugurazione del busto di Fra’ Diavolo che oggi vede come protagonista Erminio De Biase

Finalmente, grazie a chi s’è dato tanto da fare per questa storica iniziativa ed agli sponsor che ne hanno consentito l’attuazione, Fra Diavolo, al secolo Michele Pezza, ha da oggi un monumento nella sua città. Per chi non lo sapesse, in Tedesco, la parola monumento si traduce Denkmal: la radice dell’etimo è denk, la stessa del verbo pensare, riflettere. A questo deve servire un monumento, a richiamare alla memoria qualcuno che, in vita, si elevò rispetto agli altri per pensieri, per gesta. Da oggi in poi, dunque, chi passerà davanti al busto di Michele Pezza, che stasera sarà scoperto, andrà col pensiero alla memoria di un Eroe unico, superlativo. Da oggi, passando davanti all’erma, un padre potrà indicare al figlio con orgoglio l’effigie di un valoroso combattente e raccontargli la sua storia… Siamo ai tempi di Ferdinando IV di Borbone, a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo, epoca in cui le invasioni francesi interessarono anche l’Italia ed il Regno di Napoli. Fra Diavolo, al secolo Michele Pezza, tra guerriglia e missioni regolari, con geniale audacia e con coraggio, difende i suoi territori, fino alla fine, fino al sacrificio estremo. Egli possedeva un naturale intuito militare che avrebbero potuto invidiargli molti ufficiali regolari, sia francesi che napoletani, dai quali non era benvisto: invidia e gelosia facevano in modo che fosse sempre avversato. Più di una volta, fu dato ordine di arrestarlo per… indisciplina, ma Michele Pezza, colonnello di fanteria, grado conferitogli direttamente dal Re, se ne infischiava di quei capoccioni e li ripagava con olimpico disprezzo… Come si legge in qualche sua biografia, mai egli avrebbe potuto accettare l’odiato dominio di quei maledetti francesi che gli avevano ucciso il padre e devastato il Paese… Indomito difensore della sua Patria, deciso a battersi contro di loro fino alla morte, piombava all’improvviso addosso al nemico e lo sterminava; assaliva i rifornimenti, sorprendeva i corrieri e sequestrava i dispacci e gli ordini di movimento… Risoluto e rapido nelle mosse, si appostava nei passaggi obbligati, attaccava gli accampamenti, faceva saltare le artiglierie, si dileguava per i monti e, quando meno se lo aspettavano, se lo ritrovavano addosso accanito, indocile, risoluto, implacabile; con marce e contromarce disorientava gli inseguitori, piombava sui presidi lasciati nei paesi e, in unione con la popolazione, ne faceva strage… Lo davano in un luogo e, contemporaneamente, dispacci ufficiali lo segnalavano dalla parte opposta. All’audacia e al coraggio con cui si era sempre battuto si accompagnava una fervida capacità manovriera ed un’inventiva classicamente napoletana. Il suo nome correva su tutte le bocche, impressionando, con le sue azioni, anche i comandi francesi: un giorno, il comandante francese dell’11° fucilieri, ridendo di lui, sprezzantemente esclamò: “Lo vorrei proprio conoscere!” La notte, mentre dormiva, sentì sbattere le imposte delle finestre; s’alzò atterrito, accese il lume: Michele Pezza gli stava davanti con due pistole in cintola. …Il colonnello francese non ebbe più la forza di sorridere. Si ritenne morto. Ma Fra Diavolo gli fece capire che non correva nessun pericolo. Lo invitava per il giorno dopo a una colazione sull’erba che il colonnello, passato il pericolo e richiusa la finestra, si guardò bene dall’accettare… Onestissimo nel maneggiare denaro, si preoccupava soprattutto della paga dei propri uomini, rimettendoci anche personalmente e tutto quanto requisiva ai francesi veniva girato ai suoi soldati. Più di un documento in cui sono annotate spese sostenute per la truppa e richieste di risarcimento dimostra che Fra Diavolo non era affatto un volgare brigante ma aveva la sensibilità di un galantuomo. Paradossalmente, dopo aver fatto parlare di sé tutta l’Europa e dopo aver rappresentato il più temuto avversario dell’esercito francese, a Napoli non viveva certo in condizioni di agiatezza e, per di più, anche in un clima a lui alquanto ostile. Ciò nonostante, rimase sempre fedele al trono. Michele Pezza era un uomo fuori dal comune: possedeva una personalità volitiva, decisa e catturante, incline alla seduzione, perspicace. Creativo e fantasioso, rivelava una marcata capacità camaleontica, grazie alla quale riusciva a “giocare” tra il fantastico ed il reale e, nell’azione, ad ingannare mediante la sorpresa. Per esempio, una volta, con pochi uomini al seguito, si imbatté in uno squadrone di cavalleria francese. Pareva non ci fosse via di scampo quando, all’improvviso, ricorrendo a quella sua naturale creatività ed alla fantasia di cui era dotato, gettato via il cappello e mostrandosi spaurito, si fece legare insieme con uno dei suoi uomini ed ordinò agli altri di dire di essere della guardia nazionale che, tra strattoni ed insulti, portavano a Napoli due briganti. Il comandante dello squadrone francese ci cascò e li lasciò passare e, dopo qualche minuto, gli rintronò alle spalle una scarica di fucili. Fra Diavolo non aveva potuto fare a meno di rivelargli l’inganno… Determinato nel conseguire un obiettivo, nel suo animo gli slanci di generosità si accompagnavano ad una notevole aggressività. Non faceva, tuttavia, trapelare il suo intimo stato d’animo né le variazioni d’umore ed all’esterno la sua personalità appariva sempre affidabile. Tutti connotati, questi, che a ben vedere, erano confacenti e funzionali al suo ruolo di stratega militare. La figura di Michele Pezza è diventata leggendaria grazie, prevalentemente, all’apporto di una letteratura internazionale che, diverse volte, si è ispirata al fascino del suo nome. Anche una minima ma eclatante filmografia che, pur collocandolo in uno spazio ed in un tempo diversi da quelli che lo videro protagonista, ha contribuito ad imporlo alla memoria collettiva. Altresì la musica, con l’opera lirica di Daniel Auber ha alimentato il suo mito. Opera a sua volta ispirata ad un dramma di Jean Antoine Cuvelier dal titolo Fra Diavolo capobrigante sulle Alpi, scritto nel 1808, vale a dire solo due anni dopo la morte del nostro eroe, a riprova che divenne subito un mito. Ciò nonostante, fino ad oggi, ci hanno insegnato a considerare “nostri” eroi un soldato torinese che si fece saltare in aria, tal Pietro Micca, un Giambattista Perasso, meglio noto come Balilla, per aver scagliato un sasso contro un soldato austriaco, un Amatore o Antonio Sciesa, solo perché disse tiremm innanz… Tutti settentrionali, comunque, nessuno del Sud. Eroi qua non ce ne sono, non debbono esserci. Il suo nome è giunto fino a noi, come un’eco smorzata, grazie al titolo di qualche vecchio film o a quello di un’opera lirica ma, per saperne di più, bisogna scavare in quella che io definisco la storia alternativa, quella dei perdenti e, forse, proprio per questo, la vera Storia. Anche se Fra Diavolo fu a tutti gli effetti un autentico eroe, nei libri di scuola e nella storiografia ufficiale egli è totalmente ignorato; al limite, lo si liquida semplicemente con l’epiteto di brigante. Un appellativo che verrà reiterato anche per quegli insorgenti che, dopo il 1860, presero le armi contro l’invasore, questa volta piemontese. Insomma, per dirla breve, tutti i patrioti che hanno difeso la Patria Napoletana e per essa hanno combattuto e sono morti, sono considerati briganti. Ed i loro nomi sono inesorabilmente riportati solo nella pagina dei cattivi nel libro della storia scritta dai vincitori. La parabola gloriosa di Michele Pezza si conclude nel 1806. Tradito da un farmacista di Baronissi, fu preso dai francesi e portato a Napoli per essere impiccato. Lo stesso colonnello Sigisbert Hugo, che con tanta tenacia lo aveva rincorso e alla fine arrestato, chiese a quel malefico burattino che era Giuseppe Bonaparte, la fucilazione, anziché l’impiccagione, per il suo prigioniero. Ma fu inutile. Al colonnello Michele Pezza fu anche proposto di servire sotto la bandiera francese, conservando tutti i privilegi del suo grado: egli, però, sdegnosamente rifiutò: “Ho giurato fedeltà al mio sovrano e preferisco sfidare mille volte la morte anziché tradire il mio giuramento.” Affrontò la forca con assoluta dignità, a mezzogiorno dell’11 novembre, in Piazza Mercato. Finalmente, dunque, con questo monumento, si cominciano a rendere gli onori che Egli ampiamente merita; si cominciano a disperdere le nebbie che ne offuscano i meriti. Non è stato certo impresa facile collocarlo: è stata un’impresa ardua attuarla. E ciò rende i meriti di chi l’ha compiuta ancora più straordinari.

Erminio de Biase

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