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FRA’ DIAVOLO, TRA FEDE BORBONICA E FEDE ALLA SUA TERRA, QUASI “UNA QUESTIONE PRIVATA”

Posted by on Mar 23, 2021

FRA’ DIAVOLO, TRA FEDE BORBONICA E FEDE ALLA SUA TERRA, QUASI “UNA QUESTIONE PRIVATA”

Fra’ Diavolo, al secolo Michele Pezza da Itri, rappresenta, indubbiamente una di quelle figure che riassume, nella sua complessità e contraddizione,  il particolarissimo rapporto  nel tempo, delle genti del meridione italiano con i Borbone.    

La sua vicenda biografica e le sue scelte di campo filomonarchiche, che affondano le radici in una religiosità ancestrale  precristiana dai risvolti magici e profondamente  legata alla terra, costituiscono l’emblema di una adesione ( talora vasta ) delle popolazioni rurali meridionali sia all’ istituzione monarchica che a quella ecclesiastica.                                                                                                               

Basti pensare alla spedizione sanfedista del cosiddetto esercito del cardinale Ruffo che risalì il Regno delle due Sicilie per scacciare le truppe napoleoniche all’inizio dell’800.                                                                                                                       

E’ una delle molteplici, stridenti contraddizioni di un Regno che, da un lato, si distinse, primo in Europa, nella grande produzione artigianale ceramica, nell’industria meccanica ( la prima nave da guerra a vapore d’Italia ) e manifatturiera,  nelle comunicazioni ( la prima galleria ferroviaria al mondo nei pressi di Nocera ),  nonché in un vivace fermento culturale di stampo liberale che interessò  non soltanto la capitale Napoli ma anche altre città, ma che, per un altro verso, si rese protagonista di durissime repressioni libertarie e restaurazioni politiche  inesorabili.                                                                                    

E’ inammissibile, da questo punto di vista, una lettura riduzionistica che imputi taluni atteggiamenti popolari soltanto all’ignoranza delle masse rurali, peraltro comune a tutta la penisola italiana, mentre un’analisi intellettualmente onesta dovrebbe  contemplare tutti gli elementi culturali via via stratificatisi in quel patrimonio collettivo ( greco, normanno, svevo, aragonese, arabo, angioino ) che di fatto, determinavano delle microidentità neanche tanto nascoste sotto una forma statuale apparentemente unitaria.                                                                                                            

Ma nell’economia della Storia il destino della monarchia borbonica era probabilmente già stato scritto nel panorama  generale europeo, con l’apporto decisivo della piccola e media nobiltà del regno, in particolar modo siciliana, che mal sopportava la subordinazione gerarchica  alla corona napoletana.                                     In questo contesto, la figura di Michele Pezza, figlio della piccola borghesia agraria, capace di sollevare le masse di Lazzaroni ma anche di microcriminali, costituisce un contrappasso potente nella difesa del trono e di una certa idea monarchica rispetto all’inettitudine e al tradimento dei vertici militari borbonici in prevalenza originari d’oltralpe ( come il generale austrico Mack, comandante dell’esercito ) e alla nobiltà di sangue, molto spesso opportunista e voltagabbana.                                                                                                                           

 Le gesta di Fra’ Diavolo, proprio in quanto irregolari nella tecnica della guerriglia, in grado di mantenere in scacco a lungo l’esercito francese, preceduto nella sua avanzata dall’aura libertaria napoleonica, dovevano risultare intollerabili non solo nelle conseguenze pratiche militari ma ancor prima e ancor più nell’aspetto simbolico e propagandistico.                                                                                                     

E proprio quel suo saio che lo legava indissolubilmente al retaggio culturale di fede superstiziosa e popolare conferiva alle sue tecniche di guerriglia l’aspetto del portentoso, dell’epifanico sacrale e del misterico.                                                                                                  

Quanto di più sideralmente distante dallo spirito illuminista che le armate napoleoniche si arrogavano di raffigurare sui loro vessilli !                                        

Ne deriva che, immediatamente dopo la sua morte per impiccagione a Napoli, si mettesse in moto, inesorabile, il processo di falsificazione della sua vicenda biografico-militare  fino a un tentativo di vera e propria damnatio memoriae a cui, a vario titolo ed interesse, molti parteciparono.                                                                                                          

In questo genere rientra, a tutti gli effetti, una sua falsa biografia, scritta da Bartolomeo Nardini nel 1801 e tradotta mirabilmente per Edizioni confronto dal francese da Alfredo Saccoccio, acuto ricercatore storico, concitaddino di Fra’ Diavolo e profondo conoscitore del territorio itrano.                                                                                                                         

Le vicende narrate sono completamente inventate fin dal luogo di nascita spostato da Itri, ora provincia di Latina, addirittura nei pressi di Catanzaro in Calabria per poi attribuire il suo saio alla monacazione forzata imposta al giovane Michele dalla famiglia mentre la reale motivazione era stata rappresentata da un voto espresso dalla madre per la guarigione del figlio da una misteriosa malattia. Fino alla morte per la causa repubblicana e non per quella borbonica alla quale la fedeltà di Fra’ Diavolo non venne mai meno.                                                                                                                 

Eppure un comun denominatore le due storie lo condividono.                             

L’innesco della catena di eventi e di azioni, frutto più o meno di scelte dirette del nostro personaggio, è costituito in entrambi i casi da quella che potremmo definire una questione privata.                                                                                              

Nel racconto del Nardini il primum movens della reazione violenta di Fra’ Diavolo è la sua forzata monacazione che gli avrebbe impedito, tra l’altro, di frequentare la donna di cui era innamorato.                                                                                         

Nella vicenda reale l’arruolamento forzato nell’esercito borbonico è l’escamotage per sfuggire alla condanna a morte per un duplice omicidio commesso.                                                                                                                                      

In entrambi i casi alla radice delle scelte che condurranno Michele Pezza ad imprese sempre più mirabolanti e dagli effetti più generali e macroscopici vi sono accadimenti strettamente personali.                                                                                                                          
Dal microcosmo individuale, dunque, al macrocosmo collettivo.                                        

E così, curiosamente e paradossalmente la vicenda di Michele Pezza si muove in direzione ostinata e contraria rispetto al mainstream dei moti rivoluzionari ottocenteschi risorgimentali con una coerenza interna così stringente da unire, allo stesso tempo, violenza spietata e talvolta gratuita alla lealtà quasi commovente alla causa borbonica.                                                                                                                   

Un convoglio della storia su un binario parallelo ed un senso di marcia opposto a quello percorso a gran velocità dal treno del cambiamento napoleonico.                                                                                                                           

Un binario, che presto si rivelerà un binario morto o, più propriamente un binario di morte sul quale verranno abbandonati al loro destino lazzaroni sanfedisti ( eccetto, ovviamente, quelli che cambieranno casacca ).

Ma il panno grezzo di quel saio che rivestì di una religiosità primaria e quasi pagana le gesta dal sapore guerrigliero di appartenenza quasi tribale condivide una più larga cultura popolare che proprio nella figura del munaciello unisce mistero, furbizia, indolenza e coraggio della tradizione partenopea.                                                                                                                             

Fra’ Diavolo, in definitiva, non poteva che nascere nel Regno delle due Sicilie.                                                                                                             
Dovremmo chiederci: Michele Pezza, altrove, forse, sarebbe stato solo un soldato impavido o uno strano criminale?                                                                         

La vicenda reale è ovviamente quella, le narrazioni inventate ed alternative, numerose, ma, appunto, solo fantasiose.

Paolo Fiore

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