Alta Terra di Lavoro

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Fra’ Diavolo vive ancora nello spettacolo “Voci, suoni e canti di Briganti in Terra di Lavoro”

Posted by on Set 24, 2025

Fra’ Diavolo vive ancora nello spettacolo “Voci, suoni e canti di Briganti in Terra di Lavoro”

Gianandrea de Antonellis

Nuova versione dello spettacolo “Voci, suoni e canti di Briganti in Terra di Lavoro

«Beato il popolo che non ha bisogno di eroi». L’intento pacifista e egualitarista di chi scrisse tale frase è indubbio, ma essa può essere letta anche in un altro senso: beato chi non ha bisogno di eroi – o di danaro, o di cibo o di qualunque altra cosa – perché ne ha già, non perché non ce ne sia bisogno.

Ad un popolo – a qualsiasi popolo – sono necessari gli eroi. Ecco perché siamo naturalmente attratti, fin da fanciulli, dalle vicende di eroi storici o letterari: Ettore e Achille, Orazio Coclite e Muzio Scevola, Attilio Regolo e Filippide, Lancillotto e Galvano… E, crescendo ne incontriamo altri, più vicini ai nostri tempi, non privi di macchia e di paura come i Cavalieri della Tavola rotonda, ma concreti e, almeno in parte, degni di essere presi ad esempio. Nel Regno di Napoli possiamo enumerare il Gran Capitano, Ettore Fieramosca, Masaniello da Sorrento e il suo omonimo amalfitano, il Cardinal Ruffo, il Principe di Canosa…

Soffermiamoci un momento sull’eroe popolare (per non dire plebeo) per eccellenza, Masaniello d’Amalfi.

Una celebre ballata (moderna) napoletana narra così la sua fine:

A lu tiempo de chisti scunfuorte

Masaniello è bestuto da muorto.

Dint’’a nicchia ’na capa cu ll’ossa

nce ha lassato ’na coppola rossa.

Chesta coppola dà ’na voce,

quanno ’a famme nun è doce,

quann’’o popolo resta ’ncroce,

quanno pave ’stu tributo

pure ’a tassa ’ncopp’’o tavuto.

A lu tiempo de chisti scunfuorte

Masaniello è bestuto da muorto.

Masaniello s’’o credono muorto…

Masaniello – divenuto (a torto) un simbolo rivoluzionario (in realtà la sua rivolta era pienamente antirivoluzionaria, perché volta a ristabilire la tassazione precedente, il rispetto del diritto napolitano e, soprattutto, scoppiò al grido di «Viva il Re di Spagna! Muoia il malgoverno!») – viene così visto come l’incarnazione del Volksgeist, dello “spirito del popolo”, pronto a sollevarsi in caso di soprusi da parte dei (mal)governanti di turno…

Ma se, grazie a una abile falsificazione storiografica dura a morire, Masaniello è diventato un simbolo (a torto, ripeto) dello spirito rivoluzionario, risulta assai più difficile trasformare in progressista un campione del legittimismo come Michele Arcangelo Pezza (1771-1806), capomassa divenuto colonnello dell’esercito napolitano, creato Duca di Cassano da Ferdinando IV, universalmente noto con il soprannome di Fra’ Diavolo.

«La sinistra non riconosce grandi avversari: o non li considera grandi o cerca di arruolarli tra le sue file» è in sintesi il pensiero espresso a suo tempo da Marco d’Eramo sull’inserto culturale del «quotidiano comunista» il manifesto (23 giugno 1988). Così, non potendo “arruolare” Fra’ Diavolo come aveva fatto con Masaniello, il pensiero liberale decise di svalutarne il ricordo, e lo fece grazie all’opéra-comique intitolata appunto Fra Diavolo ou L’hôtellerie de Terracine (1830) musicata da Daniel Auber su libretto del celebre Eugène Scribe e di Casimir Delavigne (massimo poeta liberale della Francia di Luigi Filippo, ovvero “intellettuale organico ante litteram). In questo lavoro teatrale, il coraggioso insorgente viene ridotto a un ladro gentiluomo che usa il proprio fascino seduttivo per derubare ricche viaggiatrici. Un “ottimo” modo per gettare fango su una fulgida (e scomoda) figura, che un secolo dopo ebbe un ulteriore cassa di risonanza grazie all’omonimo film comico con Stanlio e Ollio (1933).

E così, la memoria storica viene offuscata dal velo che la letteratura (in senso ampio) ha artatamente steso su un vero e proprio eroe popolare, capace di resistere ai tentativi di “comprarlo” da parte dei Francesi che, al tempo della seconda occupazione militare, lo avevano catturato e cercavano di farlo passare nel proprio esercito, mantenendogli grado, soldo e titoli, «perché quando si è giurato, si è giurato!». Quanti altri militari e nobili hanno dimostrato la forza di fare la stessa scelta di coerenza? Forse il solo Principe di Canosa…

Conscio della falsificazione storiografica che sta schiacciando Michele Pezza, Claudio Saltarelli ha quindi deciso di ampliare, rispetto al testo originale elaborato alcuni anni fa, il monologo di Fra’ Diavolo, scritto ed interpretato in lingua laborina da Raimondo Rotondi ispirandogli dei cambiamenti al fine di esaltare gli autentici valori come uomo e come guerriero: maggiore spazio alla descrizione delle operazioni militari (non nel senso di ricostruzione delle battaglie, ma per evidenziare l’incapacità dei colonnelli di carriera, magari prestati dall’esercito austriaco, «che erano figli e nipoti di colonnelli», ma che male sapevano adattarsi alle nuove strategie imposte dall’armata napoleonica, mentre le bande di insorgenti, con tattiche da guerriglia, anziché con battaglie campali, riuscivano a fiaccare il nemico) e, soprattutto sottolineare la chiusa, spingendo il pubblico a una completa identificazione con l’eroe napolitano.

Queste, a un dipresso, le parole conclusive del monologo:

«E così, l’11 novembre 1806, morì il colonnello Michele Arcangelo Pezza. E con lui morì anche il Duca di Cassano. Ma invece non morì Fra’ Diavolo. Perché Fra’ Diavolo rinasce sempre, in ciascuno di noi». E più e meglio della “coppola di Masaniello”, la sciabola del colonnello Michele Arcangelo Pezza, Duca di Cassano, definito ad un tempo con disprezzo “brigante”, ma chiamato “Fra’ Diavolo” perché imprendibile, può chiamare alla rivolta verso l’oppressore (sia esso un esercito invasore, un governo giacobino o uno Stato liberale) tutte le categorie del popolo: i militari grazie al suo grado, i nobili grazie al suo titolo, il clero grazie al suo appellativo di “frate” ed anche gli strati più semplici della popolazione con l’esempio della sua ascesa, dovuta solo ed esclusivamente al suo coraggio, dimostrato con i fatti e non con le parole, durante il cupo periodo dell’invasione francese.

E fondamentale è la chiusa del brano: «Mettatevélle ’ncape: la storia re Fra’ Diavule è la storia vostra. Chi ve la vo’ fa scurda’ nen ve vo’ bène».

Gianandrea de Antonellis

chi fosse interessato ad avere informazioni sull’opera “Voci, suoni e canti in Terra di Lavoro” contattare Claudio Saltarelli al numero 339 169 9422 oppure scrivete ad info@claudiosaltarelli

lo spettacolo integrale di seguito

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