Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Francesco GUERRA un soldato del Re in alta Terra di Lavoro

Posted by on Dic 12, 2017

Francesco GUERRA un soldato del Re in alta Terra di Lavoro

Francesco Guerra era nato nel Comune di Mignano il 12 ottobre 1836 da Michelangelo e Angela Maria Verducci, proprietari del luogo. Come sergente del disciolto Esercito delle Due Sicilie, partecipò alle Battaglie del Volturno nell’ottobre del 1860, dove il suo reparto si sbandò sotto l’azione incalzante delle truppe volontarie garibaldine. Rientrato nel comune di residenza, sorvegliato continuamente per i suoi trascorsi borbonici, veniva arrestato nei primi mesi del 1861. Rimesso in libertà, unitamente al fratello Serafino, si associò, come si narrava, alla banda di Angelo Maccarone, la quale scorreva le campagne del Mandamento di Roccamonfina. I luoghi principalmente infestati dalla banda Guerra furono le località montuose del Cesima, del Massiccio del Matese e le coline che si estendono tra Mignano, Roccamonfina e Galluccio; zone queste dove Guerra godeva di una larga e sicura protezione da parte delle popolazioni. Il 6 dicembre 1862, il Sottotenente Salla, comandante il distaccamento della 13^ Compagnia del 20° Fanteria di Linea di stanza in Roccamonfina, trovandosi in perlustrazione nel tenimento di Marzano con 15 militari, si scontrava con tre briganti della banda Guerra. Immediatamente la truppa aprì il fuoco contro di essi, ma senza alcun successo. Inseguitili inutilmente per un buon tratto di cammino, i briganti trovarono rifugio nei fitti boschi di castagno. Fu riconosciuto soltanto il brigante Carlo Giuliano. Da Vallemarina, zona boscosa e impervia di Roccamonfina, dove il “Sergente” Guerra aveva posto il suo quartiere generale, partirono i briganti per assalire il Villaggio di San Castrese di Sessa Aurunca il 9 luglio 1863. Ancora da Vallemarina, prese consistenza una nuova azione brigantesca della banda Guerra, con destinazione il vicino Comune di Galluccio. I briganti, tra cui alcuni travestiti da carabinieri, trascinavano legati, due finti arrestati, per confondere eventuali incontri con reparti militari. Giunti nel paese, assalirono l’abitazione del Sig. Cordecchia, benestante liberale del luogo, devastandola e saccheggiandola di ogni sua avere, con un danno al proprietario di oltre 10 mila Ducati. Indi la comitiva di “birbanti” si spostò nella vicina Chiesa parrocchiale dove, per rispetto e devozione alla Madonna, non ebbero il coraggio di rubare i preziosi che in quel momento il parroco stava mettendo al sicuro. Si accontentarono, come vuole la tradizione orale, di mangiare e bere molti boccali di vino dei colli Aurunci, generosamente offerti dal Curato, in segno di scampato pericolo. A sera, di ritorno per il segreto rifugio di Vallemarina, furono intercettati dalla Guardia Nazionale di Roccamonfina, dai Carabinieri Reali della locale Stazione e da un drappello del 2° Fanteria, nei pressi di Sepicciano di Galluccio. I briganti, in fuga, abbandonarono sul terreno alcune monete d’oro rubate al Sig. Codecchia, dei barili di vino e altri oggetti. La tattica adottata dalla banda Guerra nel corso di questi iniziali episodi di brigantaggio, fu quella di utilizzare la tecnica della guerriglia, cioè di fuggire sempre dinanzi alla forza pubblica incaricata per la sua distruzione, salvo nel caso di trovarsi in numero abbastanza superiore ad essa. Una volta intercettata dalla truppa, la banda prendeva tante direzioni quanti erano i suoi briganti, per riunirsi dopo in un punto precedentemente designato a seconda le località attraversate. Come altro elemento determinante per la sua sopravvivenza, la banda eseguiva dei rapidi spostamenti, di regola notturni, per evitare l’incontro con i militari, o di attraversare all’improvviso la Provincia di Terra di Lavoro per internarsi nelle altre contermini, favorita anche dalla inadempienza e poco sollecitudine che avevano i Prefetti di informarsi vicendevolmente alla notizia dello sconfinamento delle bande brigantesche. E questo fu uno dei motivi di richiamo ai Prefetti delle Province Napoletane da parte del Ministero dell’Interno. L’ordine perentorio del Ministro per giungere all’eliminazione della banda Guerra e delle altre presenti sul territorio, era quello di perseguitarle costantemente ed incessantemente. Alcuni giorni dopo, Silvio Spaventa, Direttore Superiore per la Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, allertava il Prefetto di Caserta e per esso il Sotto Prefetto del Circondano di Gaeta, sulla presenza sospetta del piroscafo Papiro battente bandiera francese, lungo il litorale di Formia e recante un carico di armi nascoste in botte contenente pesce, da sbarcare clandestinamente ai briganti.…… il 1868 sarà l’anno dell’irreversibile declino del brigantaggio in quasi tutte le Province del Meridione d’Italia, compresa quella di Terra di Lavoro e il Ministero dell’Interno, d’accordo con quello della Guerra, allo scopo di dare un indirizzo uniforme alla persecuzione del brigantaggio convocava in Firenze, i Prefetti delle Province di Aquila, Caserta, Campobasso e Benevento. In seguito a quella riunione ministeriale venne stabilito di affidare al Maggiore Generale Cav. Pallavicini di Priolala direzione di tutte le operazioni contro il brigantaggio nella citate Province. Per quanto riguardava l’attuazione delle misure repressive, l’Alto Ufficiale inviava ai Prefetti e Sotto Prefetti interessati, un’essenziale normativa alla quale tutte le Amministrazioni Civili e Politiche, inclusa l’Arma dei Reali Carabinieri, dovevano adeguarsi. Dal punto di vista militare, veniva costituito un Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio nelle Province di Terra Lavoro, Aquila, Molise e Benevento, con sede in Caserta. I risultati non tardarono a venire. L’11 marzo 1868, le formazioni riunite di Michele MarinoAlessandro Pace e Giacomo Ciccone, sul Colle Cavallo di Presenzano, si scontrarono, con ingenti perdite, con una formazione mista di soldati del 27° Fanteria e Guardie Nazionali di Mignano, Galluccio e Roccamonfina. Caddero in conflitto lo stesso Capobanda Marino da CervinaraDomenico Gargaro da CervaroDomenico Savastano da Roccamonfina e Antonio Luongo da Rocca d’Evandro. Furono fatti prigionieri: Angelo Santo nato a S. Apollinare e le brigantesse Giocondina Marino, incinta al quarto mese, compagna di Alessandro Pace, nata a Cervinara il 1842, Carolina Casale, incinta al quinto mese, pure da Cervinara, compagna del brigante Michele Luppiello di Roccamonfina, Maria Capitano da San Vittore, compagna del brigante Luongo. A sera, da Monte Caselle di Venafro i fuggitivi, inseguiti dai reparti di fanteria, si ritirarono verso i boschi di Roccamonfina. Uguale sorte toccò alla comitiva di Domenico Fuoco 2°cugino dell’altro Capobanda, sbaragliata il 14 aprile 1868 sul Monte Pizzuto. Con il capo caddero i briganti: Federico D’Asti da Galluccio e Angelo Gilardi da Caspoli di Mignano. Furono fatti prigionieri: Ferdinando e Federico Jacopone da S. Ambrogio di Cassino, Domenico Rossini da Galluccio, Giovanni Sana da Roccasecca e Gian Battista Venafro da Caspoli di Mignano. All’inizio del mese di agosto una commissione di proprietari di Mignano, Galluccio e Roccamonfina si presentò in Caserta al cospetto del Generale Pallavicini per far presente il continuo pericolo al quale erano esposti i cittadini di quei Comuni per le continue incursioni delle bande GuerraPace Ciccone e Fuoco e anche, per i molteplici arresti di conniventi o presunti tali, da parte dei militari. Il Generale, con toni suadenti e con minacce di severe misure restrittive, tali da rendere Mignano una vera e unica prigione e renderla tristemente famosa negli annali del brigantaggio, convinse i componenti della Deputazione, di attivarsi per la distruzione di dette bande, ricorrendo anche a un servizio di delatori prezzolati. Queste pratiche e la paura delle deportazioni di massa, diedero proficui risultati. Il 30 agosto 1868, un vecchio proprietario di Mignano, ex manutengolo e massaio di uno dei componenti della Commissione, informava il Capitano della Guardia Nazionale del suo paese sulla presenza della banda Guerra nelle vicinanze della sua masseria. Immediatamente, Truppa, Carabinieri e il Capitano della milizia civica a nome La Ricca con sei suoi subalterni, uscirono dal divisi in più drappelli. La spedizione, guidata da un certo Giovanni De Cesare del luogo, era comandata dal Maggiore Lombardi del 27° Fanteria, raggiunse la masseria situata sotto il Monte Morrone: “Erano le 10 di sera, pioveva a dirotto ed un violentissimo temporale accompagnato da forte vento, da tuoni e da lampi, favoriva maggiormente l’operazione, permettendo ai soldati di potersi avvicinare inosservati al luogo sospetto; da qualche tempo si stavano perlustrando quei luoghi accidentati e malagevoli perché coperti da strade infossate, burroni ed altri incagli naturali, già si perdeva la speranza di rinvenire i briganti, quando alla guida venne in mente di avvicinarsi a talune querce che egli sapeva alquanto incavate, ed entro le quali poteva benissimo nascondersi una persona. Fu buona la sua ispirazione, perché fatti pochi passi, e splendendo in quel momento un vivo lampo, scorse appoggiati ad una di quelle querce due briganti, che protetti un po’ dalla cavità dell’albero ed anche da un ombrello alla paesana che uno di loro reggeva, cercavano ripararsi dalla pioggia. Appena scortili, la guida li additò al Capitano Cazzaniga, che presso di lui veniva con qualche soldato appena; il bravo Capitano non frappone indugio, non cerca di far fuoco, ma sbarazzato anche del fucile che teneva, con un salto fu addosso a quei due ed afferratone uno pel collo, lo stramazza al suolo e con lui viene ad una lotta corpo a corpo, finche venne dato ad un soldato di appuntare il suo fucile contro il brigante e di renderlo cadavere. Pare che uno dei proiettili (giacchè il fucile era stato caricato a pallettoni), passando attraverso il petto del brigante andasse a colpire nel dito pollice della mano sinistra del Capitano, che avvinghiatolo con entrambe le braccia, gli impediva qualunque tentativo di fuga. Quel brigante fu subito riconosciuto pel capobanda Francesco Guerra, ed il compagno che con lui s’intratteneva, appena visto l’attacco, tentò di fuggire; una fucilata sparatagli dietro dal medico di Battaglione Pitzorno lo feriva, ma non al punto di farlo cadere, che continuando invece la sua fuga, s’imbatteva poi in altri soldati per opera dei quali venne freddato. Esaminatone il corpo, fu riconosciuto per donna e quindi per Michelina De Cesare druda del Guerra. Poco distante vari soldati con qualche Carabiniere s’incontravano con altri due briganti pure appoggiati ad un albero; attaccati risolutamente ne cadeva subito ucciso uno, che poi riconosciuto per Orsi Francesco di Letino; l’altro poté sfuggire, ma inseguito da vicino da un Carabiniere, s’ebbe una prima ferita, finche capitato negli agguati di altra pattuglia, cadde anch’egli colpito da due colpi di revolver sparatigli a brevissima distanza dal Sottotenente Ranieri. Anche questo brigante venne poi riconosciuto per Giacomo Ciccone, già capo idi sanguinosissima banda ed ora unitosi al Guerra; fece uso delle sue armi quando si vide scoperto, e dotato di una forza erculea, oppose la più accanita resistenza tentando di aprirsi un varco frammezzo ai soldati. Altri tre briganti che stavano un po’ più lungi dai due gruppi menzionati, poterono al primo rumore salvarsi gettandosi nei burroni in quella località cosi frequenti. Due di costoro si sono già presentati, per cui si può con tutta certezza affermare che di tutta la banda Guerra, non n’e rimasto che uno solo…”.(*) Il giorno dopo i cadaveri dei quattro briganti vennero esposti nella piazza di Mignano, guardati da soldati armati. Il Generale Pallavicini, “gongolante di gioia, andava dicendo: Ecco i merli, li abbiamo presi” ………….

 

(*) Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio nelle Provincie di Terra di Lavoro, Aquila, Molise e Benevento. Distruzione della Banda Guerra. Caserta 6 settembre 1868

 

fonte

brigantaggio.net

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