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Frida Kalho: Il caos dentro. Un’anima femminile e una forte energia vitale

Posted by on Ott 12, 2021

Frida Kalho: Il caos dentro. Un’anima femminile e una forte energia vitale

In questi ultimi tempi, in Italia, le mostre dedicate a Frida Kalho (1906/1954), si succedono l’una dietro l’altra. A Napoli, la mostra a Palazzo Fondi (dall’11/9/21 al 9/1/22 ) segue di pochi mesi quella al Pan (Palazzo delle Arti Napoli): un’insistenza che non ha evitato la ripetitività. Tanto che alcuni visitatori, reduci dalla mostra al Pan, sono rimasti delusi: si aspettavano, stavolta, qualcosa di più, magari una mostra come quella, nel 2006, a Roma, nelle Scuderie del Quirinale, che fu ricca di opere originali dell’artista messicana. Invece, a Palazzo Fondi, di opere originali ce ne è soltanto una: Piden aeroplanos y les dan alas de petate, che ha  uno stile decisamente “naif”… di Adriana Dragoni

In questi ultimi tempi, in Italia, le mostre dedicate a Frida Kalho (1906/1954), si succedono l’una dietro l’altra. A Napoli, la mostra a Palazzo Fondi (dall’11/9/21 al 9/1/22 ) segue di pochi mesi quella al Pan (Palazzo delle Arti Napoli): un’insistenza che non ha evitato la ripetitività. Tanto che alcuni visitatori, reduci dalla mostra al Pan, sono rimasti delusi: si aspettavano, stavolta, qualcosa di più, magari una mostra come quella, nel 2006, a Roma, nelle Scuderie del Quirinale, che fu ricca di opere originali dell’artista messicana. Invece, a Palazzo Fondi, di opere originali ce ne è soltanto una: Piden aeroplanos y les dan alas de petate, che ha  uno stile decisamente naif.

Ma Frida continua ad attrarre per la sua personalità, cosicché l’ultima mostra napoletana risulta interessante perché è ricca di reperti e documenti che ne ricostruiscono la vita. Spesso, la letteratura artistica vorrebbe fare di Frida un modello per la donna d’oggi: spregiudicata, di liberi costumi, in competizione  con il maschio impegnata politicamente, progressista e rivoluzionaria. Questa mostra a  Palazzo Fondi ci dà la possibilità di liberarci almeno in parte da questo pregiudizio, mentre  ci fa osservare i non pochi legami che Frida ha con la figura della donna tradizionale.

Come il forte legame affettivo con i genitori. Lei ebbe, sin da bambina, una vita travagliata da un fisico infermo (una malformazione della colonna vertebrale), aggravato poi da un incidente, che la segnò per sempre e  che la costrinse per nove mesi a letto. Perciò suo padre costruì per lei  un  letto a baldacchino (ne vediamo la riproduzione nella mostra), a cui appoggiò uno specchio, che la ritraeva, e la indusse a dipingere i suoi autoritratti. Senza questo specchio, non avrebbe avuto null’altro da vedere che il soffitto della sua camera. Così fu suo padre (e il destino) a far si che Frida diventasse una artista. Di questo lei gli fu sempre riconoscente dimostrandogli tanto affetto.

Suo padre era un ebreo tedesco, sua madre era di antiche, precolombiane, origini messicane,  che sempre Frida riconobbe ed esaltò facendole sue. Ne sentiva lo spirito e vi adeguò il suo modo di essere e di abbigliarsi. Con vestiti lunghi dai colori forti ripresi dalla tradizione. Un modo per differenziarsi dalla massa e per affermare se stessa, la sua terra e le  sue tradizioni, non aderendo evidentemente a un atteggiamento modernistico nè piegandosi alle mode correnti.

Le sue fotografie e le riproduzioni dei suoi autoritratti affermano il suo orgoglio nella postura diritta, direi ieratica, del corpo, testimoniando anche il rispetto dell’antica tradizione messicana: le prime divinità furono donne e così fu anche nella religione precolombiana del vecchio Messico. In mostra ci sono quindi anche  i coloratissimi vestiti di Frida, e, accanto, le vetrine con i suoi monili, che ricordano la sua femminile vanità, mentre le pagine del suo diario parlano della ricchezza ma anche della confusione dei suoi pensieri (“Il caos dentro” s’intitola la mostra non senza ragione).

In Frida non c’è la razionalità maschile ma un’anima femminile e una forte energia vitale. Di temperamento appassionato, amava e soffriva per il suo “grande amore”, Diego Rivera (1886/1958), un pittore di murales di un certo successo, sebbene sia stato detto, giustamente, che le sue opere hanno un valore politico più che estetico. Sposato due volte, con figli, Diego era un militante comunista e, come tale, era introdotto in politica e nel mondo dell’arte. Frida lo conobbe nel 1928, quando era andata da lui per presentargli il proprio lavoro.

Lui la incoraggiò e la introdusse in un mondo più vasto della camera da letto, dove si era reclusa. Lei lo amò e aderì al suo mondo. Divenne anche lei un’attivista politica, mentre sopportava i suoi tradimenti, ricambiandoli con rabbia. A Città del Messico era arrivato Lev Trotsky (1879/1940), un protagonista della Rivoluzione Russa che, all’avvento di  Stalin, era stato esiliato e perseguitato. 

Conobbe Frida Kalo, che gli fece un celebre ritratto e lo accolse nella sua casa nel quartiere di Coyoacan: Casa Azul. (Anche questa casa testimonia l’attaccamento di Frida alle radici: qui visse fino alla morte.) Nonostante la drammatica situazione e la perdita di quattro figli, tra cui uno suicida, Lev, al contatto con Frida, sembrò rivivere e, pur cercando di nasconderli agli occhi della moglie Natalya Sedova, ebbe intimi rapporti con lei.

Fin quando Natalya non si accorse dell’inganno e la tresca finì. Peraltro Frida (lo testimoniano i suoi scritti) già aveva confidato a un’amica di essere stufa di Lev e di avere acconsentito alle sue voglie per vendicarsi dei tradimenti di Diego, tradendolo proprio con il suo Maestro: una vendetta femminile. In quel momento Frida era molto infuriata con Diego,  perché le aveva insidiato la sorella. Per Frida, la famiglia aveva un valore: questo per lei era stato un affronto. 

Andò a Parigi, dove era stata invitata da André Breton (1896/1966), che aveva visto, a Città del Messico, i suoi lavori, riconoscendo loro uno stile surrealista. Ma forse il pittore francese aveva visto in Frida più che il surrealismo, una giovane donna, con cui stare insieme. Il che accadde, con l’assenso di Frida, e l’atteggiamento compiaciuto della moglie di lui. A Parigi c’era un ambiente artistico in fermento e ad alto livello, del quale erano protagonisti  artisti quali Man RayPablo Picasso, Dora MaarKandinsky, Marcel Duschamp. Frida vi visse altri amori, ma l’ambiente parigino non le piaceva. “Preferirei starmene seduta a vendere tortillas, piuttosto che avere a che fare con quegli artisti spocchiosi.”- si legge nelle sue lettere. 

Era il 1939, la vigilia della seconda guerra mondiale. Frida tornò in Messico, da Diego, dal suo amore di sempre. Lev Trotsky era stato assassinato e Frida fu considerata, per breve tempo, una complice dei suoi assassini e incarcerata.  Non aveva avuto per lui una grande passione, neanche aveva una passione politica. Dagli scritti del suo diario  Frida si rivela soprattutto una donna  molto femminile: la sua passione era Diego.

“Due tragedie ci sono state nella mia vita: l’incidente stradale e l’incontro con Diego”. E il suo cruccio maggiore era il rimpianto di non aver potuto avere un figlio da lui. Il suo fisico era troppo debole per sopportare la gravidanza: per tre volte aveva tentato, ma per tre volte aveva abortito. Lei lo amava molto; eppure dicono che lui si servì di lei, di questa donna minuta, fragile, piena di vita, per farsi pubblicità. Ma è da questa esperienza appassionata e dolorante che Frida trasse la grandezza della sua arte.

Adriana Dragoni

fonte

http://www.agenziaradicale.com/index.php/cultura-e-spettacoli/mostre/6641-frid

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