Gianandrea de Antonellis La battaglia di Potenza – 2 “Barbajada”

La battaglia di Potenza, racconto scritto in occasione del 150° dell’Unità e pubblicato su Altri Risorgimenti. L’Italia che non fu (1841-1870), a cura di Gianfranco de Turris, Bietti, Milano 2011
E così l’intervista era terminata. Intanto era terminato anche il tragitto in autobus ed Andrea stava attraversando il giardinetto antistante la villa dove abitava. Salite le scale, la moglie lo accolse affettuosamente, servendogli come d’abitudine il tè nello studio:
– Com’è andata l’intervista?
Andrea Guarna alzò le spalle:
– Normale amministrazione…
– E allora perché sei così teso?
– Lo sai. Perché ho perso un’altra occasione per non mentire.
– La solita storia dei “tre” eroi?
Andrea Luigi assentì. In quel momento pensava a Crocco: «Morto eroicamente combattendo contro l’invasore», recitava la lapide sull’enorme piedistallo che sorreggeva la sua statua di fronte alla stazione di Napoli. Già, ma allora perché il decesso – Andrea lo sapeva per certo da fonti di prima mano – era stato dovuto a due palle nella schiena? Non si muore colpiti alla schiena se si sta eroicamente combattendo. Forse solo se si sta eroicamente fuggendo…
Lo storico era a conoscenza di alcune verità che i verbali avevano nascosto: ma era possibile che, dopo centocinquant’anni, la verità non potesse ancora venire a galla? Andrea sfogliò nervosamente il manoscritto del discorso che stava preparando: pochi fogli, ma non esenti da una retorica che lo disgustava. Quasi per purificarsi da quell’ammasso di menzogne – la verità ufficiale, sì, ma ai suoi occhi pur sempre menzogne – si rivolse alla moglie:
– Eleonora, so che di te mi posso fidare, ma devi promettermi di mantenere assoluto silenzio.
Chiuse a chiave la porta dello studio ed accostò gli scuri delle finestre. Trasse dallo scaffale più in alto un quinterno di pagine fittamente manoscritte che teneva nascosto dietro la fila dei volumi.
– Cos’è?
– È un memorandum del mio avo…
– L’Eroe di Potenza?
– Già, l’Eroe di Potenza…
– E dimostra, a quanto mi hai lasciato capire – o meglio a quanto non mi hai fatto capire, perché sei sempre stranamente reticente su questo punto, anche con me – che gli eroi furono solo due, non tre…
– Esatto.
Eleonora indugiò nel prepararsi la tazza di tè, avvertendo l’importanza del discorso che stavano per affrontare.
– Inizio a comprendere i tuoi problemi, Andrea, la tua reticenza… mi hai accennato una volta ai colpi nella schiena di Crocco… hai detto di una amicizia tanto falsa quanto sbandierata…
– E tu ne hai dedotto?…
– Ecco, a dire la verità… ho pensato che Crocco fosse stato eliminato, che non fosse morto durante l’assalto…
– Ed hai dedotto correttamente.
Eleonora prese la tazza tra le mani, ne sorbì un sorso, come a farsi coraggio; quindi proseguì:
– Allora, se gli eroi – i veri eroi – furono due e non tre, lasciando Borjes e Crocco… dovrei pensare che… forse… insomma… il tuo avo non fu un vero eroe…
– Cosa vuoi dire?
La donna parlava sempre più lentamente, conscia della gravità delle proprie parole:
– Ecco… se è vero che Crocco è stato colpito alle spalle… forse… lo ha ammazzato… voglio dire, lo ha fatto ammazzare… il tuo avo?
– E perché lo avrebbe fatto?
Eleonora era imbarazzata e mentre parlava fissava la tazza tra le proprie mani, cercando di evitare lo sguardo del marito:
– Non so… Forse voleva maggior gloria per sé… O forse… beh, so che è difficile accettare una simile ipotesi… forse il tuo avo aveva un accordo – un accordo con i Piemontesi, intendo – per eliminare Crocco e Borjes… riesce a uccidere il primo, ma non il secondo; poi, a battaglia terminata, a conquista borbonica ormai consolidata, ritiene più conveniente passare (o ripassare) dalla parte dei vincitori, vale a dire di Borjes, e… e vestire i panni dell’eroe…
Eleonora si fermò e finalmente guardò in voltoil marito, che stava scuotendo la testa:
– Nulla di tutto questo, non lo pensare neppure per scherzo! Non fu certo un assassino! Né, peggio che mai, un traditore! Ecco, in un certo senso… fu un falsario. O meglio, fu un eroe che si prestò ad una falsificazione. Ma lo fece solo per compiacere l’altro eroe, il generale Borjes.
Eleonora aveva faticato ad esprimere il proprio pensiero, per paura di urtare la sensibilità del marito; quindi scaricò la tensione accumulata:
– Insomma, Andrea, basta con le mezze parole, con i frammenti di verità! Cerca di spiegarti, una volta per tutte. Sono giorni che continui ad essere intrattabile, nervoso, che te ne esci con mezze parole… perché hai paura della verità?
– Già: la Verità! La Verità ci farà liberi! Ma qual è la verità?
Eleonora evitò di ribattere e rimarcare l’imprecisione della citazione evangelica («cosa è la verità», semmai) e nella stanza calò il silenzio.
«Qual è la verità?» pensava Andrea «Ce ne sono almeno due: quella ufficiale – quella che tutti conoscono – e la verità “vera”, nota solo a Dio e a pochi testimoni, tra cui il mio avo, e che è riportata in questo memorandum».
– Bene, la verità è che Crocco è stato ucciso dai nostri, colpito alle spalle.
Eleonora trasalì.
– No, non dal duca Guarna, non ti preoccupare. Il mio arcavolo non lo avrebbe mai fatto. Crocco giunse a Potenza già cadavere: il brigante aveva fatto la fine che meritava ed era stato freddato prima che provvedesse lui a tirare un colpo di schioppo a Borjes.
– La fine che si meritava? Di che stai parlando?
– Sto parlando degli accordi del prode, dell’eroico Carmine Donatelli con i Piemontesi.
Poi, vedendo lo stupore che si dipingeva sul volto della moglie, precisò:
– Sì: accordi molto chiari per ritirarsi e vendere Borjes agli invasori!
– Andrea, quello che stai dicendo è molto grave…
– Lo so, per questo è rimasto fino ad ora nascosto: ma le prove del tradimento di Crocco erano venute alla luce poco prima della battaglia e Borjes agì in contrattacco, facendolo eliminare di nascosto.
– Di nascosto? Bell’eroe!
– Aspetta a giudicare. Crocco non fu ucciso di nascosto per paura, ma per calcolo… aspetta, aspetta ancora e giudica alla fine della storia. Se a decidere sulla sorte del brigante fosse stato il mio avo, Crocco sarebbe stato fucilato in piazza, coram populo, subito dopo la presa di Potenza. Ma secondo Borjes il mito del brigante alimentava l’entusiasmo combattivo delle popolazioni lucane e quindi preferì non infrangerlo.
Andrea cercò un passaggio sui fogli e, trovatolo, lesse:
– Ecco qui: «Meglio un pugno di eroi morti combattendo, che una masnada di traditori fucilati come meriterebbero». In altre parole, un processo sarebbe servito alla causa molto meno che la fine leggendaria di un popolano che aveva voluto sacrificare la propria vita per l’attaccamento al Re ed alla Corona. Un simbolo – comprendi? – un simbolo che non doveva essere scalfito. E quindi, mentre il corpo del vero Crocco giaceva nascosto in attesa di essere fatto oggetto di grandi onori, una controfigura barbuta si calcò sul viso il cappello del brigante e si buttò addosso il suo mantellaccio, il famoso poncho. Questo poncho si rivelò assai utile alla messa in scena finale: infatti bastò girarlo ed i due fori alla schiena – che bello! – si trasformarono in altrettante ferite al petto, segno inequivocabile della fine eroica di chi lo indossava…
Eleonora rimase stupefatta.
– Dunque la storia dell’assalto, del sacrificio… tutto falso?
Andrea assentì e di nuovo il silenzio li circondò. Fu ancora Eleonora a spezzare quella stasi:
– Ma perché tutta questa messa in scena? Perché mentire così spudoratamente?
– Te l’ho detto, anzi te l’ho letto: «Meglio un pugno di eroi morti combattendo, che una masnada di traditori fucilati come meriterebbero». Meglio per la propaganda, si intende… Del resto al mio avo, che pure era considerato un “reazionario”, uno spregiatore di qualsiasi simpatia popolareggiante, che odiava la sola idea di Costituzione e che aborriva ogni forma di elezione allargata ad una sfera maggiore che non fosse quella del Consiglio Collaterale, della Real Camera di Santa Chiara o – che so? – dei Sedili; anche a lui, dicevo, non sfuggiva il fatto che durante l’aggressione piemontese era mancato un immediato appoggio popolare spontaneo. Pensaci: l’avanzata di Garibaldi non fu contrastata da alcun moto di insorgenza, come era accaduto invece sessant’anni prima contro l’esercito giacobino e poi, più in piccolo, contro Murat o, più recentemente, nel 1844 contro il tentativo dei fratelli Bandiera e, solo tre anni prima, quello di Carlo Pisacane nel 1857. Ti sei mai chiesta il perché?
– No: perché?
– Beh, le cause sono varie: comunque, a parte i problemi di congiura internazionale e di trame massoniche, va ricordato che i sovrani napoletani avevano commesso numerosi errori (alcuni dei quali risalenti addirittura alla prima restaurazione borbonica, quella del 1799, primo fra tutti l’abolizione dei Sedili), finendo per incrinare il particolare rapporto tra il Re ed i suoi sudditi. Risultato: l’indifferenza per le sorti del Regno, almeno fino a che non era giunto Crocco… D’altro canto, sul piano strettamente militare la guerra (quella che era finita a Gaeta) era stata persa per colpa dell’incapacità di certi generali borbonici (e di chi li aveva messi e mantenuti al loro posto). Dopo la resa di Gaeta – e con “Borjes-San Giorgio” ancora da venire –, con la fiducia dei sudditi nei confronti del Trono gravemente minata, ecco che era sorto l’astro di Carmine Donatelli, che a molti era sembrato un novello Michele Pezza, il mitico Fra’ Diavolo… Effettivamente Crocco poteva anche parere un disinteressato sostenitore del Trono e dell’Altare: in realtà era un opportunista che, dopo aver indossato la casacca rossa dei garibaldini (e il poncho di Garibaldi), non aveva ricevuto quei riconoscimenti che, invece, accorti emissari borbonici gli avevano promesso. E, per la propaganda, sono solo le apparenze a contare…
– E quindi?
– E quindi l’ex bandito ed ex garibaldino era diventato il liberatore della Basilicata oggi e domani lo sarebbe stato del Regno intero, se non avesse realizzato che le sue imprese erano dovute soprattutto alla visione strategica del generale Borjes, giunto sì con pochi uomini, ma padrone dell’arte della guerra meglio di tutti i capi-massa messi assieme.
– Già, la gelosia fa brutti scherzi…
– No, non si trattava semplicemente di gelosia (che pure c’era); Crocco era brutale, ma non era stupido: comprese che presto sarebbe stato messo da parte, probabilmente subito dopo la presa di Potenza (a quel punto non sarebbe stata più questione di guerriglia e di contadini insorti, ma di guerra ed eserciti veri), e ritenne (credo non a torto) che, una volta ristabilito l’ordine, certi suoi eccessi durante i saccheggi non sarebbero rimasti impuniti. Quindi decise di cambiare ancora una volta bandiera, assicurandosi la riconoscenza dei Piemontesi grazie al fallimento dell’impresa di Potenza. Immagina: il capoluogo ancora saldamente in mano agli invasori, Borjes costretto a tornarsene a Roma con le pive nel sacco (e qualche uccellino avrebbe avvertito i sabaudi della via che avrebbe scelto e l’avrebbero catturato, certo che l’avrebbero catturato!, a costo di braccarlo fino negli Abruzzi…) e Crocco con la vita salva, pronto a recitare la parte del “brigante redento” e magari a firmare qualche autobiografia (scritta da altri) in cui si sarebbe pentito di aver messo in dubbio il verbo sabaudo…
– Bella roba!…
– Ma per fortuna non esistono solo i fringuelli che fischiettano sui davanzali dei Piemontesi e qualche altro volatile avverte Borjes: Crocco viene eliminato in segreto, l’assalto alla città viene portato come previsto ed il corpo del brigante viene ritrovato in una via della città con le armi in pugno e due palle – apparentemente – nel petto, segno evidente di una fine eroica!
– Apoteosi!
– Già: apoteosi! Dopo la restaurazione: strade di qua, targhe di là, una grande statua che accoglie chiunque arrivi a Napoli in treno… tutto utile a dimostrare e celebrare il sincero attaccamento del popolo al suo sovrano, sintetizzato nella figura di colui che meno di tutti era sinceramente convinto di ciò che faceva: Carmine Donatelli detto Crocco!
Andrea si fermò, prendendo tra le mani le pagine scritte dall’antenato e riflettendo sulla bizzarria dei disegni storici e sulla fragilità della volontà umana…
– Partendo da quest’episodio potrei scrivere un saggio di filosofia della storia… anzi, lo ho praticamente già scritto, almeno nella mia testa… ma tanto so che non riuscirei mai a pubblicarlo, almeno in vita, perché sarebbe sconvolgente…
– Già, poi, scritto da te, uno dei massimi storici dell’Unificazione, che va a demolire uno dei fondamenti dell’Unificazione stessa!
– Beh, proprio fondamento…
«Però un po’ è così» pensava. Non si può parlare male di Crocco era uno dei motti che giravano nel mondo politico, prima che in quello accademico. Vero è che un divulgatore, Riccardo Pazzaglia, aveva scritto un divertente Crocco ha mangiato qui, ironizzando sul numero eccessivo di taverne che si “nobilitavano” con una lapide che segnalava (forse millantando) la presenza del “generale” presso i propri tavoli, facendolo passare più per un gran mangiatore che per un combattente (e, forse, non era del tutto falso). Ma si trattava solo di un divulgatore, noto per la sua vena comica, per cui il pamphlet non aveva dato seguito ad un serio dibattito.
Andrea riprese:
– Vedi, la verità è stata rigirata come il poncho di Crocco. Ma il curioso è che l’intera trama intentata dal brigante contro Borjes venne rivoltata a suo sfavore: nei primissimi giorni del maggio 1861, infatti, quattro suoi fidi collaboratori (il “colonnello” Vincenzo D’Amato, i capi-massa Francesco Pugliese e Nicola Cilenti ed il sottocapo Luigi Romaniello) erano stati catturati ed arrestati. E il tutto era accaduto senza colpo ferire…
– Senza colpo ferire?
– Appunto, con grande facilità. Anzi, troppa, per non destare sospetti. E ad un uomo acuto come Borjes ciò non poteva sfuggire: ma come? Niente inseguimenti, niente difesa, niente sangue sparso… Infatti i quattro altro non erano che una specie di “acconto” sulla futura resa: venendo tradotti in carcere a Potenza, anziché fucilati sul posto, garantivano a Crocco la volontà del governo piemontese di essere clementi anche con lui.
– Questo mi sembra un dato oggettivo di cui non si può non tener conto per una ricerca storica…
– Appunto. Invece, un elemento di cui il brigante non aveva tenuto conto era che, se i padroni della città erano i Piemontesi, tra i secondini c’erano ancora ex impiegati borbonici che una diversa mostrina sulla divisa non faceva necessariamente venir meno ad una fedeltà, ad un ideale. Essi avevano quindi isolato i quattro nuovi ospiti della prigione, avevano fatto loro credere di essere parte di un ardito gioco di mosse e contromosse, insomma di essere una sorta di “cavallo di Troia” nella presa della città e che presto sarebbero stati liberati per prendere parte alla rivolta. Il che avvenne puntualmente; ed infatti i quattro erano in prima fila, a portare sulle proprie spalle la bara di Crocco, ai solenni funerali celebrati con grande pompa nella cattedrale di Potenza. E due dei quattro sopravvissuti al resto della campagna, sia pure molto ridimensionati, erano presenti l’anno successivo anche al solenne Te Deum cantato in occasione del trionfale ritorno di Francesco II a Napoli.
– Questa si chiama eterogenesi dei fini!
Andrea assentì, rimanendo in silenzio. Eleonora, visto che il mutismo del marito le indicava chiaramente che la sua voglia di parlare si era esaurita, si alzò e si diresse verso la porta.
– Vado a preparare la cena. A più tardi.
– A più tardi. Per favore, chiudi la porta.
– Va bene. E non ti angustiare troppo: in fondo tutto è andato per il meglio, non ti pare? E tu sei comunque il pronipote dell’eroe di Potenza!
La frase urtò lo storico, che non amava essere considerato solo per la sua illustre ascendenza.
2 – Continua
note
Barbajada, bibita inventata dal mio bisarcavolo Domenico Barbaja, mischiando cioccolato e caffè, per stimolare e irrobustire (e magari addolcire con la panna).