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Giuseppe Garibaldi, come è nato il suo “mito”

Posted by on Ago 20, 2020

Giuseppe Garibaldi, come è nato il suo “mito”

I moti di Genova del 1834, fomentati da Mazzini, segnarono l’inizio dell’esperienza rivoluzionaria di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) che diverrà figura chiave del cosiddetto “Risorgimento” italiano. Fortemente attratto dal mare sin da piccolo, essendo nato a Nizza, riuscì ad intraprendere la carriera marinara a 15 anni seppur contro volere del padre. 

Cominciò quindi a percorrere il Mediterraneo e oltre come mozzo, finchè nel 1832 non si imbattè in Emile Barrault e altri seguaci del noto occultista Henri de Saint-Simon, ma soprattutto in Giovanni Battista Cuneo (1809-1875) che lo pervasero dello spirito rivoluzionario. Entro pochi mesi da questi incontri, Garibaldi si affiliò alla Giovine Italia a Marsiglia e già lo stesso anno incontrò Mazzini a Londra sotto il protettorato massonico di Lord Palmerston, il centro del potere occulto dell’epoca, ufficialmente noto come “Comitato Rivoluzionario Internazionale”.

Il ruolo di Garibaldi nei moti genovesi era ritenuto cruciale in quanto era previsto il coinvolgimento di una flotta sarda e l’incarico del suo comando era stato affidato a l’unico dei sovversivi con qualche esperienza marinara, cioè Garibaldi. Fallito però miseramente il moto genovese scappò da solo a Nizza, poi a Marsiglia per riuscire a riprendere la carriera marittima. In seguito ai moti il tribunale di Genova lo condannò a “morte ignominiosa” assieme a Vittore Mascarelli e Giovanni Battista Caorsi, condanna che ovviamente non poteva essere scontata da Garibaldi, migrato da tempo in ben altri lidi. In quel periodo stava infatti facendo una breve esperienza piratesca nella flotta di Hussein Bey, Signore di Tunisi, regno in cui la massoneria, la carboneria ed infine la Giovine Italia potevano agire liberamente e dove fondarono una base importante per tutte le azioni nel Mediterraneo.

Nel 1836 Garibaldi partì da Marsiglia per il Sud America come comandante in seconda di una imbarcazione in rotta per Rio de Janeiro, in particolar modo poiché navigando in acque italiane correva il serio rischio di finire impiccato per la condanna di Genova. Non passò molto tempo in Brasile che Garibaldi venne accusato di loschi traffici (con altri esuli italiani tra cui Luigi Rosselli) e gli venne intimato l’ordine di espulsione. Nella fuga dalle autorità finì per aggregarsi al movimento ribelle repubblicano di Rio Grande, capeggiato da Bento Gonçalves. Iniziò così una nuova esperienza piratesca di Garibaldi atta a danneggiare gli interessi del governo imperiale brasiliano di Dom Pedro II (1825-1891) nei fiumi di Brasile, Uruguay e Argentina, saccheggiando le navi ispaniche.

La pirateria del Rio Grande aveva ancora una volta l’indispensabile e strategica protezione dell’Inghilterra di Lord Palmerston, intenzionata a distruggere il monopolio dell’oppio e della gomma grezza vegetale che all’epoca aveva come capitale Manaus al centro della foresta amazzonica, obiettivo poi raggiunto agli inizi del 1900, dopo essere riusciti ad impiantare coltivazioni di canna nelle colonie inglesi dell’India.

Nel 1837 le navi di Garibaldi vennero intercettate e lui riuscì a fuggire alla cattura solo con l’aiuto di una nave argentina. Dopo essersi rifugiato per un breve periodo a Montevideo, tornò di nuovo agli atti di pirateria del Rio Grande assaltando navi mercantili, sterminando ciurme, saccheggiando villaggi di contadini e violentando donne. Fonti storiche sostengono che questo fu il periodo in cui cominciò a portare i capelli lunghi, secondo alcuni per nascondere un morso ad un orecchio destro subito da una ragazza violentata, secondo altri l’infortunio era invece correlato ad un duello per un furto di cavalli, in ogni caso emblematico specchio della moralità del nostro futuro patriota.

Dopo essere stato nuovamente intercettato e sconfitto dalle autorità brasiliane e di nuovo fortunato nella fuga, finì ancora una volta sotto la protezione di Bento Gonçalves e riprese quindi la pirateria. Nel 1841 Garibaldi si separò definitivamente da Bento e diresse verso Montevideo in Uruguay. Dilapidato in breve il bottino dei saccheggi cercò una nuova opportunità di gloria nel conflitto tra Uruguay e Argentina.

Sempre grazie all’appoggio inglese, Garibaldi ottenne l’incarico di comandante di una flottiglia, armata in gran parte da esuli italiani. Nacque così la Legione Italiana, vestita con camicie rosse che poi diverranno famose in Italia. L’attività di razzia non terminò neanche in questo periodo e portò anche ad una sua cattura, ma con scarse conseguenze sempre per merito delle sue altolocate conoscenze britanniche.

Nel 1842 si sposò con Anita (Ana Maria de Jesus Ribeiro), già sposa di Manuel Duarte de Aguiar, manco a dirlo una vittima delle razzie dei garibaldini.

Il 24 agosto 1844 Garibaldì si iscrisse alla loggia massonica irregolare “L’Asil de la Vertud” di Montevideo, emanazione della massoneria brasiliana, posizione poi regolarizzata nella loggia “Gli amici della patria” dove raggiunse il 4° grado. 

Risale a questo periodo la pubblicazione del giornale propagandistico “Legionario Italiano”, scritto dagli stessi seguaci di Garibaldi e atto a nascondere gli atti criminosi e a tramutarli in eroici. Questo giornale venne diffuso nell’intera rete della propaganda massonica, contribuendo non poco alla nascita del mito dell’ “Eroe dei due mondi” con la complicità di Mazzini. Anche dopo la nascita del mito, forse a maggior ragione, Garibaldi continuò con le sue imprese criminali.

Garibaldi fece quindi carriera militare a Montevideo fino a raggiungere il grado di generale e capo della difesa, finchè, nel 1848, la prima guerra di indipendenza italiana contro gli autriaci fornì l’occasione per il ritorno in Italia su chiamata diretta di Mazzini. Pur essendo stato respinto da Carlo Alberto, a causa della condanna pendente per i moti di Genova, Garibaldi partecipò comunque alla guerra con l’appoggio del massone Casati. Dopo una prima disfatta a Custoza fu costretto a scappare in Svizzera sotto mentite spoglie.

Dopo un’altra sconfitta piemontese nel marzo 1849 partecipò anche alla difesa della Repubblica Romana contro le truppe francesi e napoletane. Subita anche qui una sconfitta dovette cercare disperatamente rifugio nella Repubblica di San Marco e in questa ennesima fuga travagliata perse anche l’amata Anita. La fuga proseguì in Liguria e Sardegna per ricondurlo infine in Tunisia dove Ahmed Bey si rifiutò di farlo sbarcare per cui fu costretto a cambiare rotta, questa volta in direzione Stati Uniti d’America.

Nel 1850 arrivò a Clifton (New York) accolto dal massone, rivoluzionario e inventore dell’elettrofono Antonio Meucci (1808-1889). Qui Garibaldi lavorò per la fabbrica di candele di Meucci, sospettata di essere la copertura ad aiuti finanziari e militari per la causa rivoluzionaria, ma in realtà fu una attività che non ebbe molta fortuna e in ogni caso lavorare in fabbrica non era proprio nelle sue corde.

Nel 1851 tornò in Sud America poichè ottenne un ingaggio come capitano di una nave in Perù del genovese Pietro Denegri per la tratta di schiavi cinesi nelle isole Cinchas per la raccolta del guano. Essendo stata già abolita la schiavitù in Perù e dato che nessuno voleva lavorare il guano, questi lavori letteralmente “sporchi” erano affidati inevitabilmente alla criminalità che esportava guano e al ritorno importava manovalanza cinese. È ben documentata, dallo stesso Garibaldi e dai suoi compagni, un’altra spedizione del 10 gennaio 1852 sulla tratta Callao-Canton-Lima, durante la quale ha trasportato ancora schiavi cinesi.

In seguito viaggiò in nave a Lima, Boston, Baltimora, poi di nuovo New York da Meucci e a Londra presso il Comitato Rivoluzionario Internazionale. Da qui passò da Newcastle e proseguì fino a Genova dove giunse il 10 maggio 1854.

Grazie a una improvvisa cospicua eredità da parte del fratello minore Felice (1813-1855), noto imprenditore pugliese nel comparto oleario, Giuseppe Garibaldi riuscì a comprare metà dell’isola di Caprera (del valore stimato in due milioni di lire), dove visse di agricoltura e allevamento fino alla seconda guerra di indipendenza.

In questo ulteriore conflitto, al comando dei Cacciatori delle Alpi, ottenne successi contro l’esercito austriaco, anche se in realtà già sbaragliato dai francesi. Poi sulle ali dell’entusiasmo e sempre dominato dall’ossessione di distruggere il potere temporale del papa, tentò anche una sconsiderata invasione dello Stato Pontificio nelle Marche e nell’Umbria, ma l’iniziativa venne bloccata dal generale Manfredo Fanti. Il 24 gennaio 1860 Garibaldi dovette subire anche l’umiliazione di scoprire, poco prima del matrimonio riparatore con la contessina Giuseppina Raimondi, che la sua promessa sposa era in realtà incinta del garibaldino Luigi Càroli.

fonte

https://actualproof.wixsite.com/appuntidiviaggio/single-post/2014/05/16/Giuseppe-Garibaldi-come-%C3%A8-nato-il-suo-mito

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