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Giuseppe Mazzini: padre di quale patria? di Angela Pellicciari

Posted by on Mag 26, 2020

Giuseppe Mazzini: padre di quale patria? di Angela Pellicciari

Aveva sempre in bocca la parola “Dio” e si credeva un profeta religiosa. Identificava la legge divina col progresso dal quale doveva scaturire la Patria. Dove i cattolici, però, non dovevano trovare posto.

Giuseppe Mazzini: genovese, avvocato, di professione cospiratore. E, col senno di poi, “padre” della patria. Di cosa è padre esattamente Mazzini? Di quale patria?

Di quella che avrebbe dovuto scaturire dal trionfo del Progresso: “Crediamo che il Progresso – scrive a Pio IX nel 1865 – Legge di Dio, deve infallibilmente compiersi per tutti”; il Progresso è “la sola rivelazione di Dio sugli uomini, rivelazione continua per tutti”. Messa così’ è chiaro che la patria che Mazzini ha in mente non è quella abitata da cattolici. Questi infatti credono che Dio si è rivelato nella Scrittura ed, in pienezza, in Cristo. Non nel progresso.

Ma allora come mai Mazzini ha sempre in bocca e sulla penna la parola Dio? Il perché lo spiega Giuseppe Montanelli, uno dei capi della rivoluzione toscana del 1848.

Descrivendo la dinamica delle società segrete nella prima metà dell’Ottocento, Montanelli, a proposito di Mazzini, scrive: a lui “debbonsi lodi per alcun bene che fece, non come fuoruscito orditore dì cospirazioni impotenti e sacrificatrici, ma come letterato propugnatore di spiritualismo”. “Né fu piccolo servigio”, aggiunge.

Montanelli ha ragione. Dal punto di vista liberale Mazzini certo non va lodato per i tanti giovani mandati a morire inutilmente da un Maestro che – dall’estero – dirige le fila delle loro vite. Mazzini va invece lodato per il suo “spiritualismo”: per aver colto ogni occasione (opportuna ed inopportuna) per parlare di Dio: “Dio e il popolo”; “Dio lo vuole”. Così facendo Mazzini ha avvicinato al Risorgimento anticattolico un buon numero di cattolici, ingannati dal suo linguaggio.

“Noi crediamo in Dio, Intelletto e Amore Signore ed Educatore”, scrive a Pio IX.

Dio “educatore”. Di chi si serve Dio per svolgere il suo compito dì educatore? La domanda, dal punto di vista dei mazziniani, è retorica: è ovvio e naturale che Dio si serva di Mazzini. Quanto a lui, l’Esule si sente perfettamente a suo agio nei panni del profeta. Del profeta del dio Progresso.

Di una cosa è infatti certo il padre nobile del quasi defunto partito repubblicano. Il Progresso deve diventare legge per tutti. E se il “popolo” si ostina a non intendere questa necessità, bisogna imporgliela. Bisogna fare la rivoluzione. Quella rivoluzione che Mazzini, fin dal 1832. ha ben chiaro cosa significhi: “Le rivoluzioni, generalmente parlando, non si difendono che assalendo […] se non è guerra d’eccidio, se non è guerra rivoluzionaria, guerra disperata, cittadina, popolare, energica, forte di tutti i mezzi, che la natura somministra allo schiavo dal cannone al pugnale, cadrete e vilmente!”.

Perché Mazzini crede nelle virtù salvifiche della rivoluzione? Cosa lo spinge a ritenere che la “guerra d’eccidio” si trasformerà come per incanto in un balsamo riparatore? La sposta è semplice. Per lui, come per tutti i rivoluzionari. Mazzini nutre una fede “cieca” nella verità della propria analisi. Ha una certezza assoluta nell’infallibilità del proprio ragionamento. Dall’alto del progresso che è convinto di incarnare, il Maestro sentenzia: “qualunque s’arroga in oggi di concentrare in sé la rivelazione e piantarsi intermediario privilegiato fra Dio e gli uomini, bestemmia”. Ma se il Papa bestemmia perché osa parlare ex cathedra, come mai Mazzini si arroga il compito di mettere a far tacere il Papa ed i cattolici, che all’epoca in cui scrive sono la totalità di quel popolo che è convinto di rappresentare?

La risposta è solo una: perché Mazzini teorizza che il progresso, per far progredire la realtà, si serve del genio e della virtù (il “Genio” e la “Virtù” sono “i soli sacerdoti dell’avvenire”, scrive). E perché è sicuro – al di là di ogni ragionevole dubbio – di essere virtuoso e geniale per eccellenza.

Nel suo sconfinato senso di onnipotenza, Mazzini è anche convinto di poter modificare a piacere il significato delle parole. È convinto di poter riscrivere la lingua italiana a partire dalle proprie personali definizioni. Così, sotto la sua bacchetta magica, il bellissimo aggettivo “libero” cambia significato e diventa “colui che condivide le idee di Mazzini”; “tiranno” è, al contrario, chi le ostacola. Quanto ai “martiri”, questi non sono più coloro che vengono barbaramente uccisi per testimoniare la propria fede, ma coloro che uccidono per imporre il proprio credo: “martiri della libertà”. “Crediamo che Dio è Dio e che l’Umanità è il suo Profeta”, ha l’impudenza di scrivere a Pio IX. Felice Orsini, l’attentatore a Napoleone III che pagherà con la vita il proprio gesto, ha gioco facile nell’apostrofare l’antico Maestro col beffardo nomignolo di “secondo Maometto”. Secondo Maometto: una definizione che ben si confà al rivoluzionario Mazzini, ciecamente Convinto di essere portaparola e Voce dell’Umanità con la U maiuscola.

Tornando alla patria ed ai suoi padri. I Padri della Patria, anche se morti, devono poter continuare a vivere. Se no che padri sarebbero? Dopo aver ordinato per legge che Dio è morto ed aver posto il proprio pensiero (l’Idea. avrebbe detto Mazzini) al posto del decalogo, i Padri della Patria sono stati ufficialmente dichiarati immortali e, non avendo niente di meglio a disposizione, sono stati mummificati.

Così è successo à Lenin, così a Mao, ma così in prima assoluta è successo anche a Mazzini. La sua mummia ha vagato in treno per l’Italia in cerca di laici adoratori.

Scrive Edoardo Sanguinetì sul numero del 14 luglio 2001 dello Specchio (il settimanale de La Stampa): “L’idea repubblicana; le tecniche politiche di tipo clandestino, occulto, settario; il laicismo radicale; il culto della nazione; tutto il metaforismo religioso degli eroi patriottici visti come santi. Senza Mazzini non esisterebbe l’Altare della Patria, né l’offesa alla bandiera, all’esercito, alla nazione, né si parlerebbe di martiri per un ideale politico o nazionale”. Non si poteva dire meglio. Chi ha detto che il cattolicesimo è veicolo di superstizione si sbagliava. Il cattolicesimo è baluardo della ragione.

Ricorda

“Il suo [di Mazzini] più che quarantennale operato nulla di concretamente positivo arrecò alla causa italiana, ma solo morte e violenze e utopia, il tutto contornato dalla sua personale guerra alla Chiesa Cattolica e al Cristianesimo in sé, da lui giudicato una religione individualista e comunque ormai decrepita. Da notare è il fatto che Mazzini si considerò e si presentò sempre sotto le vesti del profeta religioso, instauratore di una nuova religione spiritualista e associativa, la “religione dell’Umanità”, che avrebbe dovuto soppiantare appunto il morente Cristianesimo”.

(Massimo Viglione, in idem [a cura di], La rivoluzione italiana. Storia critica del Risorgimento, Il Minotauro, Roma 2001, p. 34).

Bibliografia

Angela Pellicciari, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme, Casale Mon.to 2000.

Massimo Viglione [a cura di], La rivoluzione italiana. Storia critica del Risorgimento, Il Minotauro, Roma 2001.

Patrick Keyes O’Clery, La rivoluzione italiana. Come fu fatta l’unità della nazione, Ares, Milano 2000.

© Il Timone – n. 22 Novembre/Dicembre 2002

Angela Pellicciari

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