Giuseppinismo
Con il termine giuseppinismo si indica la politica riformista di Giuseppe II d’Asburgo volta a ridimensionare l’autorità ecclesiastica nell’impero asburgico.
La politica ecclesiastica dell’imperatore austriaco si ispirava al febronianesimo e fu chiamata Giuseppinismo. Con essa, l’imperatore intendeva unificare nelle mani dello Stato i poteri sul clero nazionale, sottraendoli al papa e ai suoi rappresentanti, i nunzi apostolici.
Durante il regno di Giuseppe d’Asburgo furono soppressi i conventi mentre furono ridotti di numero gli ordini contemplativi e religiosi. I conventi chiusi furono almeno 700 e i religiosi passarono da 65.000 a 27.000. Nello stesso tempo l’imperatore promosse la creazione di seminari statali per istruire tutto il clero.
Nel 1781 l’imperatore abolì le discriminazioni religiose nei confronti sia dei protestanti che degli ortodossi e avvenne anche l’emancipazione degli ebrei.
Riassumendo, quattro sono gli obiettivi delle sue riforme ecclesiastiche:
- Ridurre la Chiesa sotto il completo controllo dell’autorità statale. Per questo bisognava rendere più difficili se non impossibili i rapporti dei vescovi con Roma:
- estensione del placetgovernativo a tutti gli atti che provenivano da Roma;
- limitazione o soppressione delle immunitàdella Chiesa, specie il foro ecclesiastico;
- permesso ai vescovi di dare le dispense matrimoniali senza ricorrere a Roma;
- venne interdetto l’appello a Roma, vietate le relazioni dirette con la Curia romana, sottratti i religiosi dalla dipendenza coi superiori generali di stanza a Roma, proibito ai seminaristi di studiare al Collegio Germanico di Roma;
- esclusiva giurisdizionestatale sul matrimonio religioso, l’unica competente.
- Riordinamento della situazione economica del clero. Tale situazione non era delle migliori, soprattutto per i religiosi. Per questo confiscò i beni di istituzioni religiose sclerotizzate, i beni male o poco utilizzati e i beni dei conventi contemplativi che fece chiudere; con il ricavato creò un fondo per il culto, che li avrebbe distribuiti secondo le necessità. Si vede come la confisca non andò a vantaggio dello Stato ma ancora della Chiesa: infatti il clero fu meglio stipendiato, e vennero create 700 nuove parrocchie, sostitutive dei 700 monasteri soppressi. Il tutto però, anche economicamente, dipendeva dallo Stato.
- Riforma degli studi ecclesiastici. Vennero creati 4 seminari generali (Vienna, Pest, Pavia e Lovanio) e 8 proseminari (Praga, Olmith, Graz, Innsbruck, Friburgo, Lussemburgo e 2 a Lemberg), in cui gli allievi avrebbero dovuto seguire un programma di studi in cui prevalevano le discipline positive (storia, diritto, scrittura, patristica). Questo nuovo indirizzo, sorto sotto l’influsso del benedettino Rautenstrauch, si opponeva al metodo scolastico dei gesuiti (teologia speculativa decadente), ma era viziato dall’ispirazione giusnaturalistica dei testi e dei professori imposti dallo Stato e dalla prevalenza della morale e della pastorale sul dogma.
- Riforma della cura pastorale. Una serie di leggi dette un nuovo assetto alle diocesi e alle parrocchie (creandone di nuove specialmente nelle campagne, prima povere di assistenza spirituale), soppresse un terzo dei conventi, ridusse le feste, riorganizzò il culto (fin nei minimi dettagli: numero di candele, durata della predica, numero degli altari per chiesa, limitazione del turibolo, ecc.).
Tale politica ecclesiastica suscitò l’opposizione del papa Pio VI, che nel 1782 andò fino a Vienna per tentare invano di moderare le riforme dell’imperatore, che di fatto rimasero in vigore fino al Concordato con l’Austria del 1855.
fonte
cathopedia.org