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Gli anni d’oro dello Stupor Mundi, la Sicilia superpotenza mondiale/ Storia della Sicilia del professore Massimo Costa 16

Posted by on Apr 17, 2021

Gli anni d’oro dello Stupor Mundi, la Sicilia superpotenza mondiale/ Storia della Sicilia del professore Massimo Costa 16
  • La vittoria sui Saraceni 
  • Come Federico riforma le istituzioni centrali del Regno
  • Riforme amministrative e monetarie
  • Uno Stato cristiano, ma laico. L’Aquila di Sicilia e la Nuova “Lega Lombarda”
  • La “sua” VI Crociata, l’unica senza spargimento di sangue
  • Federico II costringe il Papa alla pace 
  • Le Costituzioni di Melfi e altre iniziative pubbliche
  • Nasce la letteratura siciliana

La vittoria sui Saraceni

Federico riporta l’ordine nel Sud Italia ma non riesce ad adempiere alla promessa della Crociata. Si volse poi a restaurare, con successo, l’autorità regia sull’Italia meridionale, giacché la moglie fino ad allora si era limitata a governare in qualche modo sulla Sicilia, lasciando il Continente nella totale anarchia feudale. Federico tolse tutte le usurpazioni, ristabilì l’ordine, e convocò a tale scopo un Parlamento a Capua per i due stati continentali. Da questo momento in poi, pur restando sempre un’amministrazione assai decentrata, il Ducato di Puglia-Principato di Capua (le due amministrazioni sarebbero state ormai congiunte) venne organizzato con una burocrazia parallela, anzi gemella, rispetto a quella della “Sicilia” propriamente detta (Sicilia e Calabria), la cui amministrazione è ora centrata forse più su Messina che su Palermo. Federico, in altre parole, tentò seriamente di costituire uno Stato siciliano unitario che andasse dalla Sicilia all’Abbruzzo, e non più uno Stato siciliano con possedimenti nell’Italia meridionale, come era stato con i Normanni. Altro Parlamento tenne a Messina, riavvicinandosi sempre più al cuore dei suoi domini. Ormai la sua autorità nel Regno di Sicilia era ben salda, disturbata soltanto dalle continue pressioni pontificie per l’organizzazione di una Crociata. In effetti Federico armò in quel frangente una flotta per aiutare i Crociati che occupavano la città di Damietta in Egitto, ma questa non arrivò in tempo e comunque tornò indietro senza nulla di fatto, e a nulla valse la punizione di Federico al Conte di Malta, comandante della spedizione, per ristabilire buone relazioni con il papato. Anche in Sicilia è riportato dappertutto l’ordine. In quegli anni Federico, però, era impegnato soprattutto a ristabilire la sua autorità in tutta l’Isola, scacciando i Genovesi da Siracusa e volgendosi quindi contro i Saraceni in Sicilia. Sconfitti questi, ne deportò i superstiti in Puglia, a Lucera, sotto la sua protezione, dove divennero suoi fedelissimi sostenitori. 

Come Federico riforma le istituzioni centrali del Regno

Per qualche tempo Palermo rimase la capitale amministrativa di questa costruzione, ma poi, fatalmente preso da un baricentro spostato verso il Nord, le assenze dalla capitale nominale si andarono intensificando. Alla morte della regina Costanza (1222), che presidiava l’amministrazione a Palermo, il testimone fu passato all’Arcivescovo Berardo, stabilissimo braccio destro dell’Imperatore-Re, ma ormai le funzioni più importanti seguivano la corte itinerante, e Palermo, pur restando la metropoli più importante del Regno, dove Federico teneva reggia nelle grandi occasioni, cominciò ad essere trascurata. A Palermo rimase l’ufficio prestigioso della Cancelleria del Regno, ma dal 1221 Federico non avrebbe nominato più alcun Cancelliere, preferendo un’amministrazione decentrata e itinerante, e – per le funzioni restate in capo alla cancelleria – ormai più burocratiche che politiche, queste furono affidate ai cappellani della Cappella Palatina. Egli, invece, cominciò a risiedere sempre più stabilmente in Puglia, e in particolare a Foggia, baricentro geografico dei suoi svariati domini. Il declassamento della Cancelleria rese autonomo un antico ufficio, prima posto alle sue dipendenze, quello del Maestro Notaro, o Protonotaro del Regno, che poi assorbì quello analogo del Logoteta del Regno, di origine bizantino-siceliota: Pier delle Vigne (1247) fu il primo “Protonotaro e Logoteta del Regno”, una sorta di segretario ufficiale, nonché custode degli atti ufficiali dello Stato. Questo ufficio sarebbe continuato ininterrotto sino al 1819. Altro importante ufficio, all’avanguardia per i tempi, fu l’istituzione di una vera e propria magistratura contabile: la Magna Curia dei Maestri Razionali, nel 1240. La Sicilia era quindi il centro politico di una monarchia universale, e se per un momento Palermo era potuta sembrare la “capitale del mondo”, la Sicilia era anche proiettata su ambizioni politiche più ampie di quelle strettamente nazionali siciliane, restandone infine quasi trascurata.

Riforme amministrative e monetarie

Per il resto gli ordinamenti ereditati dai Normanni furono mantenuti e perfezionati. Si privilegiò il livello “provinciale” dell’amministrazione. Il Regno di Sicilia propriamente detto era distinto nella Calabria Citra (Cosenza), Calabria Ultra (Reggio), Sicilia al di qua del Salso (Messina), Sicilia al di là del Salso (Palermo). Il Ducato-Principato (Puglia-Capua) era diviso in altre province, con uffici pressoché identici, che poi avrebbero costituito la mappa amministrativa del futuro Regno di Napoli e, tutto sommato, delle attuali province. Le due amministrazioni, “siciliana” e “pugliese”, trovavano poi nella Corte e nelle leggi emanate dal Parlamento (le Costituzioni) il loro momento unitario. Si noti che la distinzione in Valli, se non del tutto abbandonata, andò un po’ in ombra: Val Demone e Val di Noto erano insieme “Al di qua del Salso” (si adottava il punto di vista imperiale romano), mentre il Val di Mazara era “al di là” e col tempo si sarebbe parlato anche di “Vallo di Girgenti” come distinto dal Val di Mazara al suo interno. Per il Regno di Sicilia propriamente detto la zecca fu accentrata a Messina (per il “Ducato-Principato” era invece a Brindisi). A Federico si deve la coniazione dell’Augustale, moneta aurea del valore nominale di 5 Tarì (e cioè pari a un sesto di onza, la moneta virtuale di computo), vero simbolo della potenza e stabilità del Regno.

Uno Stato cristiano, ma laico. L’Aquila di Sicilia e la Nuova “Lega Lombarda”

La figura di Federico II destò per i tempi scalpore e scandalo. Interessato alla scienza, poliglotta, cristiano ma laico, anzi anticlericale, e tuttavia persecutore degli eretici, impersonava lo spirito ghibellino e anticipava i tempi moderni in un’epoca ancora oscura. Per questa ragione fu detto, in positivo “stupor mundi”, ma anche, in negativo, fu dipinto come un vero Anticristo. Non riteniamo ben fondate queste ultime accuse, che furono lanciate esclusivamente dalla propaganda papale e guelfa, per motivi essenzialmente politici, piuttosto che religiosi. L’unico intervento in campo strettamente religioso di Federico fu una costituzione con cui condannava l’eresia patarina e stabiliva il culto cattolico come unica confessione cristiana ammessa nel suo regno. Altra cosa fu la tolleranza nei confronti di ebrei e musulmani, ma questo va solo a vantaggio dell’intelligenza politica del grande sovrano. A lui si deve l’adozione dell’Aquila (nera in campo argenteo, almeno nella versione adottata dal figlio Manfredi e poi rimasta classica), come simbolo del Regno di Sicilia, che andò a sostituire lo scudo blu, inframmezzato dalle strisce bianche e rosse, degli Altavilla. Con alcune aggiunte e modifiche grafiche, quelle aquile sarebbero rimaste il simbolo politico della Sicilia sino al 1848, per tornare nel Gonfalone dell’attuale Regione, nel recente 1990, oggi usato di fatto come stemma della Presidenza della Regione. Federico, ancora stabilmente in Sicilia negli anni ’20, cerca di restaurare l’autorità regia anche nel Regno d’Italia, ma Comuni e feudatari “Lombardi” si riuniscono in una Lega per contrastare le pretese Imperial-Regie. Con la mediazione papale si addiviene a qualche compromesso ma lo scontro è solo rinviato a dopo la Crociata.

La “sua” VI Crociata, l’unica senza spargimento di sangue

Nel 1225 sposa Jolanda, detta anche Isabella (II) di Brienne, regina di Gerusalemme. A quei tempi il Regno crociato di Gerusalemme si era ridotto a una striscia di terra sulla costa palestinese, centrata su San Giovanni d’Acri; il regno era già stato governato dal padre, Giovanni di Brienne, come reggente per la figlia, la quale aveva ereditato il regno dalla madre. Con questo matrimonio la Sicilia prendeva sotto tutela il piccolo regno orientale, che ne diventava come un’appendice (da cui dipendeva feudalmente la Contea di Tripoli, e, in maniera più contestata, anche il Principato di Antiochia). Nel 1228, alla morte di Jolanda, fu coronato re di Gerusalemme il piccolo Corrado (il futuro Corrado IV imperatore). La crociata, però, da lungo tempo promessa al pontefice, non poteva rinviarsi, anche perché a causa del suo ritardo e di una falsa partenza a causa di malattie diffuse, aveva costretto la flotta a tornare indietro. Federico era stato colpito per ben tre volte dalla scomunica di Gregorio IX. Ma questa si sarebbe rivelata un grande successo diplomatico: con il Trattato di Giaffa (1229) la Sicilia otteneva pacificamente da Al Kamil, sultano egiziano in ottimi rapporti con Federico, e in preda a problemi suoi interni, i luoghi santi per un certo periodo in modo pacifico, ciò che consentì a Federico di coronarsi anche Re di Gerusalemme, rilevando la corona dal figlio e unendola a quella di Sicilia. Nel frattempo Gregorio IX, anziché ringraziarlo per questo successo, gli aveva armato un esercito contro che aveva invaso la parte continentale del Regno, aizzava lombardi e tedeschi contro il potere imperiale, impediva al Patriarca latino di Gerusalemme di incoronarlo, costringendo Federico a porsi sul capo quella corona con le proprie mani.

Federico II costringe il Papa alla pace 

La città di Gerusalemme sarebbe rimasta in mani siciliane fino al 1244, quando fu ripresa dai musulmani e il regno crociato, ormai agonizzante, si ridusse di nuovo alle fortezze costiere. Alla morte di Federico sarebbe passato al secondo figlio legittimo ancora vivo, Enrico e, alla morte prematura di questo (1254), nuovamente a Corrado, ma questi ormai poteva dirsi più re tedesco che siciliano. L’invasione angioina della Sicilia avrebbe reciso ogni legame di questa con l’oriente (del resto di lì a poco, dopo la morte di Corradino di Svevia, ciò che restava del Regno andò ai re di Cipro, e infine fu definitivamente sopraffatto dai musulmani). Al ritorno dalla Terra Santa trovò disordini causati dal papato che non riconosceva la crociata portata a termine da uno scomunicato e per di più senza spargimento di sangue. Federico passò diversi mesi a riportare l’ordine con le armi. Alla fine costrinse il Papa alla pace, a San Germano, ai confini del Regno, nel 1230: restò solo una disputa sulla città di Gaeta rivendicata dal Papa, risolta nel 1232 con un arbitrato a favore della Sicilia.

Le Costituzioni di Melfi e altre iniziative pubbliche

Sul piano interno la monarchia fridericiana è segnata da una ampia rivalutazione del diritto romano, sul piano civile, e su una imponente opera di codificazione del diritto pubblico dei tempi (fiscale, penale, processuale, e vario) che Federico volle per importanza pari a quella del Corpus Juris di Giustiniano. Nel Parlamento di Melfi (1231) furono approvate le “Costituzioni melfitane”, che per secoli avrebbero costituito l’ossatura di base tanto della legislazione napoletana quanto di quella siciliana. Le Costituzioni furono redatte in latino e in greco, allora ancora le due lingue ufficiali del Regno, sia pure con un regresso progressivo della seconda rispetto alla prima. La macchina fiscale fu rafforzata, le gabelle, rispetto a quelle statuite da Guglielmo il Buono, praticamente raddoppiate, al fine di mantenere l’amministrazione di uno Stato moderno. Federico fece riprendere anche lo studio del diritto romano oltre a riportarlo pienamente in vigore. Tra le riforme piace ricordare quella che consentiva anche alle donne di ereditare i beni allodiali (cioè le proprietà private, non di diritto feudale). Fu riordinata la Magna Curia, o Gran Corte civile e criminale. Furono ridotti drasticamente i diritti dei baroni ad esercitare la giustizia e furono aboliti i barbari “giudizi di Dio”, sostituiti con le prove testimoniali. Furono introdotti gli atti scritti nei processi giudiziari. Federico fondò l’Università di Napoli (1224), perché il Regno trovasse al proprio interno dove formare i propri giuristi, e le famiglie non dovessero più mantenere i figli agli studi nella lontana Bologna. A lui è attribuita la fondazione di Augusta e la rifondazione di Gela, sotto il nome di Terranova.

Nasce la letteratura siciliana

Siciliani furono ancora i primi autori di una poesia in lingua volgare, esplicitamente favorita da Federico. Con Federico, quindi, nasce la letteratura siciliana propriamente detta. I codici dei “siciliani”, saranno poi traslitterati da autori toscani e lombardi in volgari italiani, e quasi tutti in questa forma sarebbero poi giunti fino a noi, dando così origine, per questa via, anche alla letteratura italiana propriamente detta. Si tenga conto, tuttavia, che il confine tra dialetti napoletani e lingua siciliana doveva essere ai tempi molto più “alto” di quello attuale. Il siciliano, con ogni probabilità, era allora parlato nell’intera Basilicata, nel Cilento, fino alla Terra di Bari, oltre che ovviamente anche nel Salento e in Calabria come oggi. E quindi poteva legittimamente assumere a quel ruolo di “lingua nazionale” cui forse pensava il monarca siciliano.

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