Alta Terra di Lavoro

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GLI ECCIDII NELLA SIRIA E L’INTERVENTO FRANCESE

Posted by on Lug 26, 2020

GLI ECCIDII NELLA SIRIA E L’INTERVENTO FRANCESE

Questo articolo di Civiltà Cattolica dell’estate del 1860 è interessante soprattutto alla luce di quanto sta avvenendo in questi giorni in Libia. Nel testo si parla dell’intervento francese in Siria.

Ovviamente l’articolista è favorevole all’intervento a tutela dei cristiani ma si chiede come si possa conciliare il fatto che per la penisola italiana sia stato sbandierato il principio del Non Intervento negli affari interni di altri paesi e stigmatizza la posizione del Constitutionnell che non parla di intervento ma di Cooperazione!

Riportiamo alcuni passaggi tratti dall’articolo che spiegano meglio del nostro commento il tutto:

“Un preteso principio di dritto pubblico, che fa ottimo giuoco per mantenere e propagare lo scompiglio in Italia, non permetteva che, senza offesa manifesta del senso comune e della logica, si andasse nello stesso tempo a cessare uno scompiglio analogo nella Siria; e dall’altra parte un Governo, che traffica sulle sedizioni e sulle rivolte, come sul carbon fossile e sul cotone, si opponeva all’aiuto che quanti sono sinceri Cristiani volevano veder porto colla possibile speditezza; ed, in forza del principio accennato, voleva quel Governo, che i Cristiani componessero da se soli i loro dissidii coi Turchi, ancorché, a’ termini a che le cose eran condotte, si prevedesse non vi poter essere altra maniera di componimento, che l’assoluta estinzione del nome cristiano in quelle contrade.” Cfr. pag. 524

“Ora poiché l’Italia, non sappiamo se nell’intenzione, ma è certo che per effetto di un prepotente Intervento straniero era stata quasi tutta lasciata opprimere da una fazione; e perciocché si era stabilito che, a cessare quella oppressione, non fosse lecito ad alcun’altra Potenza intromettervisi efficacemente; era naturale che non si avesse fronte di fare nel Libano ed in Damasco quello, che si dice non potersi fare, esempligrazia, in Toscana e nelle Legazioni. Se l’Italia, come si asserisce in una lettera, cui già conoscono i nostri lettori, deve acconciarsi da sé, non importa come, purché non vi sia Intervento straniero, per qual ragione non potrà dirsi lo stesso della Siria, a rispetto della quale si annunzia, benché molto a malincorpo, l’intervento straniero?” Cfr. pag. 525

“Non vogliamo tuttavia preterire una pellegrina scoperta del Constitutionnel, colla quale quel valentuomo dell’articolista si è avvisato di toglier di mezzo anche l’ombra della incoerenza notata più sopra; e ciò per effetto di una parola escogitata e sostituita destramente a quell’altra che, or permessa or negata, si faceva principio d’incoerenza. Egli dunque con gran sussiego ha fatto sapere all’Europa, come in Siria dalla parte delle Potenze occidentali non vi sarà Intervento (vi pare? neppure in sogno! ); ma vi sarà in quella vece una semplice Cooperazione, e s’intende Cooperazione armata; ché le Cooperazioni di chiacchiere sappiamo quel che valgono, e si sono non che usate ma sprecate per l’Italia, cavandone quel costrutto che tutti conoscono.” Cfr. pag. 531

Buona lettura!

GLI ECCIDII NELLA SIRIA E L’INTERVENTO FRANCESE

Se in altra età alquanto remota dalla nostra si fossero visti od uditi gl’immensi apparecchi militari, onde nel 1854 la Francia e l’Inghilterra, alle quali venne poscia ad interzarsi, non si sapea perché, il Piemonte, si disponevano a portare la guerra in Oriente, certo si sarebbe pensalo le armi cristiane recarsi sulle sponde del Bosforo e sotto le mura dell’antica Bisanzio, per compiervi l’antico voto dell’Europa civile col recare finalmente a niente la dominazione turchesca. E pure le armi cristiane vi andarono per fare precisamente il contrario: cioè per sostenerla. Forse un mezzo milione di vite spente ed un mille milioni di franchi profusi in una guerra, che riuscì così micidiale e dispendiosa appunto perché combattuta col presidio di tutti i trovali, ond’è superbo il moderno progresso filantropico; tanto sangue versato, diciamo, e tante ricchezze sperperale ebbero per effetto il prolungare di alquanti anni le turpi agonie di una dominazione barbara e decrepita, che è un obbrobrio dell’Europa cristiana, come in altri tempi ne fu un pericolo immenso ed un tremendo flagello. Se a spettacolo cotanto nuovo fossero sorti dai loro sepolcri gli antichi Crociali, appena avrebbero creduto ai loro occhi, che l’Europa cristiana facesse tanto per mantenere in piedi quella Signoria, per cui obliterare essi erano caduti, ed avesse, quasi premio dei suoi sacrifizii, il lasciare il sepolcro di Cristo in mano degl’Infedeli.

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Non ignoriamo che una tal guerra si disse impresa, non tanto perché quelle province un tempo floridissime rimanessero sotto l’impero svilente della mezza luna, quanto perché esse non andassero ad accrescere una Potenza già, eziandio senza quelle, troppo grande, e che vi protende da oltre un secolo il cupido sguardo. Tutti intendevano che il protettorato russo sopra i tredici milioni di Greci, che abitano con tre soli milioni di Musulmani la Turchia europea, od equivaleva ad una dominazione o vi sarebbe in piccolo tempo riuscito. Or questo riguardo, certo gravissimo, di semplice ragione politica, mentre da una parte poteva giustificare la guerra, potea dall’altra renderla accettevole anche ad un occhio cattolico, in quanto impediva il tanto afforzarsi dello scisma, ed alla stess’ora faceva sperare che se ne sarebbe vantaggiata non poco la condizione dei Cristiani posti sotto la dominazione del Turco. Perciocchè, quando questi si fosse vista appunto dai Cristiani difesa e mantenuta una Signoria, la quale esso non era in grado di sostenere neppure un giorno contro il prepotente ed ambizioso vicino, il meno che le Potenze amiche avrebbero potuto aspettarne era il veder trattali umanamente e proietti i loro fratelli nella medesima credenza religiosa.

La quale speranza ragionevole per tutti acquistava per alcuni certezza improvvida ed esagerata, atteso una illusione singolarissima, che occupava ed occupa tuttavia le menti foggiate sui nuovi principii del progresso moderno, e per conseguenza molle di quelle che governano le pubbliche cose del mondo. E la illusione, che dicevamo, è posta nel credersi bonamente che, a furia di consigli ufficiosi, di autorevoli insinuazioni ed anche di aiuti poderosi possa l’impero turchesco diventar civile, fino a non aver nulla da invidiare alle nazioni europee. Concetto, se altro ne fu mai, insipiente e prepostero, il quale rivela quella separazione assoluta dell’incivilimento dal Cristianesimo, la quale è l’intendimento finale dei nostri moderni riformisti e forse è la piaga più sanguinosa del tempo corrente. Perciocchè, supposto che la civiltà dimori nello starne il più che si possa bene in questo mondo, quanto a tutte le materiali appartenenze del vivere sociale, nella ricchezza, nella potenza, nelle industrie, nei commerci, nelle agiatezze, nei godimenti e via dicendo; non si vede per qual ragione i Turchi non vi debbano far pruova altrettanto felice che i Cristiani;

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e perché anzi l’Alcorano non vi debba poter contribuire quasi un po’ meglio che l’Evangelio. Certo se pel Papa il domina cattolico è un impedimento a governare civilmente i popoli, come intendono il governo civile parecchi statisti e diplomatici del nostro tempo; questi possono star tranquilli ed assicurarsi che un tale impedimento, ad essi così incomodo in Roma, non lo troveranno per fermo in Costantinopoli; dove, almeno per questo capo, la società potrà progredire più sciolta e spigliata, che non sotto il governo di un Pontefice. Nondimeno chiunque capisce come la vera civiltà consiste in qualche altra cosa, che nell’avere il Comune Ministeri e Direzioni montate all’uso nostrano, e nel portar gl’individui cappello a cilindro, brache lunghe e giubba a coda di rondina, chiunque, diciamo, intende che oltre a questo si richiedo qualche altra cosa perché un popolo possa dirsi civile, sorriderà di compassiono sopra lo stranissimo concetto di chi si è immaginato che il Turco possa diventar civile, restando Turco. Ed i fatti entrano opportunamente, benché dolorosamente, a confermare la teorica.

Quando l’Europa avea tutto il diritto di aspettarsi riconoscenza dall’Impero ottomano da lei campato dalla distruzione ad opera di una guerra gigantesca; quando esso avea promossa proiezione e libertà ai tanti milioni di suoi sudditi cristiani, e ne avea rogalo atto solenne nel famoso Hatti-Humaium, promulgato sul finire della guerra, come frutto e premio di questa; quando il Congresso di Parigi avea trattalo la Turchia con una dilicatezza e preveggenza così squisitamente paterna, che beato il mondo se ne avesse adoperato un decimo col Governo pontificio; quando in somma tanti pegni si erano dati e ricevuti che i seguaci di Maometto, messisi una buona volta sulla via dell’incivilimento, avrebbero usato verso i Cristiani non diciamo altro che umanità, ecco i Drusi, tribù selvagge, mezzo musulmane, mezzo idolatre, ma suddite della Porta, levarsi non provocali contro i Cristiani della Siria, e specialmente del Libano e di Damasco, rompendo in tali eccessi di saccheggi, di oltraggi bestiali, di distruzioni, di macelli, di crudeltà immani e raffinate, da non restare indietro a quali furono età più feroci e sanguinose del fanatismo maomettano.

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Noi non istaremo qui a descrivere quelle scene di orrore, le quali, narrate nei pubblici diarii pei sommi capi, han fatto raccapricciare e fremere in questi ultimi due mesi dall’un capo all’altro l’Europa; ché i nostri lettori già ne debbono essere informali abbastanza. Vera cosa è che l’inestimabile scompiglio, in che versano quelle infelici contrade, rende per ora assai malagevole l’avere di quegli eccidii contezze particolareggiate e sicure. Tuttavolta, stando sulle generali, è indubitato pur troppo, questi essere stati ed essere ancora così smisuratamente vasti, che non meno di venticinque mila vite ne caddero vittime e d’ogni sesso e d’ogni età solo, dopo i casi di Damasco, i quali furono come il terzo atto del dramma sanguinoso. Che se alcuna volta si è perdonalo a donne e fanciulli, ciò è stato per venderli schiavi, ed oggi appunto leggiamo nei giornali essersi non ha guari vendute tre mila donne al prezzo di venti piastre per capo; che vuol dire meno di uno scudo, trattandosi della piastra turca ch’è pochissima cosa. Oltre a ciò, è indubitato che la sola cagione del vedersi tante migliaia di esseri umani fatti segno a quel più che bestiale furore, è la loro condizione di Cristiani; e cosi più che altri ne sono fieramente investiti quelle parecchie centinaia di missionarii e religiose di Europa e particolarmente della Francia, i quali e le quali, valedicendo alla patria, eransi colà recati per operare alla conservazione e per caldeggiare gl’incrementi del Cristianesimo. Da ultimo è indubitato che, oltre alle persone, quanto vi avea in Soria di cristiane istituzioni, quasi tutto è stato nel giro di poche settimane recalo a niente; ed, a non dire degl’innumerevoli villaggi e degl’interi quartieri cristiani delle maggiori città incendiati e distrutti, ma chiese e scuole e conventi ed orfanotrofii e seminarli ed ospedali, istituti ed edifizii eretti ad opera T infiniti stenti e dispendii notevolissimi tutti a carico dei Cattolici occidentali, sono volli ora in cumuli miserandi di ruine, che coprono spesso i cadaveri scerpati e sanguinosi dei loro pacifici abitatori. Della quale terribile catastrofe è circostanza sopra qualunque altra notevolissima il vedere, come ai rappresentanti delle Potenze europee anche grandi non si è avuto riguardo quanto che menomo; e la riverenza, che al loro carattere si porta eziandio tra genti selvagge, non è bastala a far sì che essi potessero, non che tutelare i proprii connazionali, ma mettere al coperto le proprie abitazioni e le proprie vite.

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Registrata che sia la sola non diciamo ancora scandalosa, ma possiam ben dire misteriosa eccezione fatta pei Consoli inglesi, tutti gli altri, non esclusi quelli della Francia e della Russia, furono quali trucidati, quali gravemente feriti, quali sottraili per miracolo all’eccidio; ed oggi stesso ci recano le pubbliche efemeridi che il console spagnuolo è stato bruciato vivo con tutti i suoi nella propria casa in Damasco. E perché apparisse che il sanguinoso oltraggio voleasi fatto nelle persone dei Consoli alle nazioni per essi rappresentate, le bandiere e gli stemmi furono obbrobriosamenle vilipesi ed, essendo stati gli archivii manomessi, fu brucialo e sparto al vento quanto vi avea di carte e di memorie anche rilevantissime.

Né vale il dire che quegli eccessi sono stati perpetrali dai Drusi, senza che se ne possa riversare la colpa sopra le autorità musulmane e mollo meno sopra il Governo di Costantinopoli. Quand’anche questo e quelle non vi avessero avuta altra parte, che l’assoluta impotenza d’impedirli, già per questo solo ne dovrebbero star pagatori innanzi all’Europa meritamente indegnata, essendo precipuo e forse primo dovere di qualunque Governo il tenersi in condizione di tutelare le sustanze e le vite dei proprii sudditi, sicché una parie notevole di questi non sia investila ed assassinala dall’altra; soprattutto quando il debito generale di quella tutela è fallo più grave per gì’ impegni presi e per le solenni promesse datene a Potenze amiche e protettrici.

Ma è poi certa l’impotenza, in che sonosi trovate le autorità musulmane di proteggere i Cristiani indigeni e stranieri, sicché ad esse non si dehba riputare che una colpa, diciam così, negativa, quantunque nel presente caso eziandio questa non sia leggiera? Questa è stata la tesi. cui si è tolto a sostenere il Ministero inglese; ed è incredibile con quanto fraterna amorevolezza si siano da alcuni suoi membri magnificate nelle Camere le nobilissime intenzioni del Gran Turco e gl’intendimenti umani e civili del suo Governo. Che se (si soggiungeva) avvennero quei piccoli sconcerti (e pei Consoli inglesi non furono neppur piccoli), le stesse autorità musulmane vi metteranno riparo; ed è singolarissimo che debba bastare ad opprimere una immensa sedizione, imbaldanzita pel portalo trionfo, chi non bastò a fermarla sulle prime mosse!

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Ma sgraziatamente tutte le relazioni venute di colà, compresavi l’autorevolissima testimonianza del famoso Emiro AbdelKader, contraddicono alla tesi del Ministero britannico; e si accordano unanimemente a rappresentarci le autorità e le soldatesche musulmane, non che conniventi, ma complici dei macelli consummati in Siria a danno dei Cristiani, e segnatamente dei Maroniti, i quali, senza la derisoria protezione del Governo, avrebbon potuto, se non prevalere, essere straziati meno dalle bande dei Drusi, meno numerosi di loro, benché, come selvaggi che assaltano da banditi, mollo più forti. Ed è sì vera quella connivenza o complicità governativa, che il medesimo Gabinetto di S. James, obbligato a metter fuori alcuni documenti ufficiali riguardanti quegli avvenimenti, non poté preferire di pubblicarne parecchi, dai quali si raccoglievano manifestamente i titoli evidenti, onde la responsabilità di quelle stragi pesa in gran parte sul Governo turco. Ad onta di tutto ciò, il Palmerston non dubitò di dire in pubblico Parlamento, quel Governo in questi ultimi venti anni aver progredito nella via della civiltà, quanto nessun Governo europeo nello stesso tempo non avea fatto; e quindi non è a meravigliare che lord Loftus, ambasciatore inglese a Vienna, annunciasse, la opinione del suo Governo essere che la Siria si lasciasse nello statu quo, commottendo al Sultano il pensiero di recarvi ordine, senza che se ne dovesse mescolare alcuna delle Potenze occidentali. Oh! Che? Lo statu quo dell’Italia prima del 1859 era cosa cotanto orribile e tenebrosa, che il Russell in tutta la Penisola appena vedeva un punto luminoso nel Piemonte: sicché dovette bruscamente mescolarsene chi o la condusse o la lasciò condurre alla tranquillità serenissima, ond’essa ora si sta beando. Ma la presente condizione della Siria, dove tutto è sangue, distruzione ed incendii; dove in meno di cento giorni furono trucidali forse cinquantamila Cristiani coll’imminente rischio che l’immenso eccidio si dilati a tutta l’Asia minore e perfino sul Bosforo, cotesto ò uno statu quo, che ai Ministri inglesi sembra doversi mantenere ad onore e gloria della moderna civiltà, nella quale il Turco sta facendo passi cotanto cospicui.

Ma lasciando stare la baldanzosa impudenza di uomini orgogliosi che, per avere a loro servigio molle navi con molti cannoni,

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si credono avere il diritto di fare a fidanza colla coscienza e col buon senso dell’Europa, noi, pei quali fuori del Cristianesimo non vi può essere che barbarie più o meno forbita, ma barbarie sempre; noi non possiamo non commiserare altamente l’insipienza di chi si è avvisato potersi introdurre civiltà tra i professori di una legge che ha per essenziale insegnamento l’odio sfidato ed irreconciliabile del nome cristiano; che delle cose umane non conosce altra norma, che uno stupido fatalismo, e secondo la quale la laidezza del costume schiùde il varco, come spesso avviene, alla ferocia più insensata. Gli è vero che quando ai seguaci di Maometto si fosse appreso un qualche spruzzolo di volterianismo, da essi si terrebbe l’Alcorano nel medesimo conto, in che si tiene il Vangelo dai volteriani italici e parigini; e da uomini così raffazzonati non ci è alcun dubbio che possa spillarsi un po’ di civiltà, come la intendono questi valentuomini, cominciando dal diventar più che brilli, vuotando molli fiaschi alla salute o alla barba dell’astemio profeta. Certo le patetiche e sentimentali descrizioni degli Harem di Costantinopoli, regalale dalla Belgioioso, ha qualche anno, alla Revue des deux Mondes, poco o nulla si differenziano dagli scandalosi garbugli, che il giornale medesimo si piace a descrivere mollo spesso, come avvenuti nel bel mezzo delle società civili di Europa. Ma oltre che la civiltà anche moderna non consiste poi tutta in quelle scene domestiche, come le chiamano; egli vuole osservarsi che a costituire una civiltà informata di soli elementi naturali, senza alcun riguardo religioso, quale non fu nemmeno la pagana, non basta che l’assoluta incredulità siasi appresa in pochi cervelli privilegiati; ma è uopo che abbia in qualche modo pervase le moltitudini. Ora se ciò sia giù avvenuto in qualche contrada europea, noi non vogliamo definire; ma il certo è che non è avvenuto in nessuna maniera nell’Impero turco, dove le popolazioni sono tuttavia stranamente fanatiche pel loro profeta, quasi com’erano quattro o cinque secoli addietro; e con quel fanatismo è stoltizia il pretendere di comporre la civiltà alla maniera nostrana; ed è però ridicola la maraviglia di chi si stupisce al vedere da quel fanatismo stesso erompere quegli eccessi d’inaudita e bestiale ferocia,

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che si riproducono a’ di nostri in ogni loro parte identici se non anche più feroci di quelli che contristarono ed atterrirono l’Europa di quadro o cinque secoli addietro. Finché la cagione permane la stessa, potrà bene impedirsene temporaneamente l’effetto con poderosi rallenti, onde si riesca a circondarla; ma quando questi o rimettono o cessano, e più ancora quando alla causa già predisposta si porgesse stimolo ed eccitamento, la meraviglia del vederne seguire l’effetto sarebbe somigliante a quella, che altri prendesse dallo scorgere dilagare la fiumana, rotte le dighe, od infiammarsi la polvere da cannone messa a contatto col fuoco. Talmente che il solo mezzo che vi sarebbe ad impedire per sempre il ritorno di cotesti eccessi dei Turchi a danno inestimabile de’ Cristiani, è posto o nel cristianeggiarli: il che certo sarebbe più desiderabile e sarebbe eziandio fallibile, quando lo zelo cattolico, fecondato dalla pietà divina, ne schiudesse loro la via; ovvero nel rendere loro impossibili quegli eccessi stessi: il che non si otterrà mai, finché essi saranno padroni in contrade, i cui abitatori in gran parte e talora nella maggior parte sono Cristiani.

Chi pertanto vuol conoscere la cagione di quei dolorosi eccidii non deve cercarla altrove, che nello stupido e feroce fanatismo dei seguaci di Maometto, i quali, sempre parati a satisfare l’odio che professano ai Cristiani, credettero non trovare ostacolo nella debolezza notoria del Governo, poterono promettersi una condiscendenza che sarebbe poco dissomigliante dalla complicità, e dalla parte della soldatesca poterono anzi sperare una verissima complicità, all’opera atroce e nefanda. Che se portino agli orecchi di quei barbari fosse giunto il vago rumore della nuova massima professala a’ di nostri in Occidente, vogliamo dire del Non intervento, essi han potuto eziandio presumere di non trovare, nella loro impresa di distruzione, né ostacolo né gastigo dalla parte di Potenze, le quali, avendo stabilito ogni popolo dover provvedere a sè medesimo, senza che altri possa a qualunque titolo mescolarsene, rinnegherebbero sé stesse, ogniqualvolta volessero impedire che il popolo musulmano provegga a sé stesso, sgozzando Cristiani, missionarii, Consoli, suore, donne e fanciulli per questa sola ragione che sono battezzati.

Benché nondimeno queste cagioni, diciam cosi, negative abbiano potuto bastare a determinare l’effetto, pure molti giornali

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hanno creduto più che probabile che qualche positivo eccitamento vi sia stato, ed al solito si sono gettali a diversissime ipotesi, ciascuno alla sua maniera, per astrolagarne il vero. Fuvvi chi di quei pretesi eccitamenti riversò la colpa sopra la Russia, quasi essa da quelle turbolenze volesse pigliar cagione di occupare una eredità di lunga mano ambita, e la quale essa si tiene in pugno; e l’averle il Gortschakoff pronunziate un quattro o cinque settimane prima che avvenissero, è tolto da quei malevoli, non ad indizio di preveggenza politica e d’informazioni veraci, come pur si potrebbe, ma di averle essa medesima apparecchiate. Altri ne ha recata la colpa all’Inghilterra, prendendone argomento dalla eccezione singolarissima, onde i soli suoi uffiziali consolari sono stati, nell’universale disastro, risparmiati; dall’essersi trovate in mano dei Drusi armi e munizioni inglesi, e dall’indifferenza, onde quel Governo ha guardato quelle sventure, alle quali, se non ha potuto impedire che si recasse aiuto, ha ottenuto almeno che si recasse men pronto e più circoscritto: che poi la politica britannica possa essere istigatrice di sedizioni e di eccidii, è faccenda a cui l’Europa è abituala da un gran pezzo. Non vi è neppur mancato chi in quei dolorosi eventi ha vista la mano della fazione che domina al presente in quasi tutta l’Italia; la quale fazione, pei suoi biechi disegni, ha potuto fare non piccolo assegnamento sul distrarre che quei fatti farebbero le Potenze europee dal provvedere a disordini meno atroci, ma nelle loro conseguenze più malauguratamente fecondi; ed oltre a ciò polea sperare che la Siria fosse un pomo di discordia fra coloro, che si potrebbono credere chiamati a troncare i suoi trionfi nella Penisola. Che più? Perfino alla Francia, o piuttosto al suo Governo vi fu chi osò riputare la colpa di aver gettata la prima scintilla di quell’incendio, quasi che esso con un Intervento che si prevedeva inevitabile, si volesse cercare in Oriente quella preponderanza, cui le diffidenze inglesi e la buona intelligenza tra le Potenze nordiche sembrano in via di sottrargli in Occidente. Nondimeno, trattandosi di cosa tanto dilicata ed odiosa, noi ci terrem paghi ad aver riferite le altrui opinioni, aggiungendo che, si condo la nostra, quelle ipotesi potrebbero essere tutte ugualmente false; in quanto ci pare che il fanatismo musulmano, sciolto dal freno di un Governo debole ed incapace,

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e peggio ancora se fatto ardito dalla sua connivenza, possa bastare a dare ragione del fatto, senza aggiungere ai tanti delitti della moderna politica questo, che certo sarebbe il massimo, di avere, per un qualunque intendimento di proprio interesse, eccitati i barbari seguaci dell’Islamismo a far man bassa sopra i Cristiani della Siria, e sopra tutto ciò che in quelle contrade appartiene al Cristianesimo, ed è ordinato alla sua conservazione ed a’ suoi incrementi.

Come prima cominciarono giungere in Europa le dolorose novelle degli eccidii soriani, si levò, quanto essa è larga e lunga, un altissimo commovimento; e benché noi fossimo in Italia preoccupati non poco dei nostri danni e pericoli, questi per avventura, per la loro somiglianza con quelli, ci erano cagione di partecipare con maggiore sentimento ai danni ed ai pericoli dei nostri fratelli lontani. E crescendo in gravità ed in estensione quelle novelle, tutti ansiosamente guardavano quello che dalle Potenze occidentali si farebbe, sia a cessare quell’inestimabile disastro, sia a ripararne, per quello che fosse possibile, gli effetti, sia da ultimo a gastigarne severamente gli autori, sicché fosse allontanata la probabilità di vederli ripetuti. Il sentimento cristiano altamente offeso all’aspetto di tante migliaia di creature umane trucidate ferocemente per la sola colpa di essere cristiane; le rimembranze popolari della immensa lotta sostenuta dall’Europa civile contro la barbarie musulmana, la qual lotta empie ed abbellisce quattro secoli di nostra storia e fornì all’Italia il soggetto della più ammirata sua epopea; il natural senso di compassione verso province intere abbandonate senza difesa agli oltraggi ed agli strazii di una genie bestiale, che non rispetta né debolezza di sesso, né reverenda canizie di anni, né impotenza d’infermi, né santità di carattere, né infantile innocenza; da ultimo l’onore nazionale di quasi tutte le Potenze europee audacemente vilipeso nei loro rappresentanti e nei loro vessilli, erano titoli più che sufficienti a tener per fermo che qualche gran cosa si farebbe, a non lasciare impuniti quegli eccessi ed a renderne per un gran pezzo quasi impossibile il rinnovamento. Soprattutto gli occhi erano rivolti alla Francia; e ciò non solo pel generale motivo, che ogni veramente generosa impresa da quella grande nazione è sempre abbracciata con ardore; ma eziandio per la preponderanza che nella Siria

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ha essa avuta da tempi remotissimi, intantoché gli Europei, di qualsivoglia gente si siano, non sono colà appellali altrimenti, che Franchi; ed oltre a ciò alla Francia deve la Turchia l’aver ritenute quelle province dopo la guerra che sostenne coll’Egitto; a lei deve principalmente il non essere stata ingoiala dall’orsa minacciosa, ed alci da ultimo si erano in particolar guisa falle dalla Porta le promessa di protezione e di libertà pei Cristiani dopo l’ultima guerra orientale. Dall’altra parte, essendosi consummate quelle stragi a danno massimamente dei Maroniti cattolici, dei Missionari e delle Suore di Europa, quei secondi e queste ultime erano pel massimo numero francesi, laddove i primi, atteso la speciale tutela che la Francia ne ha sempre esercitata, sono delli comunemente i Francesi d’Oriente. Talmente che quand’anche tutte le altre genti europee avessero potuto guardare con indifferenza quei macelli, per la genie franca, pei figli generosi dei Crociali saria stata stupidità insigne o non minore codardia il non ascoltare dalla Siria delle grida di dolore di ben altra portala e di ben altra verità, che non furono le ascoltate già da qualche Re galantuomo, il quale, ad acquetare quelle grida di dolore, non trovò mezzo più efficace che annettersi i dolorosi. Clic se a liberare l’Italia da una oppressione che essa non sentiva, e la quale era piuttosto asserita da una fazione, che si diceva oppressa perché voleva opprimere, parve opportuno il fare passare precipitosamente le Alpi a centocinquantamila Francesi, per combattere nei piani lombardi una guerra micidiale e dispendiosa, da paragonarsi con poche altre nella storia militare, non parea gran fallo che alquante migliaia ne passassero il mare, per recarsi in Soria a spegnervi un incendio immenso che devastava ogni cosa, e che era tanto più facile ad opprimere, quanto vi era stato acceso e vi è mantenuto non da forze regolari e disciplinale, ma da manigoldi feroci e da ladroni.

E nondimeno, prima che alcune navi onerarie sciogliessero con soldatesche di sbarco da Marsiglia e da Tolone per quel non lontano Oriente, si è dovuto storiare bene a lungo; e la universale impazienza di quelle lentezze riusciva tanto più increscevole, quanto che ricordavasi la maravigliosa speditezza, onde la furia francese in altra recentissima occasione, per questo capo seppe fare.

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Intanto mentre si consultava in Europa, si pagavano a prezzo di sterminio e di sangue gl’indugi nella Siria; e le oltre a quattro settimane che corsero tra il primo annunzio dell’Intervento francese, e l’effettiva mossa dei sospirati aiuti, costarono a quelle cristianità abbandonate un forse ventimila vite! Certo confrontando le date si vede aperto, come un più pronto soccorso avrebbe antivenuto gli eccidii spaventosi di Damasco, nei quali ne caddero, a starne ai più scarsi computi, non meno di otto migliaia. Né era ascoso a cui si dovesse tutta l’obbligazione di quegl’incagli. Un preteso principio di dritto pubblico, che fa ottimo giuoco per mantenere e propagare lo scompiglio in Italia, non permetteva che, senza offesa manifesta del senso comune e della logica, si andasse nello stesso tempo a cessare uno scompiglio analogo nella Siria; e dall’altra parte un Governo, che traffica sulle sedizioni e sulle rivolte, come sul carbon fossile e sul cotone, si opponeva all’aiuto che quanti sono sinceri Cristiani volevano veder porto colla possibile speditezza; ed, in forza del principio accennato, voleva quel Governo, che i Cristiani componessero da se soli i loro dissidii coi Turchi, ancorché, a’ termini a che le cose eran condotte, si prevedesse non vi poter essere altra maniera di componimento, che l’assoluta estinzione del nome cristiano in quelle contrade. E se non fosse che l’entusiasmo militare della Francia è più agevole ad essere sospinto ad una guerra non voluta, che ad essere trattenuto da una guerra voluta davvero, la storia, ad eterna vergogna del nostro secolo, avrebbe registrata questa nuova infamia; che cioè alcune Potenze europee ebbero sangue e sustanze da profondere per l’attuazione efimera di utopie faziose, anche a discapito dei diritti immortali della Chiesa cattolica, e perfino ne ebbero per mantenere integro il dominio della mezza luna; ma esse, appunto per un rispetto superstizioso e ridicolo a questo dominio, o piuttosto per non far cosa che potesse pregiudicare al trionfo di quelle utopie faziose, guardarono senza commuoversi la strage di tante migliaia di Cristiani, e non ebbero né un soldato da mandare, né un obolo da spendere per la difesa di una causa, che fu l’orgoglio dei nostri padri credenti e che formò, per oltre a quattrocento anni, la più pura e la più splendida loro gloria.

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Già il lettore ha dovuto intendere quale era il principio che faceva ostacolo all’Intervento nella Siria dalla parte delle Potenze occidentali. Esso è appunto la negazione di ciò che si dovea fare: cioè il Non Intervento; sotto il qual gergo vuole intendersi quella mostruosi politica, messa in voga a’ dì nostri, per la quale, assolutamente ed in tutti i casi, si vorrebbe interdire ad ogni nazione il porgere la mano alla nazione sorella, ogni qual volta questa, sopraffatta dalla forza di dentro o di fuori, non basti a far valere i veri ed incontrastabili suoi diritti. Questo, che sarebbe intollerabile ed impraticabile prescrizione tra gli uomini individui, si vorrebbe stabilire tra le nazioni, sotto lo specioso pretesto che ciascuna dee bastare a sé stessa, senza che ad altre sia lecito di mescolarsene; e non si badava che con ciò si veniva a rendere impossibile quel conserto maraviglioso di tutte le società in una sola grande famiglia di nazioni sorelle; ed oltre a ciò si veniva ad abbandonarle tutte e singole al pericolo di essere, senza rimedio, dominate dalla forza, la quale non sempre sta in servigio della giustizia. Ora poiché l’Italia, non sappiamo se nell’intenzione, ma è certo che per effetto di un prepotente Intervento straniero era stata quasi tutta lasciata opprimere da una fazione; e perciocché si era stabilito che, a cessare quella oppressione, non fosse lecito ad alcun’altra Potenza intromettervisi efficacemente; era naturale che non si avesse fronte di fare nel Libano ed in Damasco quello, che si dice non potersi fare, esempligrazia, in Toscana e nelle Legazioni. Se l’Italia, come si asserisce in una lettera, cui già conoscono i nostri lettori, deve acconciarsi da sé, non importa come, purché non vi sia Intervento straniero, per qual ragione non potrà dirsi lo stesso della Siria, a rispetto della quale si annunzia, benché molto a malincorpo, l’intervento straniero? Né ad altro principio si appoggiava l’Inghilterra, quando sosteneva doversi lasciare i Turchi, i Drusi ed i Cristiani acconciare i loro piati come possono il meglio, essendo indubitato che i macelli dovranno di necessità finire, quando non vi si troveranno più Cristiani da macellare. Nel che se è poca generosità, non può negarsi che sia non poca logica, quando, ammesso un principio, si applica con franchezza a casi, se non identici, certo analoghi e somigliantissimi.

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Né accade che gl’Italianissimi, che oggi imperano in quasi tutta l’Italia, ci facciano il viso dell’armi e si arrovellino, per quell’analogia o somiglianza da noi asserita tra le condizioni della Siria e quelle della nostra Penisola. Lo sappiamo: in questa siam lungi ancora dai macelli di Gazir, di Snida e di Damasco, né tra noi si contano ancora le case saccheggiate ed arse a centinaia, né le vittime sgozzate a migliaia; quantunque qualche saggio eziandio di questo non sia mancato neppur tra noi. Nel resto, quanto alla sostanza di una parte della nazione che astia fieramente un’altra parte, e la perseguita e la calpesta e la stritola, noi non vediamo che vi sia alcuna differenza essenziale, se non fosse questa, che nella Siria i Turchi ed i Drusi sono in maggior numero dei Cristiani: e così, secondo le moderne teoriche, quelli possono arrogarsi il diritto di far di questi ogni loro talento, appunto perché, essendo i più, sono eziandio i più forti; laddove tra noi i nuovi tirannelli sono in minor numero a rispetto di tutta la nazione, ed occuparono la Signoria supplendo al numero colle male arti dell’astuzia, e prepotendo per aiuti stranieri.

E faccia il lettore d’intender bene questo punto, il quale in quella che scagiona noi dalla taccia di esagerati, gioverà non poco a fare intendere le vere condizioni, in che versa la povera patria nostra. Eziandio la tirannide faziosa e l’irrompere di una vendetta lungamente covata debbono nei nostri paesi raffazzonarsi un poco alla civile; e quand’anche si dovesse arrivare agli orrori di un novantatré è alla franzese, non vi si potrebbe venire, che passando per gli stadii che noi percorriamo al presente. Ma fin che si mantengono nell’usurpato potere gli avvocati, i medici, i giornalisti, i nobili senza quattrini o senza cervello, insomma tutta quella generazione di mezzo volteriani e più che mezzo scredenti, che diconsi moderali, essi una qualche sembianza di legalità la manterranno sempre; né ci è a temere di vederli o girare a tondo la scimitarra turchesca, o mettervi in resta al petto la lancia dei Beduini, non foss’altro perché non ne hanno l’esercizio. Nondimeno, questo solamente escluso, non vi è genere di vessazioni che essi non si credano in diritto d’infliggere a quelli che reputano loro nemici, per la sola ragione che non parteggiano per le loro idee, riprovano per dettame di coscienza cattolica i loro fatti,

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e, se ebbero mano nella pubblica cosa, contrastarono od anche punirono, secondo le leggi, i loro conati. Le proscrizioni d’innocui cittadini a centinaia, il cassar d’uffizio a migliaia i pubblici maestrati o per apparecchiarsi strumenti più maneggevoli od eziandio solo per far luogo a chi, avendo lavorato per la ribellione, è impaziente di coglierne i frutti, le spoliazioni, gl’incarceramenti, le condanne di specchiatissimi ecclesiastici e fino di Vescovi e di Cardinali possono, nella civile Italia, tener luogo dei macelli perpetrali nella Siria musulmana. Anzi si chiarisce a questi più somigliante un nuovo trovato della libertà donata ai nostri paesi. Un bel giorno l’Autorità fa assapere ad una persona, ad una famiglia, ad un sodalizio, come qualmente essa non è in grado di tutelarne le vite ed i domicilii; e però proveggano come possono il meglio a sé stessi: il che in altri termini vuol dire essere essi abbandonali al furore della ribaldaglia, come i Maroniti al furore musulmano, e debbonsi riputar beati, se possono sottrarsene con una fuga precipitosa e clandestina. Or quella appunto è l’ambasciata che mandò fare il Gran Turco ai suoi sudditi cristiani la vigilia delle scene di orrore che insanguinarono la Siria. Vedete se non vi è analogia grandissima e somiglianza!

Che poi tutto questo si facesse tra noi per vendette codarde e per rappresaglie inique, come colà si sta facendo per fanatismo maomettano, noi n’eravamo ben persuasi; ma non avremmo pensato mai che si potesse professare spiegatamente da cui meno lo avremmo aspettato; cioè dal gran mastro di cappella che sta da oltre a due lustri battendo quella musica infernale, che strazia l’Italia e scandolezza il mondo. Ci ha poi recato maraviglia l’udirne quella manifestazione, non già perché il concetto non sia degno dell’uomo, ma perché è al tutto indegno della nota sua scaltrezza l’aprirlo con tanta baldanza. Il venerabile Arcivescovo di Chambery, nel separarsi colla sua Savoia dagli stati Sardi, indiresse una lettera come di commiato al conte Cavour, supplicandolo a cessare o almeno a rimettere alquanto la persecuzione rotta alla Chiesa ed a’ suoi ministri nel Piemonte e più ancora nell’Italia mediana.

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Voi crederete che il famigerato Presidente rispondesse negando quella essere persecuzione; asseverando anzi tutto farsi per impero delle leggi e per opera di magistrati integerrimi ed indipendenti: questo almeno suggeriva non diremo il pudore, ma la più elementare avvedutezza. Nondimeno che uopo ha di pudore e di avvedutezza chi, sentendosi bene in sella, può non solo avere la soddisfazione di perseguitare e di opprimere, ma saporare eziandio quel gusto più squisito, che certe anime di tempera tutta speciale trovano nell’insultare le proprie vittime? La risposta fu che, avendo i preti tribolato lui conte Camillo in gioventù e nella minore fortuna, doveano rassegnarsi ad essere tribolali da lui divenuto padrone del campo; che, avendo il Granduca di Toscana cacciato in bando i coniugi Madiai per propaganda eterodossa, e Pio IX tolto il fanciullo Mortara cristiano ai genitori ebrei, il clero che naturalmente avrà approvati quegli atti, si dovea acconciare ora ad essere cacciato in bando, incarcerato, spogliato del suo. Risposta somigliantissima a quella che darebbe un micidiale che, condannato alla forca dal magistrato e campatone per miracolo dicesse di avere il diritto di mandare alla forca non pure il magistrato che lo condannò, ma eziandio i suoi amici ed aderenti. La quale incredibile risposta, ma che pure fu registrata nei pubblici diarii, renderà credibile questo brevissimo dialoghetto che, non ha guari, ha avuto luogo in un paese di questo mondo tra un personaggio illustre, laico, cattolico ed un Eccellentissimo, dei quali potremmo, ad un bisogno, confidare i nomi ad un orecchio amico, ma qui sarà meglio non nominarli. Aveva il primo esposto al secondo un sèguito di soverchierie, onde, in terra di libertà ed in nome della libertà, era stato segno; e poscia conchiudeva:

Pers. Vede dunque l’Eccellenza Vostra come io, per questi fatti, sono stato vittima innocente d’una ingiustizia.

Ecc. Certo sì che lo veggo! ed aggiungo che siete vittima d’una ingiustizia manifesta, solenne, flagrante.

Pers. Perché dunque l’Eccellenza Vostra lo tollera, lo permette, se pure non l’ha comandato?

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Ecc. (con un risolino tra il sardonico ed il contento) Perché al presente noi siamo più forti di voi; e quindi facciamo quello che voi fareste se foste nel nostro posto.

Salvo l’Eccellenza, della quale i Drusi, che ora infelloniscono nella Siria, non si curano, con essi si farebbe in terminis lo stesso dialoghetto, chi andasse a rappresentar loro le orribili iniquità che stan perpetrando. Infelice condizione di uomini selvaggi od orgogliosi che, non avendo mai conosciuto od avendo praticamente rinnegato perfino il concetto primordiale della giustizia, non conoscono altra legge che la forza. E come percossi dalla giustizia, non vi vedendo che la forza, di quella ricevono i colpi colla stupida rassegnazione del fatalista, indurandosi sempre più come l’incudine; così tostochè, per un subito rivolgimento della fortuna, si sentono divenuti martelli, si credono avere acquistato il diritto di percuotere fieramente cui e quanto possono più, e sorridono in viso a chiunque se ne richiamasse ad una giustizia, alla quale non credono. Guardate le cose sotto questo rispetto, chi potrà accusarci di esagerazione, quando dicemmo la condizione della maggior parte d’Italia, caduta alla balìa di poteri illegittimi o faziosi, non essere gran fatto dissomigliante dalla Siria manomessa dai Drusi e dai Turchi. Nell’una e nell’altra contrada la sustanza dello scompiglio dimora nel reo governo che una parte del popolo fa dell’altra, al solo titolo di essere ora la più forte; e le differenze del più e del meno possono ben rendere i casi di colà molto più dolorosi dei nostri, ma non possono cambiarne la sustanza, la quale negli uni e negli altri è la stessa. Nel resto se si considerassero non tanto i danni materiali di eccidii e di distruzioni, sotto il qual rispetto già dicemmo che i nostri non si possono paragonare cogli orientali, ma i morali, soprattutto per lo stendersi che questi fanno nelle generazioni avvenire, la persecuzione della cattolica Chiesa, quale si sta esercitando tra noi collo spogliamento della Santa Sede, collo sterpare dai cuori la fede e più di tutto coll’assassinare la religione ed il costume della età crescente, sottraendola di forza alle salutari influenze di ila Chiesa ed obbligandola ad un insegnamento e ad una educazione, di cui i padri cristiani raccapricciano; se, diciamo,

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si considerasse questa persecuzione rotta tra noi al Cattolicesimo, essa si troverebbe feconda di cosi inestimabili ruine, che, sotto qualche rispetto, dovrebbero parer maggiori delle soriane. Certo chiunque ha fede vera e sentimento vivace della vita immortale, non si maraviglierà di queste parole che noi ascoltavamo, pochi giorni or sono, da un padre di sei cari bimbi, dei quali il maggiore appena è bilustre. Considerando egli la maniera di educazione che l’Italia rigenerata imporrà alla puerizia, sclamava che il vedere quei dilettissimi suoi pegni passati dalle lance dei Drusi sarebbe per lui minor dolore, che il saperli assassinali nell’anima da melodi e da maestri che ne farebbero altrettanti pagani. Era in altri termini l’eroica aspirazione di Bianca regina sopra la culla di S. Luigi.

Ma da tornare è colà, onde digredimmo, se pure dee dirsi digressione questo aver mostrata la grande analogia e somiglianza che corre tra i casi dolorosi della Soria e le agitazioni, in che l’Italia si sta dibattendo da presso a due anni. Perciocché quinci appunto muoveva la grande difficoltà che s’incontrava nell’occorrere ai primi con un Intervento, sollecitato a gran voci dal sentimento di tutta Europa e della Francia segnatamente. Supposto che le condizioni siano somigliantissime e quasi identiche nella sustanza, come avrebbero potuto le Potenze straniere intervenire in Oriente a sostegno del diritto sconosciuto e calpestalo, quando chi per ora può dirlo con efficacia ha detto che non consentirebbe mai l’Intervento di alcuna Potenza straniera nella Penisola, per recarvi un uguale sostegno del diritto sconosciuto o calpestalo ugualmente? E se è lecito portare aiuto ai Cristiani di colà, perché non sarebbe portarlo al Padre comune dei Cristiani ed ai cattolici ed onesti Italiani, straziati nelle coscienze, nella libertà, nelle sustanze da una fazione, che abusa del suo trionfo per isfogare antichi rancori con vigliacche vendette, cui si crede di onestare qualificandole per rappresaglie? Non può negarsi che la difficoltà era gravissima, ed impossibile a sciogliersi senza incoerenza manifesta, quando alla stess’ora si fosse ingiunto severamente il Non Intervento per l’una parte, e conchiuso ed eseguito l’Intervento per l’altra. Ma trattandosi di un principio innaturale, antisociale o disumano, noi dobbiamo rallegrarci che l’incoerenza si sia commessa;

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e riconosciamo in questo uno dei tanti casi, in cui il rigor della logica sarebbe una grande sventura. Benché con molta lentezza e con restrizioni notevoli di tempo e di forze, l’Intervento francese è deciso, si sta effettuando mentre scriviamo, e quando i lettori riceveranno questo quaderno, già quelle prodi milizie avranno forse fatte le prime pruove in difesa di una causa così degna della nazione cristianissima.

Non vogliamo tuttavia preterire una pellegrina scoperta del Constitutionnel, colla quale quel valentuomo dell’articolista si è avvisato di toglier di mezzo anche l’ombra della incoerenza notata più sopra; e ciò per effetto di una parola escogitata e sostituita destramente a quell’altra che, or permessa or negata, si faceva principio d’incoerenza. Egli dunque con gran sussiego ha fatto sapere all’Europa, come in Siria dalla parte delle Potenze occidentali non vi sarà Intervento (vi pare? neppure in sogno! ); ma vi sarà in quella vece una semplice Cooperazione, e s’intende Cooperazione armata; ché le Cooperazioni di chiacchiere sappiamo quel che valgono, e si sono non che usate ma sprecate per l’Italia, cavandone quel costrutto che tutti conoscono. Che se altri dicesse l’Intervento in ogni tempo non essere stato altro, non potere anzi altro essere che una Cooperazione; se soggiungesse in alcuni stati d’Italia non si volere altro che una Cooperazione, porta non tanto ai Principi spossessati, quanto ai popoli che gemono sotto il giogo di poteri intrusi, ma che non bastano a scuoterlo da sé soli; chi, ripetiamo, dicesse così darebbe indizio d’ignorare maravigliosa potenza che, a distruggere vecchi concetti, può avere una nuova parola, tanto solo che questa sia scelta con garbo. Se poi sia tale questa di Cooperazione recata in mezzo dal Constitutionnel, lasciamone il giudizio al sagace lettore.

Vero è che si è menato grande rumore dell’assentimento previo avuto da S. M. il Sultano, il cui rappresentante ha sottoscritto con quelli delle cinque grandi Potenze i due protocolli che determinano le condizioni dell’Intervento. Ma oltreché, secondo molti giornali, quella Maestà si sarebbe mollo volentieri passato di quella visita di forestieri, ed avendola rifiutata esplicitamente da principio, solo vi si è acconciato, quando ha visto che, ad ogni modo, anche lei renitente, si saria fatta; il certo è che questa circostanza non attenua per nulla l’incoerenza per noi notata.

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Perciocché nel caso analogo, pel quale l’Intervento si nega, non pure vi è l’assentimento, ma vi sarebbe altresì l’invito e la preghiera di coloro al cui servigio si dovrebbe fare. E così neppure questa scappatoia conchiude nulla ad attenuare la contraddizione, in che si mette chi stende una mano per recare aiuto in Oriente, e dell’altra si vale per rimuovere chiunque volesse recare un somigliante aiuto in Occidente.

Quanto al secondo dei due ostacoli messi in nota più sopra, di quello s’intendono agevolmente le cagioni. Già il sentimento cristiano, la difesa degli oppressi, l’onore nazionale delle maggiori Potenze del Continente non poteano aver nessun peso nei consigli del Gabinetto di S. James. O che poi se ne stia alla sentenza del democratico e fogoso Brighi che vorrebbe abbandonato a sé stesso l’Impero ottomano, perché finisca di sfasciarsi e rimanga sepolto sotto le sue ruine; o che si abbracci piuttosto il consiglio del misurato e scaltro Palmerston che lo vuol conservato, per ischivare i litigi che sorgerebbero da chi deve raccoglierne l’eredità, nell’un caso e nell’altro era fermo per quel Governo, che Intervento non mai. Che se pur questo avesse dovuto ad ogni modo aver luogo, la superba e sospettosa Albione meno di qualunque altra Potenza vi avrebbe voluto veder mescolata la Francia, sua emula naturale da secoli ed alleata altezzosa e posticcia da mesi. Quella, già impensierita gravemente di sé fin sulle sponde del Tamigi, pei formidabili armamenti della potente ed incerta amica, sta crescendo con immensi dispendii le difese nazionali, ed aggiunge ora altri undici milioni di lire sterline (275 milioni di franchi), per trincerarsi sempre più poderosamente in propria casa. Ora si consideri con che occhio si dovea dalla Inghilterra guardare il passaggio della Francia nella Soria, dove ripiglerebbe sicuramente le antiche influenze, probabilmente acqueterebbe potenza e d’onde potrebbe minacciare dal fianco e dalle spalle i possedimenti inglesi nelle Indie! Questi erano motivi più che bastevoli per non volere l’Intervento, soprattutto francese, e per tentare tutti i mezzi ad intento di stornarlo, fino a tessere encomii sperticati ai progressi civili della Turchia,

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nella quale pure, colla manifesta connivenza delle autorità e colla cooperazione delle soldatesche, si stanno perpetrando impunemente atrocità inaudite agli stessi selvaggi e che, quanto a persistenza e vastità, nella storia anche delle età barbariche forse non hanno esempio.

La Francia di altri tempi si saria recato ad onta gravissima il vedersi trattenuta da opera generosa, e che a lei tanto bene si addice, dalle aperte ingiunzioni o dai soppiatti maneggi di Potenza straniera, quale che essa si fosse; e la nobile alterigia Franca dall’ostacolo opposto avrebbe pigliata anzi cagione di gettarsi nell’opera con maggiore impelo. Ma nel 1860 per un’impresa a sì calde istanze domandata dai Francesi, perché impresa eminentemente loro, si è fatta attendere alla Francia la permissione per oltre ad un mese; si sono dovuti noverare gli uomini da mandarvi, non più di sei mila; si è dovuto misurare il tempo da impiegarvi, non più di sei mesi; e, cosa appena credibile, si è dovuto rogare in un protocollo che, se quegli uomini e quei mesi non bastassero a raggiungere l’intento, dovrà un’altra Conferenza stabilire quali e quanti altri militi si debbano aggiungere ai primi, di quanti giorni e di quante settimane si debba prolungare la venia di cooperare. Proprio così! fingete che questo primo drappello sia rotto in Soria: cosa certo improbabilissima, ma non impossibile. Or bene! alla Francia non sarà neppure permesso di mandare aiuto ai superstiti; ed essa dovrà aspettare qualche buon mese fin che un nuovo convegno di diplomatici definisca a cui appartenga l’onore di andarli a soccorrere, per compiere l’opera non potuta recare a termine dai primi. Noi intendiamo benissimo che, avverandosi il tristo caso, di questi protocolli si farebbe lo stesso conto che si è fatto del principio di Non Intervento, e forse non si cercherebbe neppure una parola nuova per onestarne in vista lo spregio. Ma ciò non toglie che una licenza di operare a servigio d’intento sì nobile, concessa alla Francia in dose tanto scarsa e circondata da tante pastoie, abbia dovuto riuscire altamente oltraggiosa a quella grande nazione, alla quale altri volle attribuire il monopolio di combattere per una idea.

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Che se quando essa fu condotta a combattere per l’idea italiana si fosse proceduto con incesso altrettanto circospetto e tra somiglianti rallenti, oh! quante sventure si sarebbero risparmiate alla Italia e quante vergogne! Ma che ci vorreste fare? allora si trattava della idea di un uomo, laddove ora si tratta di un’idea della nazione.

Noi non sappiamo a quali buoni effetti potrà riuscire una Cooperazione apparecchiata tra tanta lentezza e gelosie e sospizioni, e la quale dovrà recarsi in atto con limitazioni e temperamenti, quali non ricordiamo essersi mai adoperati in casi somiglianti. Forse all’intento prossimo di cessare gli eccidii e le distruzioni, si giugnerà a portare il soccorso di Pisa ad una contrada, dove di Cristiani e di Cristianesimo poco oggimai resta ad uccidere e distruggere. Quanto poi all’intento remoto di fare provvisioni opportune a rendere, se non impossibile, cerio malagevole il riprodursi di somiglianti scene di orrore, noi non abbiamo grande fiducia che possa conchiudersi cosa di momento e veramente efficace, veduto l’esagerato rispetto che si professa per l’indipendenza di una Potenza essenzialmente barbara, e che a stento si regge in piedi pei puntelli, onde i Governi occidentali la stan sostenendo. Ad ogni modo gli eccidii della Soria ed il già deciso c comunque cominciato Intervento francese sono un non piccolo acquisto a rispetto di quei principii sociali e morali, a cui noi miriamo precipuamente e che, sconfessati in teorica ed in qualche circostanza anche in pratica, hanno dovuto in questo caso essere riconosciuti da quei medesimi che li rinnegarono. Gli Eccidii della Siria, perpetrati dopo venti anni di progresso civile, sono una luculenta dimostrazione della solenne insipienza di chiunque si credesse mai potersi avere civiltà senza Cristianesimo: l’Intervento francese, decretato appunto, quando si sia sostenendo illecito ogni maniera d’Intervento, ha convinto il mondo che questa snaturata teorica potrà ben servire come arme di circostanza, per assassinare l’Italia, ma non potrà mai essere la norma universale ed incontrastata delle nazioni cristiane.

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fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/civilta_cattolica_vol_VII_1860_eccidii_nella_siria_intervento_francese_2011.html

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