Gli usi civici nel Regno delle Due Sicilie
interessante articolo che vi invito a leggere
Gli usi civici nel Regno delle Due Sicilie
Il diritto napoletano introdusse un’oculata distinzione tra i beni pubblici, che furono distinti in “patrimoniali” e “demaniali” : i primi appartenevano alla Pubblica Amministrazione come risorse in propria dotazione, i secondi invece, ovvero quelli “demaniali” ( dal latino “dominium” ) erano disponibili al pronto uso della collettività. Esistevano i demani ” universali ” , appartenenti ai Comuni ( che anticamente si chiamavano “Univeritates”) , quelli “feudali” , spettanti ai nobili ma aperti agli usi delle popolazioni, cosí come quelli “ecclesiastici”; il demanio “regio” invece rispondeva ai bisogni e alle istanze della Corona e che spesso nella storia del Regno delle Due Sicilie é stato oggetto di reintegrazioni. I diritti di uso civico sono di origine remota e sono sempre riusciti a sopravvivere ai numerosi cambiamenti di regime che hanno investito le Due Sicilie nell’arco della loro storia. Nemmeno i legislatori del Decennio francese riuscirono ad abolire del tutto, tanto é vero che li ritroviamo anche piú tardi fino al 1860. Ma la politica borbonica nei confronti degli usi civici é contraddittoria : come vedremo nel corso dell’articolo i legislatori in alcuni casi tenderanno a mantenerli in vigore o addirittura li istituiranno , come a Cotronei nel 1853, in altri invece spingeranno per compensarli o abolirli addirittura. In questo articolo verrà delineata una breve storia degli usi civici nel Regno delle Due Sicilie, seguendo le attestazioni degli stessi nei decreti borbonici. Il primo decreto che prendiamo in esame risale al 1817 e ha come fine lo scioglimento delle promiscuità in Sicilia; scorrendo gli articoli di tale legge ci accorgiamo dell’esistenza di un’area silvo – pastorale destinata agli usi civici. Questi riappaiono nei decreti inerenti alla Sicilia del 1833, 1838 e 1841. In tutti e tre gli editti vengono presentati come fenomeni attuali , ma nei decreti del 1838 e del 1841 c’é la volontà di superarli : il legislatore si propone di assegnare agli usuari dei compensi per riparare la perdita degli usi. In particolare nel 1841 si stabilisce che la condizione del possesso sia la sola valida per il compensamento degli usi civici. Anche in un altro decreto del 1833 si assiste al superamento degli usi civici : il comune di Decollatura accetta 150 ducati annui in cambio dei diritti che esercitava su una porzione di un bene ecclesiastico. Infine anche in due decreti del 1860 si parla di liquidazione di usi civici : il più interessante , quello del 20 Giugno, riguarda un ex feudo gravato ancora dagli usi civici nonostante in generale le leggi francesi sull’abolizione dei diritti feudali avessero disposto che i beni feudali diventassero allodiali. Si trattava quindi di diritti esercitati in maniera abusiva. Proprio il timore dell’abuso emerge dal decreto del 13 Aprile 1858 riguardante la Sila , dove non viene esclusa la possibilità che ci fosse gente che praticasse gli usi civici senza averne diritto. Ma (come abbiamo detto sopra) qualche volta gli usi civici erano rispettati e confermati. É il caso per esempio del decreto del 25 Giugno 1836 in cui si legge che il comune di Anversa cede alla marchesa di Rajano due fondi gravati da usi civici : l’ordine é di mantenere intatti gli usi. Ma il caso più importante riguarda il demanio di Cotronei , comune silano nel quale la questione agraria era costantemente all’ordine del giorno. Il Re emanó regole transitorie per l’utilizzo delle terre e permise gli usi civici di semina e di pascolo dietro il pagamento di un modico canone. Abbiamo ripercorso dunque la storia di questi diritti che vantavano le popolazioni rurali. Abbiamo visto che la politica borbonica in merito era ambigua, ma ciò non toglie che i Borbone abbiano fatto tanto per i contadini.
Mauro Terracciano
fonte sito CDS di Fiore Marro
alla fine dell’impero romano ci fu l’esigenza e la volontà di creare il sistema feudale cosi dal 1600 in poi si generò la volontà di creare la proprietà privata e i borbone capirono tutto questo usando un proprio metodo, diverso da quello francese che espropriava a colpi di fucile, era quello della transizione guidata basandosi sulla tradizione e cioè rispettando le consuetudini di ogni territorio. Non erano giacobini illuministi che da un salottino dove si beveva cognac e fumando un sigaro si decideva le sorti ti interi popoli e territori senza conoscer nulla.
claudio saltarelli