Gor’kij: lo scrittore assassinato?
Quando scoppia la rivoluzione del 1917, Maxsim Gor’kij sta per compiere cinquant’anni. Nessuno avrebbe allora immaginato che egli ha l’essenziale della sua opera dietro di lui. Egli ha creato il personaggio del vagabondo russo, del marginale che incarna il rigetto della società, dei privilegiati, come di un mondo contadino chiuso nei suoi interessi, terra terra. Il suo dramma “I bassifondi” (o “L’albergo dei poveri”,1902) trionfa nel mondo intero.
Il suo romanzo “La madre”, nel 1906, fa passare il suo romanticismo e il suo populismo dalla parte dei proletari che forgiano nella loro lotta la loro coscienza di classe. Maxsim è lo scrittore russo più celebre in Occidente, la procellaria che aveva chiamata la tempesta, il bolscevico, la rivoluzione incarnata.
Il merito dell’opera di Arkadi Vaksberg, “Il mistero Gorki”, è di renderci l’uomo al posto del suo mito, sessant’anni dopo la sua morte. Innanzitutto, con l’ausilio di documenti fin qui inaccessibili, riesumati dalla Tcheka e dal NKVD o dagli incartamentii del Partito, egli restituisce la figura complessa di Gorr’kij al di fuori delle immagini truccate, fabbricate dal potere sovietico, fino alle circostanze verosimili del suo assassinio. Poi, partendo dalle vere relazioni Gor’kiy-Stalin, ma anche Gor’kij-Zinoviev o Boukharin,egli alza anche molti veli e denuncia tante menzogne pie o spudorate su quelle personalità quanto sulle rotelle segrete del potere sovietico. Infine, a causa del ruolo internazionale di Gor’kij, ci svela verità nascoste tanto sugli scrittori dell’emigrazione russa quanto sui compagni di strada, vittime di un regime che non tollera gli scrittori, ridotti al silenzio o all’esilio, deportati o assassinati.
Gor’kij, alla fine della sua vita, cessò, come dice Vaksberg, di essere uno scrittore al fine di indossare il vestito smesso del combattente per la felicità dei lavoratori, del personaggio politico; personaggio, è dire troppo, più esattamente una pedina nel gioco sanguinoso di Stalin. La minima fuga relativa a lui e al suo ambiente, il più timido tentativo di penetrare negli archivi segreti fu a fini rigorosamente scientifici . Il tentativo era qualificato violazione del segreto di Stato, con le sanzioni più severe.
All’inizio, le contraddizioni stesse di Gor’kij rivoluzionario. La sua perspicacia, anche se più tardi lo dimenticò. A tal riguardo, scrisse a Lenin, nel 1909: “Mi accade di pensare che ogni essere umano per voi non è altra cosa che un flauto su cui voi suonate tale o talaltra melodia, e che voi apprezzate ogni personalità secondo che essa vi conviene o no per la realizzazione dei vostri obiettivi, delle vostre vedute, dei vostri progetti”. Come si comprende che queste righe non siano state declassificate che nel 1993! Tanto più che Gor’kij giudica Lenin con la stessa libertà di spirito nel 1917-1918, dopo la sua presa del potere.Ne “I pensieri intempestivi”, che pubblica allora, si legge: “Prendendosi per dei Napoleoni del socialismo, gli adepti di Lenin, sfrenati, completano l’annientamento della Russia, ed è il popolo russo che dovrà pagarne il prezzo con oceani di sangue. Uomo di talento, Lenin possiede (…) l’assenza di morale necessaria a questa funzione, come un’arroganza da grande signore riguardo alla vita delle masse popolari. Egli si crede in diritto di praticare sul popolo russo una crudele sperimentazione, in anticipo votata al fallimento.” Lenin non era uomo da dimenticare queste righe e a perdonargliene. Ancora meno Stalin. Il mistero Gor’kij comincia quando, all’indomani stesso dell’attentato contro Lenin, fine 1918, senza affatto chiedersi se non è una provocazione del potere (come l’aveva fatto al momento di un attentato precedente), con un completo voltafaccia egli va a vedere Lenin ed approva di colpo tutto il terrore rosso che dilaga e la censura, al punto da proclamare che se si avesse chiuso prima il giornale in cui egli aveva pubblicato i suoi “Pensieri intempestivi”, “sarebbe stata un’eccelllente cosa per se stesso e per la rivoluzione”.
Certo Vaksberg può trovare come spiegazione a quel “rovesciamento mentale inaudito” l’influenza di suo figlio, Maxsim, e della sua amante, l’attrice Maria Andreievna, divenuti bolscevichi; ma egli si conduce piuttosto all’incrinatura profonda di un uomo che mostra “formidabile ed impotente, cinico e ingenuo, disgustoso e commovente, perspicace e cieco…Un orgoglioso che credeva poter battere il diavolo sul suo terreno”. C’è ben stato mercato di Gor’kij con il diavolo e non una, ma due, tre, quattro volte, fino alla fine.
Gor’kij si giustificò spandendo beneficii reali su una intelligentsia ridotta alle peggiori umiliazioni per non crepare (farina, patate, cappotto, stivali, eccetera). Dmitrji Sergeevic Merezkovskij può scrivere: “Forse non ha coscienza di abbassare gli uomini. Egli lo fa con innocenza. Per restare in vita, sono stato costretto ad accettare tali elemosine da altri bolscevici, io non ho voluto riceverle da Gor’kij.” Era evidentemente più avvilente per gli intellettuali di esserne ridotti ad accettarle da uno dei loro, che aveva voltato gabbana…
Tuttavia le relazioni di Gor’kij con il potere andarono degradandosi e si vede Gor’kij, nelle sue lettere personali ai dirigenti, ribellarsi; più ancora quando Lenin espelle una piena nave di intellettuali e pensa, del resto, ad inserirvelo. Il colmo è raggiunto quando il potere lascia morire Aleksandr Aleksadrovic Blok e fucila Goumiliv, i due più grandi poeti del momento, e che i documenti declassificati mostrano vhe Gor’kij, a causa di una provocazione che colpisce direttamente i suoi amici del Comitato di aiuto alle vittime della carestìa, che egli ha fondato, non osa intervenire presso Lenin, E’ allora la sua prima partenza dall’URSS.
Nelle lettere a Romain Rolland, recentemente declassificate, si leggono delle confessioni come: “Si avrebbe torto nel credere che la rivoluzione russa sia il frutto delle attività di tutta la massa del popolo russo. Il potenziale intellettuale della Russia si s gretola.” Però l’idea non sfiora neanche Gor’kij che si compromette accettando le spese largamente pagate del suo soggiorno all’estero dal potere sovietico. Per alcuni dei suoi amici occidentali, il fatto che egli soggiorna a Sorrento, nell’Italia msussoliniana, rappresenta uno scandalo.
Da una parte, Maxsim lascia intendere che ha definitivamente lasciato l’URSS. Dall’altra, egli dà i pegni voluti dal potere. Egli proseguirà infine questo doppio gioco fino al 1927-1928, quando è Stalin che prenderà le cose in mano e non avrà più tregua nell’accalappiare Gor’kij nelle sue reti. Però, in quel momento, i suoi rapporti con l’emigrazione russa sono divenuti francamente detestabili, poiché le sue compromissioni con il regime sono sempre più visibili.
Il suo primo ritorno in Russia ha luogo nel maggio del 1928. Esso è celebrato come conviene, ma riparte l’anno dopo, per ragioni di salute. Egli ritorna alla fine del 1929 ed è allora che inizia la sua amicizia con Yagoda, il “patron” della polizia segreta, che cade innamorato della sua nuora. Questo non fu senza conseguenze E’ per gli occhi di Yagoda che egli vide il Gulag, più tardi il mattatoio del canal Volga-mare Bianco. Maxsim approvò anche la collettivizzazione forzata (egli non amava i contadini e fece quello che occorreva per i cinquant’anni di Stalin. Il suo ritorno in URSS, nel 1932, fu salutato con il suo formidabile giubileo, come Stalin sapeva organizzarne, e il nome di Gor’kij fu dato a tutto quello che era immaginabile e alla città di Nijni Novgorod.
Da Sorrento, prima del suo ultimo e definitivo ritorno, egli invia a Stalin tali panegirici, che si è classificati. Vaksberg suggerisce che Stalin ha potuto percepirvi “una tonalità parodistica”. Gor’kij rientra nell’idea che bisogna fare campagna contro gli innumerevoli complottisti, di cui l’hanno informato i servizi di Stalin e che bisogna associavi i fanciulli. A questo, Stalin acconsentirà. Il ritorno ebbe luogo a fine dicembre del 1933. Suo fglio Max morì dopo una breve polmonite., in maniera che permette di accusarne Yagoda al suo processo, nel 1938. Yagoda confesserà, dicendo che era per amore per la sposa di Max.
Gor’kii presiedette il primo Congresso degli scrittori sovietici, nel 1934, continuando a fare tutto quello che Stalin attendeva da lui. Però Gor’kij restava amico di Boukharin, di Malraux. E, nel 1936, quando Stalin fece ordire, nel segreto dei suoi carnefici, le confessioni di Zinoviev e di Kamenev ed inviò un primo emissario a sondare Hitler, Vaksberg è convincente quando conclude: “ Gorki diveniva più che importuno: pericoloso. Quello che poteva procurare a Stalin lo era già stato. Gor’kij morto diveniva automaticamente un alleato.”, donde un processo finale di canonizzazione, prima che la polmonite di Gor’kij non si svolga secondo lo stesso schema di quella del figlio. I veleni di cui Yagoda era specialista vi furono per qualche cosa? Lo si saprà mai? Aragon ed Elsa Triolet furono pressati da Koslov, il giornalista più celebre dell’URSS e loro amico, di venire a vedere Gor’kij , che li avrebbe supplicati di venire. Orbene si sa ora che Koslov non ha visto Gor’kij , ma Stalin. Nello stesso tempo, tutto fu combinato perché essi arrivassero troppo tardi e non potessero, tutto come Gide, presiedere al seppellimento di Gor’kij.
Questa ultima scoperta di Vaksberg è sconcertante. Essa tende a confermare una messinscena magistrale e ci lascia con “uno degli enigmi più sanguinosi della storia sovietica, che ne conta molti”. Koslov fu fucilato nel 1941.
Sonnambulo
L’incontro di Gor’kij e del comunismo nella sua versione leninista, poi staliniana, è appassionante, poiché ci offre l’esempio più caricaturale dei legami che possono annodare tra un grande scrittore insieme astuto ed ingenuo ed un sistema totalitario di un’incredibile perversità. Se le poste non erano state tanto tragiche, e non per tanti intellettuali e artisti che sono stati vittime del più vasto crimine dell’epoca moderna, si sarebbe tentati di vedervi un gioco del gatto e del topo. Dalla parte sovietica, sin dalla presa di potere da parte di Lenin, gli scrittori, e il più famoso di essi, Gor’kij, sono l’oggetto di un’impresa alternata di seduzione e di eliminazione. Il regime sovietico, che è pagato per conoscere la forza e il ruolo delle idee, ha coscienza del potere degli scrittori. Essi sono gli “ingegnieri delle anime”,dirà Stalin.
Gor’kij, giustamente perché è uno scrittore, e dunque attraversato da tutti i movimenti della sensibilità e della passione, accessibile alla lusinga, obnubilato dal destino della sua opera e dall’avvenire della leggenda che incarna, va ad offrire ai dirigenti del Cremlino, aiutati dagli agenti dei servizi segreti, l’occasione di sperimentare le loro tecniche di manipolazione psicologica, usando, a turno, caldo e freddo, complimento e la minaccia. Ciò che è straordinario è la pazienza e l’energia che gli uomini della Guepeu dispiegarono per raggiungere i loro fini: fare ritornare definitivamente Gor’kij in URSS. Per portarlo a lasciare il suo esilio dorato di Capri e di Sorrento, essi misero in opera tutti i mezzi in loro possesso: gli fecero balenare gli onori, le prebende, le dacie. Essi fecero ugualmente intervenire le amanti dello scrittore e i suoi amici.
Gor’kij si prestò a questo gioco. Non si saprà mai, poiché i documenti essenziali dei suoi archivi sono probabilmente scomparsi, l’esatto progredire del suo pensiero, dopo la presa del potere da parte dei comunisti. Si sa del suo possibile assassinio.
Magnifico e patetico destino di un grande scrittore smarrito in una delle più violente e sanguinose tormente della storia e che si stenta, malgrado tutto, in ragione dei suoi pentimenti e delle sue esitazioni, a condannare senza circostanze attenuanti. Sì nefasto che sia potuto essere il suo ruolo, Gor’kij appare come un sonnambulo stregato dalla Storia, manipolato e smarrito dinanzi ai gulag e ai carnai umani.
Il mistero che plana attorno alla morte dello scrittore e del figlio è rischiarato dal libro di Arcadi Vaksberg, che rintraccia il ruolo e le lacerazioni di Gor’kij della messa in piazza del sistema criminale comunista.
Alfredo Saccoccio