Gregorio XIII, il Papa del calendario… che amava la musica
Fu eletto al soglio pontificio il 13 maggio di 450 anni fa. A lui dobbiamo, tra l’altro, il nostro calendario. Nutrì grande interesse per la musica sacra, instaurando una collaborazione con il Musicæ princeps, Giovanni Pierluigi da Palestrina, che ci ha lasciato scritti rivolti a Gregorio XIII che rivelano cosa significhi, per un musicista, servire Dio.
Quattrocentocinquanta anni fa, il 13 maggio 1572, dopo un conclave durato meno di un giorno, all’unanimità fu eletto alla Cattedra di Pietro un uomo a cui dobbiamo il nostro calendario e la scrupolosa attuazione dei decreti del Concilio di Trento (1545-1563): Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni (1502-1585). Troppo vi sarebbe da dire su di lui; vi accenniamo appena.
Nato a Bologna il 7 gennaio 1502, professore di diritto nella sua città natale tra il 1531 e il 1539, intellettuale, divenne vescovo di Vieste nel 1558 e fu creato cardinale da Pio IV nel 1565. Durante i suoi 13 anni di pontificato è attivo nella diplomazia europea; potenzia i nuovi ordini religiosi (i Barnabiti, i Teatini, i Gesuiti, gli Oratoriani, i Cappuccini); fonda numerosi istituti culturali a Roma, in particolare il Collegio Romano, futura Università Gregoriana; riforma il calendario; pubblica il Corpus Iuris Canonici, con la correzione del Decreto di Graziano, a cui aveva lavorato fin dagli anni bolognesi; emenda il Martyrologium romanum, portato a termine dal cardinale Cesare Baronio nel 1586.
Non va tralasciato il suo interesse per la musica. Il 21 ottobre 1577 Gregorio XIII affida la revisione dei libri di canto gregoriano a due musicisti, Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594) e Annibale Zoilo (1537-1592): il lavoro di «purgare, correggere e riformare» l’Antifonario, il Graduale e il Salterio, tuttavia, non ebbe successo. L’1 agosto 1578, con la bolla De communi omnium ecclesiarum consenso, il Papa ristruttura la Cappella Giulia, il coro della Basilica Vaticana: dodici adulti (quattro contralti, quattro tenori e quattro bassi) e dodici ragazzi, chiamati «cappellani scolari» (cfr. G. Rostirolla, La bolla «De communi omnium» di Gregorio XIII, Olschki, Firenze 1993, pp. 39-65).
La significativa frequentazione di Palestrina con Gregorio XIII portò il Musicæ princeps – il «principe della musica», secondo la dicitura che la bara di Palestrina reca nella Basilica Vaticana (cfr. F. M. Torrigio, Le sacre grotte vaticane, Roma 1635, p. 166) – a dedicare al Papa il Libro quarto delle Messe a 4 e 5 voci, pubblicato nel 1582 a Venezia presso l’editore Angelo Gardano. La raccolta di sette Messe (4 a 4 voci, 3 a 5), ristampata nel 1590 e nel 1610, entrò nel repertorio del Coro della Cappella Sistina.
Le parole con cui Palestrina dedica il volume a papa Boncompagni, stampate all’inizio del libro stesso, sono davvero un bell’esempio di come un compositore si ponga a servizio della musica sacra: «A Gregorio XIII, sommo pontefice. Che la somma bontà di Dio sia il principio e la causa di tutti i beni, qualunque sia la loro natura, ci suggerisce l’apostolo, e la ragione stessa, introdotta nel nostro animo dalla medesima bontà, non ci permette di dubitare. E, se non riportiamo i beni che sono in noi, una volta accolti, anche alla bontà divina, non solo con le parole e la predicazione, ma (cosa più che mai necessaria) con le azioni, noi stessi, evidentemente, ci comportiamo con la massima ingratitudine per quegli stessi beni da usare per la lode di Dio. Da quando, però, ho incominciato a riflettere su questo ho deciso di consacrare interamente alle lodi divine tutti i progressi che si ritenesse che io avessi compiuto nella musica, allo studio della quale mi ero dedicato con ogni mia energia fin dalla fanciullezza (a molti, infatti, sembra che io abbia fatto parecchi progressi, ma io stesso, invece, capisco con certezza che si tratta di ben poca cosa) […] E poiché in questo campo è risaputo che le lodi più illustri e più gradite a Dio sono quelle che si innalzano nel santissimo sacrificio della messa, e poiché molte opere di questo genere erano state composte con cura da me, ho scelto questi pochi canti da offrire alla tua santità, Gregorio sommo pontefice, e da pubblicare con il tuo consenso. E come ho sperimentato la tua straordinaria umanità in molte altre cose, e ogni giorno la sperimento, così spero che potrò ravvisarla anche in questo lavoro, da valutare non in base alla mia piccolezza, ma in base all’intenzione e all’impegno. Non c’è ancora nient’altro che io possa offrire, se non la preghiera alla divina bontà, che conservi la tua santità alla sua Chiesa e la colmi di ogni gioia e felicità. Questo ho fatto e farò sempre» (in L. Bianchi, Palestrina: nella vita, nelle opere, nel suo tempo, Fondazione Giovanni Pierluigi da Palestrina, 1995, p. 187, n. 232).
All’inizio del 1584 Palestrina dedica a Gregorio XIII un’altra raccolta sacra, il Motettorum quinque vocibus liber quartus, 29 mottetti a 5 voci su testi desunti dal Cantico dei Cantici, stampati a Roma ad opera di Alessandro Gardano e ristampati altre dieci volte fino al 1613. La lettera dedicatoria, in cui il compositore si scusa di aver composto in passato musica d’argomento amoroso, madrigali, cedendo a «improprie» tentazioni profane, è pure interessante: «Al santissimo nostro signore Gregorio XIII sommo pontefice. Ci sono troppe poesie di poeti che trattano solo di amori, estranei alla professione e al nome cristiano. Queste stesse sincere poesie, di persone veramente prese da furore e di corruttori dei giovani, gran parte dei musicisti vollero che fossero materia della loro arte e della loro attività: e quanto fiorirono per lode d’ingegno, tanto si distinsero per l’immoralità dell’argomento presso le persone oneste ed offesero gli uomini seri. Mi vergogno e mi rammarico di avere un tempo fatto parte di questa schiera. Ma dal momento che non posso modificare il passato e fare in modo che non siano avvenute le cose che già sono state, ho cambiato decisione. Perciò prima mi sono applicato intorno ai carmi che erano stati scritti intorno alle lodi di nostro Signore Gesù Cristo, e della sua madre santissima, la Vergine Maria, ed ora ho scelto quelli che contenevano l’amore divino di Cristo e della sua sposa, l’anima, cioè i cantici di Salomone. Ho usato un genere alquanto più intenso di quanto non sia solito fare negli altri canti ecclesiastici: così infatti capivo che richiedeva la materia stessa. Ho voluto, poi, offrire quest’opera, qualunque sia il suo valore, alla tua Santità, che non dubito sarà soddisfatta se non dall’opera stessa, almeno dall’intenzione e dal tentativo. Se poi (voglia il cielo che questo accada!) Ti avrò soddisfatto anche con l’opera, sarò spinto a pubblicarne altre che riterrò che potranno essere gradite alla tua Santità. Conservi Dio a noi quanto più a lungo possibile Gregorio pastore provvidissimo ed amatissimo del suo gregge e lo ricolmi di ogni felicità» (in L. Bianchi, Ibidem, p. 196s., n. 243).
Massimo Scapin
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