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Guerra di resistenza del popolo napoletano alle truppe piemontesi dal 1860 al 1866

Posted by on Nov 13, 2021

Guerra di resistenza del popolo napoletano alle truppe piemontesi dal 1860 al 1866

C’è stata una guerra combattuta sul nostro territorio, durata oltre sei anni; una guerra che ha avuto oltre quindicimila morti e trentamila feriti.

Guerra senza nome, anche perché sui libri di storia, italiani, non c’è. Se volessimo darle un nome dovremmo chiamarla: Guerra di Resistenza del popolo napolitano alle truppe piemontesi dal 1860 al 1866.

Per la verità un nome l’avrebbe: sui libri di storia ad uso scolastico viene chiamata “Repressione del brigantaggio”.

I piemontesi che rappresentarono la Guerra di Resistenza del popolo napolitano come operazione di polizia contro il brigantaggio, estesero la definizione di briganti a tutto il popolo dell’ex Regno di Napoli. Infatti, tutto il popolo dell’Italia meridionale combatté contro le truppe che avevano conquistato il suo territorio.

Per dare la dimensione della partecipazione del popolo a questa guerra: oltre i 15.000 morti ed i 30.000 feriti, ci furono anche 100.000 prigionieri. Quindi almeno 145.000 combattenti su una popolazione di 6.530.000 persone.

Il Piemonte tenne in armi, per circa sette anni, un esercito di oltre 120.000 uomini.

Ovviamente la definizione di guerra contro i briganti è della parte al potere, per conquista militare.

Il potere ha il vantaggio della manipolazione delle informazioni.

Il governo piemontese svilì, nei confronti della opinione pubblica nazionale e internazionale, la dura repressione che le sue truppe andavano svolgendo nell’Italia meridionale.

Ecco, quindi, la falsificazione storica che fa passare per briganti un popolo in rivolta.

L’ignoranza, da questo punto di vista è perfettamente legittima: non molti conoscono questi avvenimenti, perché sono stati tenuti nascosti oppure sono stati stravolti.

E’, quindi, difficile parlare di fatti di ieri senza essere influenzati dall’opinione di oggi. Oggi è opinione comune che i briganti ci fossero per davvero, anche perché la forma di associazione dei Combattenti fu quella delle bande. Poi perché, riportiamoci all’epoca, siamo nel 1860, queste bande non erano finanziate da nessuno e quindi si alimentavano anche con azioni da vero brigantaggio verso persone o comunità a loro avverse.

Questo fu il torbido in cui pescarono i piemontesi e in cui si pesca ancora.

Non bastano però alcune azioni da veri briganti, come stupri saccheggi, uccisioni, per definirla guerra di briganti. Se accettassimo questo, dovremmo concludere che tutte le guerre combattute, prima e dopo quella guerra, furono guerre di briganti.

Tutti gli eserciti di tutti i tempi si sono macchiati di ruberie e di distruzioni nei territori in cui hanno operato (compreso l’esercito piemontese che ha stuprato, saccheggiato, ucciso).

Ed è profondamente ingiusto definire partigiani tutti coloro che nelle varie epoche hanno difeso le loro case, le loro donne e, invece, definire briganti i partigiani del Regno delle Due Sicilie.

(Ed i piemontesi hanno falsificato la Storia, sempre per denigrare le popolazioni del sud d’Italia, anche per la pagina di Storia che riguarda la resistenza ai francesi invasori nel 1799. Poche città al mondo possono vantare 3.000 morti in due giorni nei combattimenti contro gli invasori, come invece successe a Napoli nel 1799: ed alla Storia li hanno fatti passare per … “Lazzaroni”!).

Vediamo una prova storica sul fenomeno del brigantaggio.

Nel “Giornale degli atti dell’Intendenza di Basilicata” dell’anno 1857, in cui compaiono tutti gli atti di governo e le sentenze, compare solo il nome di Paolo Serravalle definito bandito.

Evidentemente i delinquenti ci sono sempre stati e c’erano anche nel 1857. Come mai quattro anni dopo, nel 1861, nella Basilicata le truppe piemontesi uccisero 1.232 Briganti e 3.000 ne furono arrestati?

Certo! ci furono fenomeni di brigantaggio, ma fu una esigua minoranza in confronto al fenomeno che fu vastissimo.

Questo popolo in rivolta, non solo non strumentalizzò niente ma rifiutò di farsi strumentalizzare.

Infatti Francesco II, l’ultimo Re Borbone, tentò di dare un carattere unitario a questa rivolta del popolo del Suo ex Regno contro il Piemonte invasore. Inviò un generale spagnolo, Borjes, ad inquadrare queste bande o, almeno, le più grosse. Ma la missione fallì miseramente, infatti Borjes fu ucciso mentre tentava di riparare nello stato della Chiesa. La missione fallì proprio perché rifiutarono, i Briganti, di essere strumentalizzati.

La guerra nacque nel 1860. Piccoli incidenti, prima, rivolte poi, contro la Guardia Nazionale e le truppe occupanti l’ex Regno delle Due Sicilie.

Volendo dare una data di inizio si potrebbe far partire questa guerra il 2 Giugno 1860. Quel giorno Garibaldi, che stava tentando quella che fu la sua insperata e fortunata impresa di conquistare un Regno, non sappiamo se in buona fede o demagogicamente, promise al popolo meridionale l’abolizione dei dazi, di alcune tasse e la distribuzione al popolo delle terre demaniali oltre, logicamente, la tanto conclamata libertà.

Non sappiamo se le avrebbe mantenute o meno, quelle promesse (se dobbiamo giudicare dal suo primo provvedimento, all’indomani della sua entrata in Napoli, cioè il cambiamento del nome al Corso Maria Teresa, che da allora si chiamò Corso Vittorio Emanuele, forse non le avrebbe mantenute), ma a noi poco interessa questo.

Ci basterà sapere che il governo piemontese attuò, invece, questi provvedimenti: Coscrizione obbligatoria. Parificazione fiscale dell’ex Regno delle Due Sicilie al regno di Sardegna. Vendita ai privati dei beni demaniali ed ecclesiastici.

Per sapere quanto possa essere stata popolare la legge sulla coscrizione obbligatoria, ricordiamo che fino al 1860 il popolo meridionale non aveva la leva militare obbligatoria; il governo dell’epoca aveva un esercito di professionisti.

Attuata la parificazione fiscale, il popolo dell’ex Regno delle Due Sicilie si trovò, da un anno all’altro, a pagare più del doppio di tasse. In particolare gli aumenti gravarono sul popolo minuto, sui contadini, sugli artigiani, per l’introduzione di nuove tasse sconosciute sotto i Borboni.

Infine la vendita dei beni demaniali ed ecclesiastici che tolse la fonte di sostentamento a centinaia di migliaia di persone.

Come aveva promesso Garibaldi!

Ma la rivolta, che doveva diventare guerra, non scoppiò per le tasse o per le terre. Queste furono certamente una concausa, come tutte le nuove disposizioni che furono attuate dai piemontesi, ma, principalmente, perché il popolo si sentì tradito.

E fu ancora più cocente questo sentimento poiché era stato illuso che i suoi mali, gli stessi mali che hanno afflitto sempre tutti i popoli, fossero finiti. Ed aveva dato fiducia.

Ecco perché si rivoltò: si sentì tradito! Non solo non ebbe la libertà ma si sentì oppresso. Odiò subito questa nuova gente che non capiva e da cui non era capito. Gente differente e che mostrava di essere piena di disprezzo. Questi piemontesi, taciturni e rozzi per natura, si resero odiosi proprio per il modo con cui trattavano il popolo. A parte le leggi e le tasse e le nuove regole. Ecco perché iniziò questa rivolta!

Ed ora cerchiamo di capire il modo di condurre questa guerra da parte dei piemontesi.

Le notizie ufficiali sulla guerra sono frammentarie.

Non potrebbe essere altrimenti perché abbiamo visto chi gestiva l’informazione: quindi, probabilmente, i dati citati prima sono per difetto.

Presso Pontelandolfo, in provincia di Benevento, una banda di Briganti attaccò una compagnia di soldati piemontesi e ne uccise alcuni. Pochi giorni dopo, il 14 Agosto 1861, 500 piemontesi di notte circondarono Pontelandolfo e rasero al suolo il paese facendo strage di vecchi, donne, bambini.

Qualche giorno dopo gli abitanti di Casalduni ebbero uguale sorte, purtroppo per loro. Ancora.

A Scurcola, paese vicino Avezzano, avevano trovato rifugio gli uomini di una banda di un tal Giorgio detto Piccione. Questi aveva fatto ospitare i feriti presso la locale caserma e distribuito gli uomini per il paese. Avvisati da qualche spia locale, arrivarono i piemontesi che prima ammazzarono i feriti, poi radunarono gli uomini nel cimitero ed il giorno dopo, seviziandoli, ne ammazzarono centosessantasette. Ancora.

A Bronte, Nino Bixio (si, proprio lui: il garibaldino liberatore!), dopo avere occupato il paese in cui si erano verificati dei moti al grido di “Viva la Libertà!” “Viva la Repubblica!”, pose queste condizioni: se la consegna dei responsabili fosse avvenuta nella prima ora, 100 lire di multa, nella seconda 500, nella terza 1.000, e così via. Avuti i 24 presunti colpevoli, li fece fucilare all’istante ed ad uno, che gli si era avvicinato per chiedergli grazia, gli sparò personalmente. Ancora, Ancora, Ancora, …..

Fu sempre questo il modo di condurre la guerra da parte dei piemontesi: fecero cose atroci!

Quelli citati sono casi che, comunque, non rendono l’idea del clima di terrore che c’era all’epoca. I bandi di Cialdini, Fumel, Pallavicino si chiudevano immancabilmente con annunci di condanne a morte senza processo. Chiunque aveva armi in mano era giustiziato sul posto. Chi portava viveri oltre la cinta del paese, per il solo sospetto che potessero servire ai Briganti, era fucilato sul posto, anche se era una donna, anche se era un bambino. E ci fu (per sua dichiarazione) chi, per dare esempio, condannò a morte sicuri innocenti.

(E l’infame Cialdini, mentre la Fortezza di Gaeta trattava la resa, continuava a bombardare, contro tutte le regole dell’onore …).

Purtroppo è possibile che di tutto questo non molti oggi sappiano e spesso non in questi termini. I vincitori non avevano interesse a far conoscere la verità, ed ancora oggi, dopo che la critica storica ha definitivamente messo alla luce i fatti, avviene che nel testo di storia di quinta elementare (informazione diretta a chi sta formando la sua mente, per cui rimarrà per sempre), ci si liberi del problema facilmente, dicendo che c’erano briganti che infestavano le strade.

Invece, la verità storica, nascosta dagli storici ufficiali, è che in questa guerra vi furono più prigionieri, feriti, morti e danni di tutte le guerre del cosiddetto risorgimento, messe insieme.

L’informazione, dell’epoca e di oggi, dandoci una visione dei fatti distorta e falsa, è certamente imputabile di connivenza, servilismo e malafede. Purtroppo alcuni meridionali, vittime come popolo, erano alleati agli oppressori non per vaghe idee di unità, libertà, eccetera, ma solo per propri interessi personali, materiali ed anche ideologici. Croce, ad esempio, ha scritto testualmente:

Ricercando la tradizione politica nell’Italia meridionale, ho trovato che la sola di cui essa possa trarre intero vanto è appunto quella che mette capo agli uomini di dottrina e di pensiero, i quali compierono quanto di bene si fece in questo paese, all’anima di questo paese, quanto gli conferì decoro e nobiltà, quanto gli preparò e gli schiuse un migliore avvenire, e l’unì all’Italia. Benedetta sia sempre la loro memoria e si rinnovi perpetua in noi l’efficacia del loro esempio! Benedetto(?) Croce!

fonte

http://www.adsic.it/2004/02/13/guerra-di-resistenza-del-popolo-napoletano-alle-truppe-piemontesi-dal-1860-al-1866/#more-377

1 Comment

  1. Detto fra noi, mi sembra un articolo da intellettuale che vuol salvare capre e cavolo distribuendo le colpe, sempre che sia possibile in una guerra di aggressione per interessi… Almeno Garibaldi, cercato e coinvolto per il misfatto programmato di appropriarsi di un Regno, in realta’ distruggendolo, ebbe a riflettere e, ritiratosi a Caprera dopo aver abbandonato il parlamento di Torino, disse che si pentiva di quanto aveva fatto… Troppo tardi!…ma capì finalmente di essere stato usato anche lui per interessi di potere…e contro il popolo. caterina ossi

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