I Borbone e i cani: storie di una lunga passione
Oggi la caccia è un tema controverso. Viaggiando indietro nel tempo, sappiamo che essa era ad appannaggio della casta guerriera e che, in seguito, divenne una manifestazione importante del potere regale. Dunque andiamo, a scoprire la storia della passione per la caccia dei Borbone.
La caccia dei Borbone
La famiglia Borbone coltivava da sempre la passione per la caccia. Per Carlo I è stato sempre un amore incondizionato, unico rimedio per combattere l’apucundria ereditata dal padre. Ferdinando IV visse per la caccia un’autentica ossessione. Per l’aristocrazia settecentesca segnò un momento di passaggio; infatti era diventata l’attributo di una “società di corte”. Con i Borbone, la caccia diviene una sorta di gigantesco salotto all’aperto, un luogo di esibizionismo sfrenato, di maniere di corte che coinvolgevano l’uso dei cavalli, dei cani, dei gesti, delle precedenze. Era il momento di verifica della corona e degli equilibri politici con l’aristocrazia.
I luoghi di caccia
Tutti noi abbiamo sentito parlare delle”Reali Delizie“, ma perché furono costruite? Quando Carlo I arrivò in Campania nel 1734, partendo dai Regi Lagni, realizzò una politica di bonifica della pianura. Tra il progetto di una capitale a Caserta, nei siti migliori per la passione della caccia, i Borbone fecero costruire reali residenze adibite al proprio svago. Ecco perché San Leucio fu un villaggio agricolo e manifatturiero, Carditello uno stabilimento per l’allevamento di bufali, vacche e cavalli. E ancora la collina di Capodimonte, la Reggia di Portici, gli Astroni, Licola, Calvi, Persano, Capriati e Caiazzo: tutte meravigliose “Reali Delizie“.
I Cani? I migliori amici dei Borbone
Cani corsi, levrieri della steppa, moscoviti, cani spagnoli e tedeschi: re Ferdinando IV non badava a spese! I suoi fedeli segugi provenivano dalle razze migliori. Non è un caso che proprio alla Reggia di Caserta vi siano due ritratti: sono quelli di Malacera e Diana, che Ferdinando IV commissionò. Per loro volle pittori di rilievo e pose regali, al pari di un ritratto di famiglia. Non è finita qui! Alla Vaccheria di Caserta, conosciuta come il “Casino Vecchio“, ci sono due lapidi dedicate proprio ai due animali, con una poesia che il re volle fare incidere alla morte dei suoi amici a quattro zampe:
«Di Calvi [probabilmente Calvi di Sparanise], nel più fosco impenetrabil bosco, dal fiero dente d’un cinghiale trafitta, Malacera famosa, esangue qui riposa. Geme Diana afflitta, sulla funesta sorte della più fida sua ministra e forte cagna che per le selve fue terrore delle belve: cagna che al regio piede mi le condusse fuggitive prede, intrepida così che ancor estinta la vedi morta e non credi vinta».
“Ferdinando Dei Cani” e i mastini napoletani
Vi sarà capitato di sentir dire: “FERDINANDO DÊ CANE”. Questa è un’espressione che si usava per Ferdinando IV. In realtà ci svela come l’amore del re per i cani fosse conosciuto anche dal suo popolo. Oggi si usa ancora per indicare un amante appassionato dei nostri amici a quattro zampe. A questo punto vi suggeriamo una passeggiata nel parco della Reggia di Caserta, dove presso la fontana di Diana e Atteone potrete riconoscere proprio Malacera e Diana, immortalati nel gruppo dei cani da caccia. Tra questi, Tommaso Solari, sotto disposizione del re, vi ritrasse ben nove riconoscibili mastini napoletani. Ciò prova che ai Borbone stavano particolarmente a cuore i molossi, poi usati anche dai Briganti in difesa della nostra terra.
Concludiamo il nostro viaggio sui Borbone e i cani con questa divertente massima di Pascal sulla caccia:
«L’uomo corre indifferentemente dietro una palla o una lepre»
(B. Pascal)
Linda Maisto
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