Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

I bravi industriali del Nord

Posted by on Ott 2, 2021

I bravi industriali del Nord

…salvati dallo stato nel 1908, nel 30, nel dopoguerra…e ai giorni nostri!

Nella storia del nostro stato, dall’unità in poi, abbiamo avuto sotto gli occhi innumerevoli volte l’incapacità delle popolazioni settentrionali ad essere dei buoni imprenditori: eppure continuiamo in modo imbecille a ripetere che gli imprenditori del nord sanno fare il loro mestiere.

Abbiamo già visto come nel 1861 lo stato italiano unitario costrinse le popolazioni del sud a privarsi dei suoi risparmi, col vendere le terre demaniali del sud a quelli del sud, facendo investire in agricoltura. Ed il decennio dal 1861 al 1871 fu di grande esplosione di ricchezza al sud che esportava le sue derrate agricole in tutta Europa.

Nel 1871, a dispetto della strombazzata politica liberista del Cavour, il governo italiano incominciò a rompere le relazioni economiche con la Francia per proteggere gli industriali del nord che stavano fallendo a causa della loro incapacità di misurarsi con altre industrie.

Non ebbe importanza che il sud che aveva investito in agricoltura protestasse per la strozzatura che lo stato gli faceva: si doveva salvare l’economia del nord. E noi tutti fummo obbligati a comprare pessimi prodotti settentrionali a prezzo più caro!

Ed abbiamo già parlato della guerra che si combatté tra il Banco di Napoli e la Banca Nazionale nel Regno d’Italia (unione della Banca di stato piemontese e le Banche di stato toscane), lo stato unitario costrinse il Banco di Napoli a perderla.

Ed abbiamo già mostrato quanta moneta circolasse in Italia prima dell’unità. Come facevano gli industriali del nord a vendere? non avevano neanche le monete, con il baratto, forse?

Nota. Lo scopo di questi articoli è divulgativo e, quindi, non sono appesantiti da note e riferimenti a fonti e documenti. Facciamo un’eccezione per il prossimo argomento poiché, quando ci è capitato di parlarne, l’incredulità è stata massima.

“Nel 1907 la crisi finanziaria della FIAT aveva raggiunto punte drammatiche”. (Giornale La Stampa, 1908 – Articolo: Il processo contro gli ex amministratori della FIAT).

“La Banca d’Italia si preoccupò che l’eventuale fallimento della FIAT non mettesse in crisi il sistema bancario”. (Archivio della Banca d’Italia – Operazioni di sconto speciali. Milano – Società Bancaria Italiana, Fascicolo “Società Automobili Fiat, voci di crisi ed eventuali conseguenze per la Società Bancaria Italiana”).

“Le cause furono errori di previsione che furono esasperati dalle carenze organizzative della società: nel campo delle lavorazioni d’officina, in quello amministrativo, ma soprattutto in quello commerciale”. (G. Broglia – Sulle perizie fiscali contro la Società FIAT – Torino, 1909).

“Il fallimento fu evitato con un aumento del capitale sociale sottoscritto dalle Banche creditrici per l’80%. Nel frattempo, Giovanni Agnelli, ed altri amministratori, unitamente a sindaci e dirigenti della società, venivano denunciati per falso in bilancio, aggiotaggio, truffa”. (V. Castronovo – Giovanni Agnelli – Torino, 1971). Il processo si concluse con l’assoluzione “per non essere provata la reità”.

Ma le Banche non salvarono la FIAT solamente. Silos di Genova, Distillerie Italiane, Società Italiana per la Fabbricazione dell’Alluminio, Società Candiani Girardi Berni, Unione Concimi, Società dell’Elba, Cotonificio Turati, Cotonificio Bergamasco, Cotonificio Piemontese, Cristalleria e Vetreria Veneziana: sono i nomi più prestigiosi dell’industria del primo decennio del 1900.

Poi venne la prima Guerra Mondiale e lo stato con le sue commesse salvò prima, ed arricchì poi, gli industriali del nord d’Italia.

Divennero grandi con le commesse dello stato aziende come l’Ansaldo, la FIAT, Rossi, Pirelli, eccetera.

Nel frattempo grandissime aziende meridionali erano condannate alla chiusura per mancanza di commesse da parte dello stato. Il Reale Opificio di Pietrarsa, che in epoca borbonica era il più grande stabilimento meccanico d’Europa, fuori dell’Inghilterra, aveva chiuso poiché la sua produzione (materiale ferroviario, bellico) non trovava il suo unico possibile cliente, lo stato, disposto ad acquistare. E così i grandi opifici Guppy & C., il Reale Stabilimento di Mongiana, l’opificio Zino, Henry & C., l’opificio meccanico Guglielmo Lindemann di Bari, la ferriera di Thomas d’Angiout, l’opificio siderurgico di Atina, la fonderia Matherson & C., la Società Ferroviaria Bayard, la fonderia di Fuscaldo, l’opificio meccanico di F. E. Lamorte, l’officina di G. Alfonso & Figli, l’officina Rinaldi di Spinazzola, la Reale Fonderia, la Reale Manifattura di armi bianche e da fuoco di Torre Annunziata, il Cantiere di Castellammare.

Il più grande arsenale di marina d’Italia, quello di Napoli, fu chiuso perché le commesse erano passate sempre e solo a cantieri liguri o veneti.

E furono condannate alla stessa sorte grandissimi stabilimenti tessili come: le Reali Fabbriche di S. Leucio, il Real Convitto del Carminiello, gli opifici dei Fratelli Cosenza, di L. Matera, di Nicola Finizio. E così gli stabilimenti di grandi investitori esteri come: Schlaepfer, Wenner & C., Meyer & C., Meyer & Zollingen, Reiser & C., Freitag & C., Wenner & C., Weemaels & C., G. Egg, Giraud, Vonwiller, Zublin & C. di Bari.

La cartiera del Fibreno, la cartiera Visocchi di Atina, la cartiera dell’Ing. A. Bucci, la cartiera di Courier, le cartiere del Liri di Sorvillo, Roessinger & Questa, la cartiera Lambert-Mazzetti, tutte condannate alla chiusura.

Uguale fine fecero altri grandissimi stabilimenti dell’ industria del vetro, del tabacco, alimentare, chimica, eccetera. Altro trattamento per le industrie del nord.

Negli anni ’30 i tanto strombazzati bravi industriali della Padania erano al più completo fallimento ed avevano coinvolto le tre più grandi Banche nazionali nel loro stato di dissesto. E lo stato italiano, ancora una volta, andò in loro soccorso. Fu inventato l’I.R.I. che fece pagare a tutti gli italiani il costo di quel salvataggio.

(Si mettono a ridere gli ignoranti dei fatti e della verità storica, quando asseriamo che il sud mantiene il nord!).

Nel dopoguerra lo stato italiano ancora una volta andò in soccorso degli industriali del nord (manco a dirlo a scapito di quelli del sud). Le leggi sulla ricostruzione industriale finanziarono praticamente tutte il nord: vedi ad esempio le leggi sulla Ricostruzione del dopoguerra.

Le leggi e leggine che hanno sempre salvato gli incapaci industriali del nord sono impossibili da elencare.

Ricordiamo la legge per cui gli albergatori del nord ebbero dalla B.N.L. a tassi favolosi i soldi per far nascere il fenomeno della riviera adriatica (tutti dicono: “Fate come i romagnoli, avete visto come sono stati bravi a far nascere un’industria sulla sabbia!”. Sapessero!).

Ricordiamo la legge per l’innovazione tecnologica che ha distribuito decine di migliaia di miliardi indiscriminatamente alle industrie del nord.

In tempi recenti Mediobanca ha salvato più di una volta aziende che passano come miti industriali: Agnelli, Pirelli, De Benedetti e compagnia devono la loro bravura solo ed unicamente agli interventi del sistema ed in particolare del sistema bancario.

Citiamo il caso delle azioni FIAT in mano alla Libia. Con un intervento tanto caritatevole quanto incomprensibile la Banca Nazionale Tedesca comprò dai libici il 12% delle azioni FIAT pagandole circa 12.000 lire ognuna. Come mai? Il valore dell’epoca non superava le 5.000 lire e successivamente il valore si è tenuto costantemente inferiore alle 8.000 lire. Chi ha perso quei soldi? e perché?

Ed il caso dell’Olivetti? E quello della Motta? E quello della Montedison? E quello della Eccetera? e quello della Eccetera?

Vediamo quanti fallimenti e quanti protesti ci sono stati nel 1989, e dove (tra parentesi la posizione in classifica).

Se rispettassimo la percentuale della popolazione sul totale Italia, che è per il nord del 64,55% e per il sud del 35,45, il nord ha più fallimenti di quanti gliene toccherebbero. Analogamente il nord ha il 73,85% dei protesti mentre gliene toccherebbero il 64,55%.

E abbiamo visto solo qualche piccolo caso sui grandi e buoni e bravi imprenditori del nord!

Dobbiamo avere solo più intraprendenza e scrollarci di dosso l’etichetta di parassiti dello stato che ci hanno appiccicato con 135 anni di colonizzazione: sappiamo lavorare, vogliamo lavorare, abbiamo i capitali … ed allora, lavoriamo!

 FallimentiProtestiAmmontare (ml)
Piemonte859 (07)53.382135.000 (08)
Valle d’Aosta17 (19)1.6083.000 (19)
Lombardia1.900 (01)226.821724.000 (01)
Trentino A.A.115 (16)6.72223.000 (16)
Veneto762 (08)59.687225.000 (05)
Friuli V.G.280 (13)14.07257.000 (14)
Emilia Romagma57.000 (14)35.843110.000 (10)
Toscana1.166 (04)95.368307.000 (03)
Umbria81 (15)23.98459.000 (13)
Marche354 (11)48.757122.000 (09)
Lazio1.825 (02)148.834511.000 (02)
Abruzzo311 (12)24.66564.000 (12)
Molise31 (18)5.51515.000 (18)
Campania1.592 (03)74.535263.000 (04)
Puglia880 (06)60.582167.000 (07)
Basilicata62 (17)9.80822.000 (17)
Calabria422 (10)28.56583.000 (11)
Sicilia1.010 (05)66.341178.000 (06)
Sardegna186 (14)13.99231.000 (15)
    
NORD-CENTRO8.584729.9812.324.000
MERIDIONE3.298203.770614.000
ISOLE1.19680.333209.000
TOTALE13.0781.014.0843.147.000

Carmine De Marco

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