I capitani napoletani e siciliani a Odessa e nel Mar Nero (1815-1860)
Primi contatti tra la Russia e il Regno di Napoli: verso il trattato
Dopo la fine della guerra russo-turca, nel 1774, le corti madrilena e viennese fecero pressioni su quella napoletana per adottare una politica di apertura verso l’impero russo. Il ministro borbonico Bernardo Tanucci nel 1776 scriveva a Guglielmo Maurizio Ludolf, incaricato degli affari napoletani a Istanbul dal 1747, del gran numero di navi inglesi e veneziane «che con Bandiera Russa passavano nel Mar Nero», esortandolo a «non perdere di vista questo assunto» [1]. Destituito il Tanucci il governo napoletano cominciò a intrattenere relazioni con la Russia tramite il suo successore, il palermitano Giuseppe Beccadelli Bologna marchese di Sambuca e, poco dopo, Caterina II inviò a Napoli il filosofo Frederich Melchior Grimm, suo «factotum». Tutto ciò aprì la via alla stipula del trattato di commercio della durata di dodici anni firmato con la Russia nel 1787. Ma già nel 1783 era stato nominato come console, con residenza a San Pietroburgo Antonino Maresca Donnorso, duca di Serracapriola, discendente da una antica famiglia mercantile di Sorrento; e poco prima della stipula del trattato fu nominato Vincenzo Musenga console generale per il Mar Nero, con residenza a Cherson, che doveva dare conto al Serracapriola e che prese possesso del suo ufficio solo dopo il 1792, alla fine della II guerra russo-turca [2].
Il commercio con la Russia era necessario sia per i materiali occorrenti alla flotta (in primis legno e cannoni) proveniente dal Mar Baltico, sia per il transito in Mar Nero delle navi cariche di grano da importare, e di navi con i molti agrumi siciliani da esportare. Perciò il trattato di commercio era di vitale importanza. Proprio in questa ottica di sviluppo commerciale si provvide anche a potenziare il naviglio delle marine mercantili napoletana e siciliana. Furono così concessi «premi» per incrementare le costruzioni specialmente di pinchi e di polacche. Numerose imbarcazioni usate per il rifornimento annonario della capitale napoletana furono costruite nei cantieri di Piano e Meta, nella penisola sorrentina, in quelli di Castellammare e Vico Equense, nell’isola di Procida e nel porto di Vietri; molte furono realizzate anche in Sicilia, in particolare a Messina, riconfermata porto franco da Carlo III nel 1734, privilegio poi ampliato da Ferdinando IV nel 1784 [3]. Inoltre, per le navi più grandi, usate per percorrere le nuove rotte del Mar Baltico, del Mar Nero o dell’Oceano (Martinica francese e isole Vergini danesi), il re concedeva l’armamento con cannoni e polvere con una diminuzione di prezzo [4].
Molti «capitani coraggiosi» frequentavano le scuole nautiche di Napoli, di Meta e Carotto nella penisola sorrentina, fondate nel 1770 e riorganizzate da John Acton, nominato Ministro della marina borbonica nel 1780, con l’introduzione del «metodo normale», che permetteva di ottenere una più rapida alfabetizzazione. Uno dei capitani della penisola sorrentina, Ferdinando Scarpati, nato nel 1771 a Meta di Sorrento, compì un lungo viaggio in Mar Nero e nel Mar d’Azov nel 1794 disegnando dei rilievi delle coste ora conservati nel Museo Correale di Sorrento. Per la sua riconosciuta perizia nautica divenne poi professore della scuola nautica di Meta e Piano di Sorrento [5].
Lo sviluppo degli studi nautici si ebbe anche in Sicilia dove nel 1779 si decise di costruire tre collegi a Palermo, Messina e Catania con finalità simili a quelle dell’Albergo dei poveri costruito a Napoli nel 1772, in cui dovevano essere ‘ricoverati’ i giovani poveri, oziosi e vagabondi, per imparare un mestiere e i primi rudimenti dell’alfabetizzazione. Poi nel 1789 anche in Sicilia fu introdotto il «metodo normale». Ma occorrevano anche scuole nautiche, necessarie per la popolazione dell’Isola, che vantava un’antica e fiorente tradizione marinara. La prima scuola fu quella di Palermo, il Seminario Nautico, aperta nel 1789 da monsignor Gioeni dei duchi d’Angiò, in un edificio di sua proprietà, all’Acquasanta, che doveva consentire «di fornire alla città e alla Sicilia gente di mare adeguata». La direzione fu affidata a Giovanni Fileti, che si era già occupato delle scuole nautiche sorrentine, e la tutela amministrativa fu data a don Pietro Lanza di Trabia. Il Seminario, diversamente da quelli campani, accoglieva gratuitamente dodici giovani tra i 12 e i 18 anni, già in grado di leggere e scrivere, che dovevano aver compiuto almeno due anni di navigazione su navi a vela quadra. Erano privilegiati i figli dei padroni dei bastimenti, proprio per incrementare la classe mercantile, ancora priva di piloti capaci. Inoltre, potevano essere ammessi altri alunni a pagamento. L’iniziativa ebbe subito rapido successo, anche per la pubblicità fatta dal Supremo Magistrato di Commercio. Nel 1793 il Seminario fu trasferito nell’ex Convento dei Padri Mercedari al Molo e dieci anni dopo si contavano ben 58 diplomati, di cui metà era al comando di bastimenti mercantili e metà in giro su navi straniere per perfezionarsi [6].
Dopo il 1792 le navi napoletane e siciliane ripresero il commercio con la Russia, specie quello del grano, utilizzato a Napoli per la fabbrica dei «macaroni», prodotti nella Costa di Amalfi, a Gragnano e a Torre Annunziata. In quel periodo lo scalo di Messina, grazie al privilegio del porto franco, divenne il principale approdo meridionale per le merci provenienti dal Levante. Secondo i termini del trattato firmato nel 1787 la Russia concedeva una riduzione del 25% sui diritti doganali per le merci napoletane e siciliane importate a Cherson, Sebastopoli e Teodosia; di contro Napoli concedeva agevolazioni simili per le merci importate dal Mar Nero. Inoltre la Russia offriva la sua bandiera mercantile alle navi napoletane e siciliane che così potevano oltrepassare gli stretti senza incorrere nei divieti dati dalla corte ottomana [7]. Ma poiché il porto di Cherson era in un luogo dall’aria malsana, Caterina II, su suggerimento di Giuseppe de Ribas, decise di costruire una nuova città portuale nella baia di Khadijbey, un villaggio situato sulle alture del Mar Nero, da poco conquistato [8].
Josè Pascual Domingo de Ribas y Boyons, era nato a Napoli nel 1749 dal console spagnolo Michele e da un’aristocratica irlandese. Dopo aver prestato servizio nell’esercito napoletano nel 1772 combatté valorosamente nella prima guerra russo-turca, rimanendo poi a corte, dove fece carriera. Svolse un ruolo fondamentale nella stipula del trattato tra Napoli e la Russia insieme all’economista abate Galiani, al Serracapriola e al Ludolf. Anche nella seconda guerra russo-turca combatté valorosamente al comando della flotta a remi, riuscendo a espugnare la fortezza ottomana di Izmail e il territorio in cui era situata la baia Khadijbey. Così, poco dopo la fine della guerra, propose alla zarina di costruire una nuova città portuale proprio in quel luogo, su modello dei più importanti porti mediterranei come Livorno e Marsiglia. Caterina approvò il progetto di de Ribas nel 1794, riconoscendo la posizione favorevole della baia per la nuova città portuale, che l’anno seguente sarebbe stata chiamata Odessa. Contemporaneamente nominò il de Ribas governatore della nuova città, inviandogli una prima tranche di 26 mila rubli con i quali, coadiuvato dall’ingegnere olandese Franz de Voland, cominciò a edificare Odessa, concepita in due settori, quello militare e quello civile, con il porto, sia militare che mercantile, e un lazzaretto simile a quello di Livorno. Furono gettate le fondamenta de’ due moli, della Quarantina, delle Chiese, greca, russa, cattolica, del teatro, delle caserme, delle botteghe e di molti altri edifici tanto pubblici e privati, nonché della fortezza [9]. In pochi anni si stabilirono nella nuova città molti stranieri, specie greci e italiani, e lo stesso console del regno di Napoli, Vincenzo Musenga, vi costruì un’abitazione. A Odessa giunse anche il giovane fratello di de Ribas, Felice, in Russia dal 1792, quando aveva combattuto per l’esercito russo-ucraino; poi dal 1798 entrò in affari noleggiando bastimenti per caricare grano in Polonia da spedire nei porti del Mediterraneo. Inoltre, avviò una produzione sperimentale di seta e lana; organizzò una lucrosa attività di pesca con tonnare e, infine aprì un negozio di commestibili e oggetti di lusso e una fabbrica di «macheroni e paste fini» all’uso napoletano [10].
Dopo la morte della zarina il figlio Paolo I, in disaccordo con la politica materna, accusava di malversazioni e destituiva il de Ribas il quale tornava a San Pietroburgo, dove sarebbe morto nel 1801. I lavori furono sospesi per circa tre anni, ma poi ripresi su consiglio dei ministri dello zar, d’accordo sull’utilità della nuova città per l’incremento del commercio in Mar Nero.
Nel 1799, a Odessa si contavano già 60 edifici statali, 353 case private, 416 negozi, 101 magazzini e le opere portuali erano state quasi tutte ultimate. Il 21 gennaio di quell’anno Guglielmo Costantino Ludolf, figlio di Maurizio, che aveva sostituito il padre come ambasciatore presso la Porta ottomana, ottenne per il regno di Napoli facilitazioni per il passaggio degli stretti in modo da poter commerciare con il Mar Nero.
Intanto a Messina il consolato generale russo era stato affidato a Federico d’Oteé, (si trattava probabilmente del ricco negoziante tedesco, Federico d’Ovij), mentre cominciavano ad arrivare dal Mar Nero le prime imbarcazioni con bandiera russa, tra cui un mercantile carico di grano spedito da un negoziante di Nicolajev e una polacca sorrentina che aveva portato in Russia agrumi siciliani ed era tornata a Odessa con un carico di grano. Poi a fine secolo a Messina arrivò la flotta militare russa in aiuto di quella borbonica, grazie all’alleanza tra i due Paesi, in quanto la situazione politica si era fatta incandescente [11]. Il 20 dicembre 1798 poco prima che i francesi entrassero in Napoli, re Ferdinando con la famiglia e la corte fuggivano a Palermo ordinando di incendiare la propria flotta, costruita in quegli anni dal ministro Acton, per non lasciarla in mani nemiche. Così, proclamata la Repubblica Partenopea, il commercio col Mar Nero fu di nuovo interrotto [12].
Anni di transizione (1800-1806)
La Repubblica Partenopea fu repressa nel sangue in giugno con l’aiuto degli inglesi, che permisero a re Ferdinando di poter tornare da Palermo, dove si era rifugiato; così il porto di Messina divenne la base per la flotta militare russa nel Mediterraneo e cominciò a essere frequentato anche dai mercantili di quella nazione. Nello stesso tempo ripresero le trattative con la Russia per ottenere un accordo più favorevole per le navi napoletane dirette in Mar Nero. Il nuovo trattato, firmato il 6 luglio 1800 dallo zar Paolo I, consentiva di esportare un certo quantitativo di grano, orzo e materiali per la flotta pagando solo metà dei diritti doganali, purché le merci fossero trasportate su navi russe o napoletane.
Dopo l’assassinio dello zar, il 21 marzo 1801, il figlio Alessandro I cercò di riprendere il cammino di riforme intrapreso dalla nonna stipulando la pace con la Gran Bretagna, concedendo il libero passaggio in Mar Nero a tutti i vascelli stranieri e particolari franchigie sulle merci importate ed esportate. Nel 1803 lo zar decise di utilizzare i profitti derivanti dalla vendita dell’acquavite per completare le costruzioni nel porto e nel lazzaretto. In breve la città passò dagli iniziali 2.000-3.000 abitanti a circa 10 mila, molti dei quali stranieri, principalmente greci e italiani e per incrementare il commercio furono concessi permessi per esportare grano.
Un valido apporto allo sviluppo di Odessa lo dette il duca Armand Emanuel du Plessis de Richelieu, discendente dell’omonimo cardinale, nominato nel 1803 governatore generale di Odessa e dei governi di Cherson e di Yekaterinoslav. Il Richelieu, uomo di raffinata cultura, emigrato a Vienna durante la rivoluzione francese e poi entrato nell’esercito russo, diede un gradevole aspetto urbanistico alla città, incrementando l’afflusso di stranieri che acquistarono immobili e aprirono negozi per inserirsi nel commercio granario già consolidato. Furono costruiti numerosi ed eleganti edifici su modello italiano e fu dato un preciso impianto urbano con ampi boulevards; inoltre fu organizzato il sistema scolastico, con la creazione di un ginnasio e di altre scuole, anche in lingua italiana, la «lingua franca» usata dalla numerosa colonia che vi si era stabilita.
Napoleone col trattato del 25 giugno 1802 aveva fatto accordare alla Francia il privilegio della libera navigazione nel Mar Nero, poi nel 1803 aveva incaricato Jean de Reully, uditore del Consiglio di Stato e futuro sottoprefetto di Soissons, di una missione lungo quelle coste per studiarne le possibilità commerciali. Durante il suo viaggio il Reuilly si era fermato a lungo a Odessa, dove aveva notato la crescita della città, in cui erano stati costruiti ampi quais. Secondo i dati raccolti si contavano 4.500 abitanti, di cui 2/3 italiani, occupati sia nei commerci che nelle costruzioni. Qui nel 1802 erano approdati 300 vascelli, aumentati a 400 l’anno seguente, per lo più austriaci, impiegati a caricare grano [13].
Grazie al trattato di Amiens del 1802 anche il numero di imbarcazioni russe in arrivo a Messina registrò un costante aumento fino all’inizio del 1806 (dalle 29 nel 1801 alle 144 nel 1805) per cui il porto era diventato il più frequentato dalle navi provenienti dal Mar Nero – dopo Trieste – e il commercio granario della Nuova Russia era governato soprattutto da mercanti messinesi che facevano arrivare il grano principalmente da Odessa. Allo stesso tempo, il porto di Messina serviva da centro di smistamento per le spedizioni di grano negli altri porti siciliani, in Italia meridionale e a Malta. Poi da Messina venivano spediti carichi di merci in Russia, soprattutto di agrumi [14].
Il Decennio Francese e il Decennio Inglese (1806-1815)
Ma questi erano anni difficili per la monarchia napoletana, che vide segnata la propria sorte dalla volontà napoleonica: nel 1806, occupata Napoli dai francesi e proclamato re Giuseppe Bonaparte, i sovrani tornarono in esilio a Palermo con l’aiuto degli inglesi. Per la Sicilia cominciava il «decennio inglese», che incise notevolmente sulla realtà politica ed economica dell’Isola, dove operava una folta comunità mercantile britannica.
Da quel momento le relazioni commerciali tra la Russia e i Borbone subirono una brusca inversione di rotta. A San Pietroburgo il Serracapriola restava fedele a re Ferdinando, malgrado la confisca dei beni, rimanendo a corte a titolo privato mentre veniva nominato come console il conte di Mondragone, Domenico Grillo. Anche Guglielmo Costantino Ludolf rimase fedele ai Borbone per cui il governo francese nominò console a Costantinopoli il Renard, cancelliere della legazione francese, coadiuvato dal mercante Biagio Francesco Salzani. Infine, nel 1807, in sostituzione del Guglielmucci fu nominato console napoletano per il Mar Nero Felice de Ribas, con obbligo di residenza a Odessa e controllo dei bastimenti napoletani che arrivavano nel porto.
Durante il «Decennio Francese» il regno di Napoli rimase sempre stretto nel cerchio dell’assedio anglo-borbonico: così le coste erano sempre controllate dalle navi inglesi che fomentavano il contrabbando. Solo la Sicilia cercava di commerciare col Mar Nero, anche se dopo il trattato di Tilsit (7 luglio 1807), con cui lo zar riconosceva Bonaparte re di Napoli, la corte borbonica interruppe i rapporti con la Russia.
In quel periodo anche il commercio di Odessa risentiva della più generale crisi derivante dal «Blocco continentale» – il decreto emanato da Napoleone nel 1806, che vietava l’attracco in qualsiasi porto soggetto al dominio francese (come nel caso del regno di Napoli) alle navi battenti bandiera inglese – a cui aveva aderito la Russia. Un ulteriore arresto dello sviluppo si ebbe nel 1812, quando un’epidemia di peste falcidiò 4 mila abitanti di Odessa riducendo la popolazione a 25 mila. Ma, data la crisi granaria europea causata dalle guerre, cessata l’epidemia di peste, dalla città era continuata l’esportazione del grano. Nello stesso 1812 erano riprese le relazioni tra i Borbone e la Russia, che cominciava ad assumere un atteggiamento francofobo, visto che i commerci erano stati distrutti dal «Blocco continentale»: così il Serracapriola fu invitato dai Borbone a riprendere i contatti diplomatici con lo zar, ottenendo l’anno seguente dalla regina Maria Carolina, accolta festosamente a Odessa, la promessa di essere rinominato console a San Pietroburgo. Intanto anche il Richelieu era partito per assistere al Congresso di Vienna: così, pacificata l’Europa, era potuto tornare a Parigi [15].
Il secondo periodo borbonico (1815-1860)
Nel 1815, dopo la Restaurazione, re Ferdinando, tornato a Napoli, decise di continuare la politica economica adottata da Murat. Innanzitutto riorganizzò i principali porti e le scuole nautiche fondate nel 1770. Poi il 30 luglio 1818 emanò la legge di navigazione per incrementare la costruzione delle nuove imbarcazioni, i brigantini, usati nella navigazione d’altura. Nel volgere di un decennio si ebbero numerose costruzioni a Napoli, nei cantieri di Meta e Piano di Sorrento, a Castellammare, nell’isola di Procida e a Conca, nel golfo di Salerno; nel 1825 si contavano 5.008 imbarcazioni napoletane (di cui 219 brigantini e 107 navi per 107.938 tonnellate), e 1.494 in Sicilia. Riprese il commercio: furono riconfermati il Serracapriola console generale a San Pietroburgo e, per il Mar Nero, Felice de Ribas che sarebbe rimasto in carica fino alla morte, nel 1845. Nel 1816 a Odessa arrivarono 800 navi di cui 20 napoletane con merci del Regno specie da Messina, il più importante porto siciliano [16], di cui una per conto dei fratelli Falanga e una siciliana, l’Oracolo, di Bonaventura Consiglio, che nel 1818 partì per Boston. Nel 1817 arrivò lo sciabecco del Regio Collegio Nautico di Sicilia, comandato da Andrea Di Bartolo, che navigava «per imparare la navigazione pratica agli alunni del collegio», per caricare grano per il principe di Trabia e per il barone Battifora di Palermo; altri arrivarono tra 1818 e 1819, sempre con prodotti siciliani, vini, arance, mandorle e limoni [17].
Dal 1817, dopo l’emanazione del decreto di porto franco, Odessa divenne una città portuale attiva, sotto il governo del conte di Langéron, Alexandre-Louis Andrault, che contribuì a migliorare il progetto urbanistico iniziale. Negli anni venti il marchese Gabriel de Castelnau compì un lungo viaggio in Mar Nero redigendo un Essai sulla storia antica e moderna della Nuova Russia; un centinaio di pagine le dedicò alla fondazione e allo sviluppo di Odessa, la cui urbanizzazione era stata tracciata da Richelieu, il lungimirante parigino che l’aveva resa città cosmopolita, con molte belle abitazioni costruite da stranieri, numerose «case di commercio» italiane dedite all’esportazione del grano e imprese artigiane e con il teatro capace di mille spettatori [18].
Nel 1818 cominciò l’avventura del vapore: un imprenditore francese, Pierre Andriel, dopo aver ottenuto una «privativa» per la navigazione a vapore costruì una prima nave, il Ferdinando I, comandata da Giuseppe Libetta, un giovane ufficiale dell’Accademia di Marina. Ma l’impresa non dette i risultati sperati perciò Andriel dichiarò fallimento sciogliendo la società che aveva costituito. Poi nel 1823 fu creata una «Compagnia per la navigazione a vapore» le cui navi erano usate per le rotte Napoli-Marsiglia e Napoli-Palermo per il trasporto di passeggeri e posta, visto che l’ingombro del motore non permetteva il trasporto di grossi carichi. Così per il commercio fino alla fine dell’800 continuarono a essere utilizzate soprattutto navi a vela [19].
Tra il 1820-21 si ebbe un rallentamento degli scambi commerciali a causa dei moti scoppiati a Napoli e ulteriori problemi vennero dalla crisi greca del 1821, per cui il commercio tra Napoli e Russia si paralizzò. Ma Odessa continuava a prosperare grazie al conte Micail Voroncov, un ricco russo laureato a Cambridge, vissuto a lungo tra Londra e Parigi, nominato governatore nel 1822.
Nel 1826 Francesco I delle Due Sicilie promulgò una “legge di navigazione di commercio” in cui equiparava i napoletani e i siciliani ai francesi, inglesi e spagnoli a cui erano stati concessi particolari privilegi per il commercio. Finalmente il 16 ottobre 1827, grazie alla mediazione russa, il regno delle Due Sicilie e l’Impero Turco firmarono un trattato di commercio che assicurava il libero passaggio delle navi napoletane in Mar Nero. Ma un anno dopo scoppiò la terza guerra russo-turca che si concluse nel 1829 quando il 14 settembre fu firmato il trattato di Adrianopoli; con questo trattato fu sancita l’autonomia greca, e definitivamente liberato il passaggio del Bosforo che permise di riprendere il commercio col Mar Nero. Comunque qualche nave regnicola continuava a essere utilizzata dal governo russo, come l’Oreto, noleggiata per il trasporto di viveri e truppe in Crimea.
In quegli stessi anni a Napoli anche re Ferdinando II promuoveva una politica di riorganizzazione delle strutture commerciali e dell’ampliamento della marina mercantile grazie a particolari «premi di produzione». Nel territorio sorrentino armatori quali i Cafiero, i Castellano, i Maresca, costruirono numerose navi che, grazie agli esperti capitani di solito appartenenti alla stessa famiglia, commerciavano in Mar Nero ma anche nel Mar Baltico e nelle Americhe. Molte navi furono costruite dagli anni trenta nei cantieri di Meta e Piano di Sorrento, nell’isola di Procida, a Castellammare. Nel 1839 si contavano 9.174 imbarcazioni napoletane di cui 1.419 per il commercio estero, quasi il doppio rispetto al 1825; ed altre 2.371 in Sicilia, di cui 657 per il commercio estero.
Dal 1830 ricominciarono le spedizioni in Mar Nero; nel 1834 arrivarono a Odessa 14 brigantini napoletani, 35 nel 1838 e 84 nel 1839. Lo stesso anno giunsero 23 navi vuote dirette al porto di Taganrog per caricare grano [20]. Una nuova era si stava aprendo per gli armatori, specie quelli sorrentini e procidani, sia per l’incremento del commercio che per quello delle costruzioni navali. Una delle più importanti famiglie sorrentine era quella dei Cafiero di Piano che avevano rapporti diretti con i porti russi del Mar Nero e avevano chiamato le loro navi con nomi russi, un brigantino Barone Stieglitz (di 312 tonnellate), varato nel 1842, in onore dell’imprenditore russo barone Alexander von Stieglitz; il brigantino Conte Nesselrode (di 274 tonnellate), varato lo stesso anno, in onore di Karl Vasil’evic Nessel’rode, capo del governo della Russia dal 1845 al 1856; il bark Nicola (di 409 tonnellate), in onore dello zar Nicola I, varato a Cassano nel 1849 [21].
Dagli anni quaranta, per incrementare il commercio, il regno delle Due Sicilie stipulò diversi trattati commerciali con le principali nazioni tra cui la Russia (1845) e in quel periodo i viaggi in Mar Nero si accrebbero; si ebbe un temporaneo blocco nel 1848 in conseguenza della rivoluzione siciliana, ma ripresero subito dopo la sua fine. Poi a causa della carestia europea del 1853 i napoletani divennero tra i principali vettori di grano per tutti i paesi europei, specialmente per il porto di Marsiglia. E lo stesso accadde durante la Guerra di Crimea (1853-54), come si vede nella seguente tabella dove sono riportati gli arrivi nel Mar Nero dei brigantini e bark napoletani e siciliani e anche di qualche nave a vapore. Due registri del Ministero degli Esteri per il periodo dal 1841 al 1856, in via di elaborazione, danno una visione esaustiva del ruolo svolto dalle marinerie napoletana e siciliana.
Arrivi di navi napoletane e siciliane in Odessa e nel Mar Nero (1841-1858) [22]
Inserendosi nel trend favorevole dello sviluppo di Odessa la marineria napoletana fungeva da vettore trasportando grano, orzo e altri cereali, ma anche altre merci, come armamenti, cavalli, soprattutto a Marsiglia e, in minor misura, nei porti inglesi e olandesi. Negli ultimi due anni si nota anche un incremento di prodotti del Regno, soprattutto agrumi, trasportati dalla Sicilia su navi siciliane e napoletane. Gli armatori e i capitani erano riusciti a crearsi delle fortune sia in patria che in Russia, dove molti di loro si erano stabiliti nella fiorente colonia italiana. Lo stesso Michele de Ribas viveva lì anche se non aveva voluto seguire le orme del padre Felice, rivelando attitudini per le materie letterarie, piuttosto che politiche e diplomatiche. Comunque la colonia napoletana riuscì a fare fortuna con i commerci in Mar Nero, di cui rimangono nella penisola sorrentina e a Procida numerosi palazzi degli antichi armatori e dove tuttora vivono i discendenti dei «capitani coraggiosi»[23]. Anche in Sicilia, soprattutto grazie al porto franco di Messina, era cresciuto un fiorente ceto mercantile che non guardava solo ai mercati del Mar Nero ma che già prima dell’unificazione alimentava l’esportazione di agrumi anche verso il continente americano, soprattutto negli Stati Uniti; commercio che sarebbe divenuto molto sostenuto dal 1881 in avanti, dopo la fusione delle due grandi compagnie nazionali, la palermitana Florio [24] e la genovese Rubattino [25], che avrebbero dato vita alla Navigazione Generale Italiana.