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I LADRI SI ACCAPIGLIANO PER LA DIVISIONE DELLA PREDA, LARGIZIONI E CONFISCHE

Posted by on Mar 4, 2017

I LADRI SI ACCAPIGLIANO PER LA DIVISIONE DELLA PREDA, LARGIZIONI E CONFISCHE

 Dopo ciò si pose mano senza indugio a distruggere fin le ultime vestigia degli ordini precedenti, e costituire i nuovi. E si cominciò, come suoi farsi in questi casi, col gratificarsi le moltitudini e le plebi, saziandone l’ingordigia con largizioni, per sopperire alle quali si fecero dall’altra parte diluviare i decreti di confisca. Perciò si mandarono rilasciare tutti i pegni, deposti presso il Monte di Pietà ed i Banchi succursali, che non oltrepassassero D. Furono istituiti dodici asili infantili gratuiti a spese del municipio, per accogliervi figliuoli dell’infima plebe. Fu aperto un Collegio gratuito, con disciplina militare, nei figli del popolo ecc. ecc.

Al tempo stesso furono confiscati i beni della Casa reale, ed in fin allora riservati alla disposizione del Sovrano; questi dei Maggiorati Reali e dell’Ordine Costantiniano, amministrati già sotto la dipendenza del Presidente dei Ministri, e tutti quelli che il Re avesse donato altrui, i quali fu decretato che si dovessero reintegrare allo Stato.

Poi, aboliti i Gesuiti con tutte le loro dipendenze e diramazioni, i loro beni mobili ed immobili furono dichiarati proprietà nazionali. Le case e i luoghi dove erigere i mentovati asili e cottegi pel popolo, furono tolti dai beni ecclesiastici e regii incamerati. Tutto ciò fu decretato ed eseguito fra i plausi cordiali de’ professori di libertà, secondo i santi principii dell’89.

Pressoché nello stesso giorno si mandava distribuire ai benemeriti lazzaroni dei dodici quartieri di Napoli un gran numero di boni per un rotolo di pane a ciascuno, da pagarsi in gran parte a spese del Municipio; e si decretava che:

«tutti i beni delle mense Vescovili ed Arcivescovili sono dichiarati nazionali, assegnandosi un congruo mantenimento, che non potrà mai oltrepassare i 2000 ducati, ad ogni Vescovo ed Arcivescovo.»

La delicatezza ed il rispetto al diritto di proprietà furono spinti fino a confiscare le rendite in cedole sopra il debito pubblico dello Stato, che antichi servitori e consiglieri del Re si affrettarono di rivelare essere, per la somma di oltre a 30 milioni di franchi, iscritti per membri della famiglia reale sotto altri nomi.

I LADRI SI ACCAPIGLIANO PER LA DIVISIONE DELLA PREDA

Sarebbe cosa da non finirla in cento pagine il registrarci nomi e le cariche degli ufficiali pubblici destituiti, e dei novelli a loro surrogati, per la sola ragione del doversi pur dare la dovuta mercede ai complici e fautori della trionfante rivoluzione.

Il Doli. Bertani fu creato colonnello «Segretario generale di Stato; cioè factotum del Dittatore, con tanta plenitudine di podestà, che i Ministri si vedeano passare sul capo e cadere in piazza decreti e bandi, de’ quali neppure diceasi loro parola; sicché furono al punto di gittare i portafogli e andarsene: ma poi si rabbonirono. Un Sirtori fu creato Pro Dittatore, quando il Garibaldi fu in caso di ricominciare la guerra viva contro le truppe regie.

Il Crispi, non più voluto in Sicilia, dove tumultuatasi contro lui dagli annessionisti, fu caramente ricevuto a Napoli e nominato segretario di Stato per gli affari esterni. Il Ministero stesso fu ancora rifiuto e rimpastato; ed ognuno può intendere da sé quale copia di nuovi ordini e di riforme dovesse grandinare ogni dì, ingegnandosi ciascuno di mettere a profitto il tempo per effettuare te sue idee.

Le cose andarono così rapidamente, che fin dal 18 Settembre, si promulgava come legge fondamentale delle Due Sicilie lo Statuto sardo, riserbandosi tuttavia ad altro decreto il determinare l’epoca in cui si dovrebbe attuare. Perché, sebbene si volessero usufruttuare gli aiuti piemontesi, e perciò convenisse satisfare in qualche modo alle esigenze di Torino; pure non voleasi ancora l’annessione così pronta, poiché in tal caso un altro partito sarebbesi recata in mano la preda, di cui i Garibaldini e Mazziniani non erano ancora satolli.

Il Cavour insisteva per mezzo de’ suoi messi e giornali: il Garibaldi ondeggiava tra il sì e il no; finché temendo di vedersi scappar di mano la Sicilia tutta in sobbollimento, e recando i tumulti colà scoppiati e il discacciamento del Crispi ad artifìcii del Cavour, la ruppe a mezzo (se pure non fu una pretta scena di commedia!) e scrisse all’Avvocato Brusco a Genova, sotto il l0 Settembre, che egli, non solo non era d’accordo col Cavour, ma non potrebbe

«mai riconciliarsi con uomini che hanno umiliato la dignità nazionale e venduta una provincia italiana.»

Quindi ratto parti verso Palermo, e vi giunse il 17. Quivi, menando attorno la falce, mise in terra l’opera del partito piemontese. Il Deprétis, come troppo Cavouriano, tolto di carica e sostituitogli come Predicatore un Mordini; e rifatto un Ministero secondo il cuore di Mazzini, che intanto soffiava il fuoco a Napoli, dove fu caramente intrattenuto col fiore de’ suoi dal Garibaldi. Il quale fulminò da Palermo alquanti proclami, giurò che solo a Roma si proclamerebbe il regno italico, e che coloro i quali promoveano a Napoli l’annessione immediata col Piemonte erano traditori, che così operavano per impedire lui, invitto campione d’Italia, dal passare il Volturno. Dopo di che prontamente si ridusse di bel nuovo in terraferma.

 

Gianni Ciunfrini

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