I luoghi della memoria – FINE
Si conclude con questa decima puntata l’incursione negli anni compresi tra l’inizio e la fine del 1950. Se negli argomenti trattati si può ravvisare una mancanza di nesso con le tematiche più proprie del blog diciamo subito che l’impressione è più apparente che reale, poiché, come detto in premessa, è proprio l’epoca dei giochi la fase della vita che rappresenta forse più di tutti il momento felice della nostra esistenza, quello più legato al passato e, quindi, alle dimenticate e perdute origini, come autorevolmente tramandato dal Leopardi:<<Gli anni della fanciullezza sono, nella memoria di ciascheduno, quasi i tempi favolosi della sua vita; come, nella memoria delle nazioni,i tempi favolosi sono quelli della fanciullezza delle medesime>>. Quale momento migliore della fanciullezza, quindi, per parlare di radici e identità da richiamare alla memoria?
2a NOTA : Purtroppo l’errata corrige riportata all’inizio del nono capitolo de “I luoghi della memoria” non ha centrato l’obiettivo, in quanto il sistema accettava il termine “mazzarella” in sede di battitura e poi in sede di trascrizione lo trasformava automaticamente in “mozzarella”. Ho forzato la logica del PC e sono riuscito ad ottenere il risultato sperato. Una volta per tutte, ripeto, il termine in vernacolo riportato sotto il gioco dello “Stecco nella sabbia” è mazzarella e non mozzarella.
UNO SPACCATO DEGLI ANNI CINQUANTA (FINE)
Da quanto fin qui detto emerge chiaramente che per qualunque cosa, seria o no che fosse, era richiesta una partecipazione personale diretta. Ciò valeva tanto per il gioco quanto per tutte le altre circostanze e situazioni della vita. Si doveva cominciare a provvedere per il desinare? Bisognava accendere il fuoco con i carboni, poiché i fornelli e poi le cucine a gas sarebbero arrivati alquanti anni dopo. Se si voleva che l’acqua della pentola raggiungesse più presto il punto di ebollizione, non c’era alcuna manopola per “alzare la fiamma”. Si doveva dar sotto col ventaglio! Ed allora era tutto uno sprizzare di schioccanti scintille per ogni dove!
Si desiderava un caffè? Allora altro fuoco nelle fornaci per collocarvi sopra un arnese per tostare il caffè ( di cui esistevano due varianti), arnese che, in dialetto veniva indicato col nome di brustuliaturo . Ovviamente, l’operazione della tostatura non veniva eseguita al momento di dover preparare il caffè, altrimenti si sarebbe dovuta rimandare l’operazione di molte ore. Una delle due versioni di tostacaffè era costituita da un cilindro attraversato longitudinalmente da uno spiedo munito, ad una delle estremità, di un manico di legno, per consentire all’operatore di non scottarsi le mani mentre faceva girare il cilindro tra le due fessure del supporto in cui si infilava lo spiedo. Il cilindro, a sua volta, era munito, sulla superficie laterale, di un portellino a molla per l’introduzione del caffè o suoi succedanei come l’ orzo, il grano o altri cereali, e per il loro recupero a tostatura avvenuta. Il coperchio, però, aveva anche la funzione di liberare, con la sua apertura di tanto in tanto, la camera di combustione da tutti i fumi che si erano nel frattempo prodotti. Per arrivare alla tazzina di caffè bisognava pazientare ancora un po’, perché il caffè (o suoi surrogati) tostato doveva preventivamente raffreddarsi su fogli di carta, quindi essere sminuzzato in un macinino a mano e poi collocato nella classica caffettiera “napoletana”, che, funzionando per semplice caduta, lasciava filtrare con estenuante lentezza le preziose gocce di infuso. Anche la Moka Express, divenuta altrettanto famosa come la sua progenitrice era ancora da venire!
All’improvviso, però, così come era sembrato a noi, sia il modo di giocare, sia quello di stare insieme dei più giovani, sia il tipo di vita in generale ebbero fine come per incanto.
Pochissimo tempo dopo la fine della guerra, ci furono i primi, timidi contatti con nuove materie, nuovi prodotti, nuove tecnologie. Alcune case cominciavano ad avere sui vecchi focolari non ancora demoliti i primi fornelli a gas a tre fuochi (PIBIGAS), alimentati con bombole di gas propano liquido (LIQUIGAS) di colore nero frammisto a spruzzi di bianco, che conferivano ai contenitori un effetto marmorizzato. Le prime meraviglie quando, ad un semplice “tric – tric” di un primitivo accenditore a pietra focaia avvicinato ad uno dei fuochi, veniva fuori un’energica fiamma rosso-blu che in pochi minuti portava ad ebollizione pentoloni d’acqua che solo pochi giorni prima avevano richiesto un impegno personale ed impiegato un tempo enorme! E meraviglia ancor più grande quando, ad un semplice movimento impresso alla manopola, si poteva variare a piacimento l’erogazione del gas e, di conseguenza, la potenza della fiamma!
Magia!
Nella magia, però, a parte alcune tragedie verificatesi per la scarsa dimestichezza col nuovo prodotto, si annidavano anche spiacevoli sorprese per le comari. Esse, infatti, non ancora abituate alla riduzione dei tempi sempre più incalzante e sempre più caratteristica dell’epoca frenetica che si era subdolamente affacciata al balcone che guardava ormai verso gli anni Sessanta, continuavano a misurare il tempo ancora alla vecchia maniera. E così, ignorando che, almeno agli inizi, il progresso ordiva contro di loro, quando ritornavano alle cucine, al termine delle loro ciarle, trovavano quasi sempre il contenuto delle pentole bruciato a tal punto da dover buttare contenuto e recipiente. Per giustificarsi con i mariti, poi, non trovavano di meglio che scaricare tutte le colpe sui nuovi diabolici marchingegni che non consentivano loro di ben regolarsi nelle faccende domestiche come un tempo.
Probabilmente fu questo uno dei motivi che ritardò la completa abolizione dei focolari, rallentando conseguentemente una più rapida affermazione dei “Pibigas”, come per lunghi anni vennero definiti i fornelli a gas, anche se prodotti e commercializzati da altre case.
Cominciarono a fare le loro prime apparizioni enormi cassettoni, che altro non erano, poi, che apparecchi radio o televisori a valvole.
I davanzali delle finestre non erano più ingombri di cibi avanzati, perché essi cominciavano a trovare migliore sistemazione in bianchissimi frigoriferi, che sempre più spesso facevano bella mostra di sé nelle cucine e perfino nelle stanze da pranzo.
Cominciavano a scomparire gli sforacchiati ed incrostati bracieri, sostituiti dai più puliti ma meno romantici radiatori, termosifoni elettrici e stufe a gas. Con essi, poi, scomparve per sempre, e non mai recuperata né sostituita da alcun ritrovato del moderno progresso, quella magica atmosfera di fiaba che veniva a crearsi spontaneamente ogni sera attorno al braciere. Scomparve quel dialogo fra tutti i membri della famiglia. Morì la creatività della fantasia e dell’ immaginazione tenute in continuo allenamento dai racconti e dalle favole che attorno a quel fuoco erano venute svolgendosi e materializzandosi. Aveva provveduto ad ucciderle, una volta per sempre, l’ invadente intrusione dell’ impersonale e spersonalizzante televisore. Anche il paesaggio e la vita dei ragazzi accusarono le loro perdite, in seguito all’avvento della nuova civiltà.
Agli inizi degli Anni Cinquanta la vocazione turistica e termale della zona, con imperdonabile miopia, fu sacrificata per far posto ad una nuova fabbrica, e molti edifici caddero sotto i colpi implacabili delle ruspe e dei bulldozers mentre l’assordante ed instancabile rumore dei battipali apriva vistose crepe nei muri degli edifici che non dovevano essere abbattuti e produceva seri disturbi all’udito degli abitanti.
La polvere prodotta negli anni successivi da tale opificio cominciò ad obliterare gradualmente i vivaci colori delle cabine degli stabilimenti balneari e a spargere sulla sabbia un sottile strato, come di borotalco, che si attaccava ai piedi (esperienza mai vissuta prima di quel momento) così tenacemente che, per portarla via, non erano sufficienti semplici abluzioni, ma si rendevano necessari lunghi strofinii. Aumentò notevolmente anche il traffico marittimo, con enormi navi da carico provenienti da tutti i paesi del mondo, che cominciarono ad affollare, come un centrale parcheggio urbano, l’allora ameno e pulitissimo golfo. Ciò portò ad un sempre maggiore inquinamento dell’ acqua, sulla cui superficie si vedevano galleggiare policrome macchie di nafta e oli minerali. Il perdurare negli anni di questi fattori fuori da ogni controllo delle autorità, portò ad un progressivo deterioramento dell’ambiente. Sulla superficie del mare si accumulò uno spesso e vischioso strato di residui catramosi che, come un aderente manto funebre per le acque sottostanti, ne seguiva fedelmente ogni movimento, fino a raggiungere la riva dove cominciarono ad ammassarsi lunghe e appiccicose rughe di neri rifiuti. L’angolo di paradiso cominciò ad essere progressivamente disertato da bagnanti e villeggianti, per l’insalubrità del mare, che era venuta ad aggiungersi a quella dell’aria ormai satura di polveri silicee in sospensione. L’acqua del mare, che pochi anni prima era stata prescritta come terapia, era diventata un nemico di cui diffidare! Ciò portò alla conseguente chiusura e scomparsa di tutti gli stabilimenti balneari, che, da quella spiaggia e da quel mare avevano tratto negli anni tutti i vantaggi. E così, un paese nato con spiccata vocazione turistica e termale fu ridotto ad una landa deserta ed inospitale, da politiche poco attente e da politici indegni di tal nome.
Anche noi ragazzi pagammo il nostro contributo. Entrammo, infatti, in una crisi di identità che fece riconsiderare noi stessi e le nostre abitudini di appena qualche anno prima come persone e culture completamente estranee. Le stagioni, ormai, non erano scandite più ognuna dai suoi giochi caratteristici, ma cominciarono a divenire sempre più confuse ed indistinte. Il giorno, ogni giorno, aveva il suo appuntamento all’ora stabilita con “GIRAMONDO”, ”RIN TIN TIN”, o la “TV DEI RAGAZZI”, che sicuramente avranno avuto la loro importanza, ma che ci fecero diventare poco alla volta sempre più pigri e stanziali. Per i grandi venne la prima scoperta del TELEGIORNALE, e poi, via via, altri appuntamenti sempre più incalzanti, sempre più accattivanti, sempre più coinvolgenti. E così, agli inizi e con non poca riluttanza, avvenne che i grandi, sempre più spesso, smettevano di parlare quando erano in onda programmi per i ragazzi, e questi ultimi venivano autoritariamente zittiti durante il TELEGIORNALE o altri programmi di interesse per gli adulti. La TV, come un gigantesco cancellino, aveva cassato dal grande piano di ardesia della nostra vita tutti i nostri impegni, tutte le nostre scadenze, modificando le nostre abitudini e appropriandosi, poco alla volta, delle nostre vite.
Ormai un’epoca era finita …
Erano le ore 17, 00 del 3 gennaio 1954 !
Castrese L. Schiano
TAVOLE FUORI TESTO
Tostacaffè prima e seconda versione