I Prigionieri Borbonici le Bugie di Stato diventano falsità storiografiche?
Dopo l’estenuante e disumano assedio, perpetrato dalle truppe d’invasione piemontese, la fortezza Borbonica di Gaeta fu costretta alla capitolazione il 13 febbraio 1861. Le truppe Borboniche superstiti ne uscirono pesantemente provate, non solo dai continui bombardamenti, ma anche per gli stenti e per le patologie infettive. Le pessime condizioni igienico sanitarie a cui i difensori erano costretti loro malgrado, causarono la diffusione di una virulenta epidemia di tifo.
Le conoscenze sanitarie dell’epoca permisero l’immediato riconoscimento del morbo che affliggeva parte dei sopravvissuti, ovvero una gravissima forma di febbre tifoidea. In questi casi la profilassi sanitaria prevedeva il ricovero immediato dei pazienti in loco e il completo isolamento, onde evitare il contagio. Ma cosa fecero di questi “prigionieri di guerra” i militari e il corpo sanitario piemontese? Si limitarono ad ammassare le truppe di Gaeta tutte insieme, unendo i sani agli infermi, permettendo ancor più il diffondersi della pestilenza. Non paghi di aver commesso tale nefandezza, pensarono bene di mandare i soldati infetti nella più grande e popolata città del Regno delle Due Sicilie, la capitale Napoli. I medici napoletani si accorsero subito della gravità della situazione e del pericolo di diffusione del contagio, restando però inascoltati. Il Dottor Bima, ufficiale medico del 5° corpo d’armata piemontese, nascose volutamente le reali condizioni sanitarie dei reduci di Gaeta, affermando si trattasse di una forma non contagiosa di tifo o di cachessia. Tale comportamento impedì di fatto l’applicazione della profilassi adeguata e quindi l’isolamento dei malati, permettendo la diffusione dell’epidemia nella città. A denunciare tutto questo con un articolo scientifico, fu il Professor Strambio il 20 Maggio 1861. Ma mentre si mentiva ufficialmente ai napoletani, altrettanto ufficialmente si informava il Consiglio Superiore di Sanità che a Napoli si stava diffondendo il tifo portato da Gaeta. Nella capitale Borbonica solo tra i soldati di Gaeta ne morirono di tifo 134, in realtà 131 di tifo e 3 suicidi. Ma si sa, la farraginosa e “ufficiale” burocrazia piemontese non andava tanto per il sottile con i “colonizzati”. Tale epidemia causò anche numerose morti tra la popolazione civile, tra cui quella del Professor Pietro Perrone, luminare di medicina. Le autorità piemontesi, non paghe delle sventure causate, decisero di trasferire nuovamente i soldati malati, incuranti delle condizioni di salute degli infermi e dell’ulteriore pericolo di contagio. I reduci di Gaeta giunsero così a L’Aquila e a Bologna, dove morirono altri 71 soldati. Infine trasferiti a Genova, continuarono a morire, non prima di aver contagiato i degenti del 4° corpo d’armata piemontese, la guarnigione di presidio e il personale medico del corpo sanitario. La verità storica è questa ed è chiaro ed incontrovertibile che si trattò di mera conquista coloniale. Come è chiaro, caro Professor Barbero, che la “doppia ufficialità” dei documenti militari piemontesi, non li renda fonti primarie completamente attendibili per una seria ricerca storica.
Fonti:
Gazzetta Medica Italiana Lombarda N. 17 29 Aprile 1861
Gazzetta Medica Italiana Lombarda N.20 20 Maggio 1861
tratto da http://rifondazioneborbonica.blogspot.it/