I REGISTRI OCCULTI DEL BRIGANTAGGIO
Non sono mai mancati i funzionari, che per la migliore gestione dell’amministrazione statale, hanno chiesto istruzioni alle autorità superiori, sollevando problemi. Uno di questi, drammatico ed urgente, riguarda la procedura cui sottoporre il brigante, nemico della patria italiana.
A chi deve essere rimesso, al potere giudiziario o a quello militare? Il sottoprefetto di Cerreto, conte Fabrizio Ruffo, ritiene più giusto far istruire i processi dalla magistratura ordinaria e non da quella militare, affinché l’imputato sia meglio garantito dalla difesa e la partecipazione effettiva ai fatti di brigantaggio risulti da prove testimoniali, non da relata di persone che vogliono conservare l’anonimato. Con sua somma meraviglia, si vede restituire il plico, che precedentemente aveva inviato al prefetto Gallarini di Benevento (1), contenente l’elenco nominativo di tutti i briganti arrestati ed in attesa di giudizio, con una lettera a firma dell’avv. Michele Ungaro, presidente dei Consiglio Provinciale (2):
Consiglio Provinciale di Benevento
Mio caro Fabrizio, Per mio mezzo questo signor Prefetto ti restituisce originalmente l’ingiunto incartamento, e ti fa sapere che in affari così delicati non si scrive di ufficio, ma si usa prudenza ed accorgimento, cioè regolandoti di consegnare i briganti arrestati a quel potere che prima li cerca. Benvero, dice il Prefetto, quando è arrestato un brigante, devi tu con mezzi privati procurare che il potere militare te lo chiegga e subito, prima che la richiesta ti venga dal potere giudiziario. Così si ottiene lo scopo della fucilazione, e nessuno à che dire. Questo incartamento qui è inutile. Il Prefetto in ufficio nulla può rispondere, e però te lo restituisce, affinché si laceri e non ne rimanga antecedente alcuno. A quanto pare, tu non ài scritta alcuna tua lettera privata di cerimonia al Prefetto. Fallo subito; egli la gradirà molto. Prendi occasione dell’averti io scritta la presente, e digli delle cose amabili. Ti abbraccio, raccomandandoti a scrivere ufficialmente proposta pei custode Massarelli come secondino – sarà subito approvato e farai atto di giustizia” (3). A. 20 dicembre 1861
Aff.mo tuo Michele Ungaro
Sulla lettera dell’avv. Ungaro, il sottoprefetto di Cerreto, scrive le seguenti parole a mo’ di commento: “Risum teneatis amici! (o amici trattenetevi il riso!). Si rendono gli incartamenti per non sapersi, come rispondere!!!” Il destino dei briganti, veri o supposti, è già irrimediabilmente segnato. A quale tribunale vengono deferiti i ricchi feudatari, sostenitori della dinastia borbonica, coloro che hanno finanziato o manovrato le bande brigantesche? A nessuno, finché è possibile affossare le indagini. Fra tutti i capicomitiva, Antonio Secola di Baselice, gregario del colonnello Michele Caruso, ebbe la spavalda audacia di denunciare il barone don Rosario Petruccelli, fautore del brigantaggio. Fu uno scandalo. Il potente barone del Regno chiamò come testimoni a discarico personaggi già incontrati nella nostra storia. Essi non andarono al processo, adducendo vari motivi. Il sottoprefetto Federico Pasculli di S. Bartolomeo in Galdo era ammalato, donna Benedetta Ricci non poteva abbandonare la casa, il prefetto Gallarini era stato trasferito a Torino, il sindaco di Benevento barone Celestino Bosco Lucarelli, quasi cieco, era impossibilitato a lasciare la sua abitazione (4). Il colonnello Giuseppe De Marco scrisse al presidente del Tribunale che don Rosario aveva finanziato squadriglie antibrigantaggio e posto sulla testa del Secola una taglia di 200 ducati. Il generale Pallavicini, per ragioni di servizio, non potè allontanarsi dal Comando della zona militare di Melfi e presentarsi il 16 agosto 1864 dinanzi al tribunale militare di guerra in Caserta, da cui aveva ricevuto avviso di convocazione (5). Pertanto a norma dell’art. 529 del codice penale militare, si portarono da lui in pari data, Gaetano Guarini giudice del mandamento di Melfi per delegazione, Francesco De Vecchi cancelliere, con l’ufficiale più anziano dopo il comandante del Corpo, maggiore Francesco De Vecchi del 35° battaglione bersaglieri. “…Restato alla nostra presenza soltanto il Sig. Generale, ed interrogato sulle sue generalità, dice chiamarsi: Pallavicini marchese Giorgio Emilio fu Valentino, di anni 39, Generale comandante le truppe nel Melfese, celibe, impossidente, indifferente. Dimandato analogamente, ed avvertito preliminarmente delle pene disposte contro i falsi testimoni, stando egli in piedi e tenendo la mano destra sovra i Santi Evangeli, ha giurato dichiarare con sincerità quanto sa sul fatto, e di dire tutta la verità. Interrogato sulle posizioni risponde: “In quanto al patriottismo del barone Sig. Rosario Petruccelli di Baselice, nulla potrei dire di positivo: il convincimento però che me ne sono fatto si è quello di essere egli un uomo onesto, ed incapace di avere corrispondenza con i briganti. Deriva questo mio giudizio dallo zelo mostrato da lui nel fornirmi spesso notizie positive contro le diverse bande di briganti che infestavano il Beneventano, tanto nella mia dimora in Baselice, quanto ne ero assente. Oltre a ciò, il sig. Petruccelli, mentre negli altri paesi era difficoltoso avere corrieri e delle guide per agevolare le operazioni della truppa da me comandata, me ne forniva in numero quasi prodigioso, e sempre colla più grande esattezza e precisione. In onor del vero debbo dirvi ancora della sua grande cooperazione perchè la truppa fosse ben alloggiata in Baselice, che sebbene un piccolo paese, pure merce sua volse a dare ricetto a ben quattro squadroni di cavalleria, ed a più compagnie di truppa di linea. Dico pure a lode del sig. Petruccelli, che in una delle mie perlustrazioni, in età quasi settuagenaria, mi fece da guida. Ricordo molto bene che il Petruccelli mi parlò molte volte di biglietti di ricatto pervenutigli dai briganti: ricordo che una volta me ne mostrò uno; ma non rammento se una volta a pranzo me ne abbia mostrato tre. Infine a discolpa della mia coscienza non debbo tacere che il sig. Petruccelli sia stato uno dei pochi sindaci del Beneventano che più si sia cooperato per la repressione del brigantaggio, per effetto di che nei miei rapporti al 6°Gran Comando ho fatto menzione di lui affinchè fosse conosciuto dal Governo. Letta al testimone la presente dichiarazione, a voce chiara ed intellegibile, vi persiste e la sottoscrive” (6). Il processo si concluse con l’arringa di due principi del foro napoletano. L’avvocato Giacomo Tofano parlò di accuse ingiuste; riferite al Petruccelli, esse equivalevano a dire che Desaix, vincitore di Marengo, era traditore di Napoleone I (7). Il barone don Rosario Petruccelli, paragonato a Desaix (8)! L’avvocato Enrico Pessina, dinanzi alle prove schiaccianti che accusavano il Petruccelli di avere trasformato la sua casa di campagna a Baselice in “una osteria di briganti”, non negò gli addebiti. Il suo patrocinato aveva disapplicato una ordinanza prefettizia che faceva obbligo di non somministrare viveri e ricovero ai briganti, non aveva violato una norma legislativa. Pertanto era passibile solo di contravvenzione, non costituendo il fatto un illecito penale (9). Il tribunale, accogliendo la tesi della difesa, assolse il barone don Rosario Petruccelli, sia pure per insufficienza di prove il 31 agosto 1864 (10). Da quel giorno, tutte le denunce contro i proprietari terrieri, manutengoli del brigantaggio, furono archiviate, perchè non davano luogo a procedere. Si continuò invece a processare senza sosta come per il passato quanti appartenevano al “popolo basso”, cioè pastori – braccianti – carbonai, cui furono comminate le sanzioni previste dalle leggi penali allora in vigore: 20, 15, 10 anni di reclusione; 7, 3 anni di carcere (11) nei casi di maggiore benevolenza. Se giustizia vi fu, fu una giustizia di classe, una giustizia di Stato.
NOTE
(1) L’avv. Giovanni Gallarini fu prefetto di Benevento dal 16 luglio 1861 al 2 marzo 1862. Cfr. Mario Missori – Governo, Alte Cariche dello Stato e Prefetti del Regno d’Italia, Roma, Istituto Grafico Tiberino, 1973, a cura del Ministero dell’Interno, Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Fonti e Sussidi, vol. III, pag. 301.
(2) L’avv. Michele Ungaro di Cerreto Sannita fu presidente del Consiglio Provinciale di Benevento dal 2 luglio 1861 al 21 ottobre 1863 e successivamente dal 15 settembre 1865 al 7 novembre 1866; dal 4 settembre 1871 al 10 settembre 1872.
(3) La lettera dell’avv. Michele Ungaro, indirizzata al conte Fabrizio Ruffo sottoprefetto di Cerreto in data 20 dicembre 1861, si conserva in Brigantaggio Cerreto 1861, presso il Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento.
(4) Il barone Celestino Bosco Lucarelli fu sindaco di Benevento, ininterrottamente dal 22 agosto 1861 al 2 marzo 1869.
(5) L’avvocato fiscale con avviso dell’11 agosto 1864, Protocollo n. 1746, aveva convocato il generale Pallavicini a deporre sul conto del barone don Rosario Petruccelli dinanzi al tribunale militare di guerra in Caserta.
(6) La deposizione del generale Pallavicini è acclusa alle pp. 301 e 302 del voluminoso processo n. 258, cartella n. 31 presso l’Archivio Centrale dello Stato Roma, tribunale militare di guerra in Caserta contro: Petruccelli Rosario fu barone Domenico di anni 69, sindaco di Baselice, connivente del brigantaggio, denunciato il 5 giugno 1864.
(7) Durante la II campagna d’Italia, il generale austriaco Melas stava sul punto di sconfiggere Napoleone I a Marengo nei pressi di Alessandria il 14 giugno 1800, allorchè sopravvenne con truppe di rinforzo il trentaduenne generale Louis Desaix, che riuscì a ribaltare le sorti della battaglia. Egli pagò il suo generoso atto di devozione a Napoleone ed alla patria francese, perdendo la vita sul campo. Napoleone cercherà invano a Lipsia il 13 ottobre 1813 e a Waterloo il 18 giugno 1815, un altro Desaix.
(8) Il paragone si desume dall’arringa pronunciata dall’avv. Giacomo Tofano ed ampiamente riportata in Anonimo (probabilmente avv. Tofano); Posizioni a discarico del barone don Rosario Petruccelli. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. 5. L. IX 123.
(9) Un riassunto dell’arringa dell’avv. Enrico Pessina, fatto dallo stesso, è in Anonimo: Posizioni a discarico del barone don Rosario Petruccelli. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. S. L. IX 123.
(10) L’avvocato fiscale militare Lazzarini, rispondendo ad una lettera del prefetto Homodei di Benevento, a lui indirizzata presso il tribunale di Caserta, commenta la sentenza emessa a favore dell’imputato Petruccelli. C’è disarmonia tra la motivazione e il dispositivo. “Nella preliminare processura, in generale i testimoni chiamati o non volevano deporre, o nel deporre facevano sorgere nell’esaminatore una quasi convinzione che spesso occultavano il vero per favorire il Petruccelli, a ciò si aggiungono le ritrattazioni del testimone Di Giacomo, il numero strabocchevole dei testimoni a discarico che volenterosi, più che venire corsero all’udienza, e molti di essi appena si presentavano innanzi al Tribunale, e senza essere interrogati in proposito, come risulta anche dal verbale d’udienza, non raccontavano i fatti anzi recitavano le lodi del giudicabile. Io credo di non andare errato nel supporre che se non vi fu una subordinazione vi sia stata almeno una promessa fra il Petruccelli e vari dei testimoni”. L’avvocato fiscale lamenta che “il Municipio di S. Bartolomeo in Galdo, paese dove le autorità furono molto compromesse per l’eccidio del 9 settembre 1863, aveva omessa una deliberazione colla quale s’interessava il Governo del Re ad estirpare i manutengoli dei briganti che stavano in Baselice, deliberazione che la pubblica voce diceva fatta, più per altri per Petruccelli che non aveva avuto il coraggio di nominare: di tale deliberazione ne domandai copia a quel sindaco; la risposta fu che da quel Municipio mai fu pronunciata simile deliberazione, e solo dalla Prefettura di Benevento ne ottenni copia; si fecero qui circolare voci che dicevano destituito il prefetto di Benevento, Signor Cavaliere Homodei, io traslocato da Caserta, e facevano presagire elargizioni e munificenze ai poveri di Caserta, se il barone Rosario Petruccelli fosse per essere assolto dalla Corte Militare”. La lettera è in cartella n. 31, processo n. 258 cit.
(11) Tra i tantissimi casi sono stati scelti i seguenti, a convalida del torto che avevano quanti non potevano permettersi la difesa di un avvocato Pessina. Grande Alessandro (padre) di anni 53, bracciante; Grande Pasqualino (figlio) di anni 14, erano già stati condannati il 17 ottobre ’63, rispettivamente a 10 e 3 anni di reclusione. Entrambi erano stati sorpresi mentre da Piedimonte d’Alife, loro paese natale, stavano dirigendosi a Cusano, ove i briganti li aspettavano. “Portavano due rotoli di maccheroni cotti e bene accomodati, un rotolo di pane, quattro caraffe di vino, quattro sigari e quattro forchette. Avevano fatto ogni cosa per mezza piastra’. Cfr. Processo n. 78, cartella n. 28 – Archivio Centrale dello Stato Roma. Biondi Nicola, carbonaio di anni 19 da Campochiaro, per avere portato al capobrigante Libero Albanese, associato a Cosimo Giordano, “due bottiglie di rosolio”, ricavandone un guadagno di 5 carlini, sarà condannato a 10 anni di lavori forzati l’11 febbraio 1865. Cfr. Processo n. 415, cartella n. 33. Archivio Centrale dello Stato Roma. Tribunale Militare di guerra in Caserta.
Luisa Sangiuolo
da: “Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880” De Martino, Benevento, 1975
fonte
http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Registri%20occulti.htm