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I Seggi di Napoli

Posted by on Dic 1, 2018

I Seggi di Napoli

Cosa erano i Seggi? Erano anzitutto edifici cittadini, composti da un atrio ed un vano chiuso per le riunioni, ed erano poi “piazze” cioè luoghi di inquadramento socio-topografico delle famiglie aristocratiche. Erano edifici, erano “piazze” ed infine erano unità amministrative: ogni seggio è partecipe dell’amministrazione della città.

I seggi della nobiltà nel periodo angioino erano quattro, quelli di Capuana, Forcella, Montagna e Nilo. Successivamente aumentarono fino a raggiungere il numero ragguardevole di ventinove. Fu Roberto d’Angiò a ridurli a cinque, abilitandoli ufficialmente a trattare gli affari amministrativi della città, unitamente al Seggio del Popolo. I seggi divennero dunque sei: quelli del Popolo, quelli di Capuana, Nido, Porta e Portanova e quello di Montagna, al quale fu aggregato l’antichissimo seggio di Forcella.

I seggi nobili erano ciascuno rappresentato e governato da sei cavalieri, il seggio del Popolo era invece governato da un eletto e da dieci consultori. Alcuni seggi avevano prerogative speciali: quello di Capuana aveva il diritto di ricevere i nuovi Arcivescovi, quello di Porto nominava il guardiano del porto, quello del Popolo sovraintendeva alle corporazioni, dirimeva le liti tra i venditori di Piazza Mercato, custodiva le chiavi delle mura della Marina… I cinque seggi nobili avevano il diritto di nominare a turno il Sindaco di Napoli che però all’epoca aveva solo funzioni di rappresentanza. Questi cinque seggi, riuniti con quello del Popolo, nominavano ciascuno il proprio Eletto che assieme agli altri andava a comporre il Tribunale di San Lorenzo al quale spettava il vero potere esecutivo della città.

Ogni seggio aveva un proprio stemma: Capuana un cavallo frenato in campo azzurro; Forcella uno scudo rosso e oro con una pergola o forca scorciata ad ipsilon; Montagna tre monti verdi in campo d’argento. Nido un cavallo sfrenato in campo d’oro; Porto un villoso Orione con un pugnale rivolto in basso nella mano destra; Portanova una porta d’oro in campo azzurro; Il seggio del Popolo una “P” maiuscola in campo partito di oro e rosso. Le rappresentazioni degli stemmi dei seggi sono visibili sulla facciata del campanile della chiesa di San Lorenzo in via Tribunali ed in uno dei saloni che introducono nella sala della Giunta Municipale in Palazzo San Giacomo.

Napoli, Piazza San Gaetano, gli stemmi dei Seggi di Napoli a San Lorenzo Maggiore. Foto di Angelo D’Ambra

In differenti periodi storici questo equilibrio di rappresentanza trovò delle sostanziali modifiche: per lungo tempo Montagna e Forcella ebbero due Eletti ma un sol voto, Nido fu costituito spesso da soli cinque cavalieri, mentre il Seggio del Popolo non sempre ebbe il suo Eletto, anzi nel corso Quattrocento fu anche soppresso e ripristinato solo nel 1495. I seggi di Capuana e Nido erano indubbiamente i più potenti perché raccoglievano nobili che per titoli, feudi e ricchezze erano irraggiungibili. Il seggio del Popolo era chiaramente il più povero: era ubicato quasi certamente nella strada della Sellaria, probabilmente nell’odierna Piazza Nicola Amore. I suoi Eletti erano spesso protagonisti di morti violente. E’ per esempio il caso di Starace e Micone. Il primo venne linciato perché sospettato ingiustamente di aver proposto una diminuzione del peso del pane durante una carestia in combutta col vicerè Duca di Ossuna; il secondo, messosi a capo di una manifestazione contro una tassa sulla carne da macello, entrò a Castelnuovo per discutere col vicerè Pedro de Toledo per poi uscirne solo da una finestra col collo appeso ad una corda.

La più importante trasformazione si ebbe nel Cinquecento. Se nel periodo normanno-svevo il rapporto tra aristocrazia e corona era legato agli aspetti fondiario e militare, nel periodo angioino l’aristocrazia esplicava il suo servizio alla corona nelle funzioni militare ed amministrativa, ma con gli Spagnoli si assistette all’inurbamento della nobiltà e l’appartenenza ai seggi nobili di Napoli divenne il requisito esclusivo di accesso al governo cittadino. Non solo. Dicevamo del Tribunale di San Lorenzo, il vero potere esecutivo nell’amministrazione della città. Esso traeva il suo nome dal convento in cui si celebravano le sue riunioni, quello di San Lorenzo Maggiore. In tali incontri chiaramente la presenza e le istanze della nobiltà erano schiaccianti, ma nel periodo spagnolo si introdusse un prezioso elemento di equità: se l’eletto del Popolo era contrario poteva far ricorso al Vicerè. In questo stesso periodo accanto agli Eletti, per i provvedimenti di carattere annonario, fu posto il Grassiero o Prefetto dell’Annona che, con il tempo divenne il presidente del Tribunale, in cui rappresentò di fatti il Vicerè.

La nascita dei seggi è completamente avvolta nel mistero. Solitamente si fanno risalire al tempo angioino ma troviamo più remote origini nelle Fratrie del periodo ellenico. Si trattava di una sorta di associazioni religiose ed assieme politiche alle quali erano iscritte le famiglie di cittadini secondo criteri ancora ignoti, forse per censo o forse per zona. Le famiglie erano unite da una comune discendenza e dalla protezione dello stesso nume. L’istituzione dei seggi pare essere collegata proprio a queste associazioni che oltretutto solevano riunirsi in luoghi riservati della città. A tal riguardo è molto interessante la lettera di Francesco Mazzarella Farao intitolata “Sulle XII fratrie attico-napolitane”, edita a Napoli nel 1820.

Stemma del seggio di Porto a via Mezzocannone e Stemma del Seggio di Forcella conservato al Museo Diocesano di Napoli. Fonte foto: dalla rete.

Non sappiamo quante ne fossero e ce ne è rimasto il nome certo di sole dieci: Aristei (abitanti nella zona dell’attuale Piazza degli Orefici); Artemisii (residenti dove adesso è la Chiesa di Maria Maggiore o della Pietrasanta); Cumei (abitanti dove adesso abbiamo Santa Chiara, il Gesù Nuovo e via Domenico Capitelli); Ermei (situati forse intorno all’attuale Chiesa di San Giovanni a mare); Eubei (abitanti nel tratto che oggi va dalla Chiesa dei santi Filippo e Giacomo a via San Biagio dei librai); Eumelidi (abitanti dove adesso è il Duomo); Eunostidi (fratria composta dagli amanti della castità e la cui dimora, con il nome di Vergini, ancor oggi ne conserva la memoria); Kretondi (residenti nella zona che dall’attuale Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo va verso il mare); Pancleidi (abitanti nella zona che sta tra San Pietro in Vinculis e San Giuseppe); Theotadi (di cui null’altro conosciamo se non la sua derivazione da un nome gentilizio).

Scrive Ruggiero Di Castiglione in Alle Sorgenti della Massoneria (Atanor, 1988, pagg. 24-6): “L’appartenenza a queste società di tipo chiuso rappresentava un segno di pura discendenza ellenica, una garanzia di nascita legittima e, pertanto, un sicuro status di cittadino. Nelle fratrie regnavano vincoli di «sangue», di «fratellanza» e di «solidarietà», riservati naturalmente a precisi gruppi etnici e religiosi. Eredi delle consuetudini elleniche, ogni comunità aveva un proprio statuto, un’autonoma amministrazione e una particolare capacità giuridica. La sede (oichos) – vero «cuore» della fratria – era suddivisa in ampi locali: il Tempio (Naós), le sale per le agapi (estiathérion), per le riunioni (agorèuthèrion) e per le assemblee generali (agarreis). Negli ospitali ambienti, i frateri – in giorni fissi – si radunavano, banchettavano, offrivano sacrifici alle divinità protettrici e partecipavano ai riti di nascita, iniziazione, matrimonio e morte. Si svolgevano solenni feste con rappresentazioni teatrali, mimiche, musicali e danzanti. Non mancavano, inoltre, gare di lotta e manifestazioni ginniche. All’età di sedici anni, i ragazzi – nel corso di una vera e propria «iniziazione di pubertà» – venivano ufficialmente presentati alla fratria e, in quell’occasione, aveva luogo l’offerta dei capelli (koureion) e il cosiddetto «giudizio finale» (diadikasia). Testimonianze di munifiche donazioni sono ricordate in numerose epigrafi: statue e lapidi votive, altari, candelabri, lucerne, contenitori di unguenti, ecc. L’organizzazione prevedeva un fratriarco (di nomina annuale) al vertice della scala gerarchica, un chalcologo con funzioni di tesoriere, un frontista (probabile rappresentante dello Stato all’interno della comunità), più diaceli con mansioni di amministratori e, infine, i frateri, singoli associati. Ogni fratria aveva, oltre i culti generali, i propri culti riservati al nume tutelare, particolarmente venerato, al cui ufficio era preposto un apposito sacerdote… Strabone afferma che, in età romana, le fratrie erano ancora operanti: almeno fino al III sec. d.C. secondo alcune iscrizioni”.

Il rapporto con l’esoterismo sembra essere forte. Molto si è scritto a tal riguardo sul Seggio di Porto. Gli studiosi, solleticati dall’emblema dell’uomo velloso che appare in un angolo di Via Mezzocannone con un pugnale in mano, vi hanno visto Orione e l’origine di un culto dei naviganti alessandrini stanziatisi in quell’area di Napoli. Mentre nella “Y” che rappresentava il seggio di Forcella si è voluto vedere un misterioso simbolo dei Pitagorici.

La vita dei seggi rimase inalterata fino all’avvento della Repubblica del 1799 che sciolse i seggi sostituendoli con un comitato imposto da Championnet poi a sua volta sostituito da una suddivisione amministrativa della città in Cantoni, proposta da Mario Pagano. La restaurazione, anzicchè “restaurare” i seggi, spazzò via tutto imponendo le forme d’una monarchia assoluta senza più corpi intermedi tradizionali. L’editto del 25 aprile del 1800 cancellò i seggi, forse attuando la vendetta reale nei confronti di quegli esponenti, in primis il principe di Canosa, che, fuggito il re all’approssimarsi delle truppe francesi, rivendicavano ai Seggi di Napoli la rappresentanza del Paese per antico privilegio. In questo atto molti interpreti della storia

napoletana hanno visto lo spirito illuminista della corte di Ferdinando IV ed il suo allontanamento dal più puro tradizionalismo napoletano. A tal proposito scrive il De Lutio: “La vittoria completa della monarchia sulla nobiltà… vittoria deprecata se non anche effimera perché, con l’avvilimento di quest’ultima, ottenuto insieme alla abolizione di ogni forma politica ed amministrativa che essa era stata chiamata a sostenere fin dall’origine, la monarchia non solo compiva un’opera di regresso civile, ma anche, inconsciamente, distruggeva il piedistallo e la salvaguardia del trono stesso”.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonti:

  1. Capasso, “Napoli Greco-Romana”
  2. Santangelo, “Preminenza aristocratica a Napoli nel tardo medioevo: i tocchi e il problema dell’origine dei sedili”
  3. Di Castiglione, “Alle Sorgenti della Massoneria”
  4. Francesco Mazzarella Farao, “Sulle XII fratrie attico-napolitane”
  5. Tutini, “Dell’origine, e fundation de seggi di Napoli, del tempo in che furono…”

L De Lutio di Castelguidone, “I Sedili di Napoli”

 

 

 

 

 

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