I terremoti del 5 e del 30 dicembre 1456 sotto Alfonso I d’Aragona, Regno di Napoli
Il 1456 fu considerato un anno particolarmente ricco di segni soprannaturali e catastrofi naturali. Il terremoto era stato preceduto dall’apparizione della famosa cometa di Halley, segno tradizionalmente infausto per la memorialistica coeva (Archivio di Stato di L’Aquila, Archivio Civico Aquilano, R-111, Bernardino da Fossa, Codice di sermoni quaresimali proveniente dal convento di S.Angelo di Ocre, 1459-1464).
Seguì una forte epidemia di peste che colpì prevalentemente l’area abruzzese e pugliese. Bisogna aggiungere anche la guerra interna al Regno per la successione di Alfonso il Magnanimo, fra i sostenitori del figlio legittimo Ferrante e i baroni ribelli.
Il terremoto colpì con effetti distruttivi (intensità maggiore o uguale al IX grado MCS) oltre 90 località su un’area vastissima dell’Italia centro-meridionale. Scarsissime le informazioni sull’area di risentimento, che si estese a nord fino a Roma, a tutta la Puglia fino a Lecce, a sud fino a Messina. Rilevando la vastità dell’area interessata dal terremoto, del tutto eccezionale se paragonata con quella di altri eventi noti dell’Appennino centro-merionale, Magri e Molin (1985) (Magri G. e Molin D. The earthquake of December 1456 in Central-Southern Italy, in “Atlas of Isoseismal Maps of Italian Earthquakes”, a cura di D.Postpischl, CNR-PFG, Quaderni de «La Ricerca Scientifica», n.114, vol.2A, pp.20-23. Roma 1985) per primi proposero di considerare il quadro macrosismico del terremoto come la sovrapposizione di più scosse. Nella stessa ottica Meletti et al. (1988), ipotizzando l’attivazione più o meno contemporanea di diversi segmenti di faglia, hanno messo a confronto il campo macrosismico di tutti i terremoti disastrosi dell’Appennino centro-meridionale, sufficientemente documentati, con quello del terremoto del 1456, nel tentativo di individuare significative zone di corrispondenza.
Le fonti ricordano, in effetti, che dopo la prima scossa, avvenuta nella notte del 5 dicembre 1456 alle ore 11 italiane (3:00 GMT ca.), repliche molto numerose si protrassero fino ai primi mesi del 1457. Tuttavia, soltanto la scossa del 30 dicembre, alle ore 16 italiane (8:20 GMT ca.), viene descritta di violenza simile a quella del 5 dicembre, tale comunque da avere causato danni gravi. Risulta ovviamente impossibile dalle descrizioni separare gli effetti relativi a questa seconda scossa o anche soltanto definirne grossolanamente l’area dei massimi effetti. È anche possibile che l’evento del 5 dicembre sia derivato dall’attivazione pressocché simultanea di più sorgenti sismiche, come proverebbe la inusuale durata della scossa, circa 2 minuti, segnalata da vari testimoni diretti e indipendenti, e che perciò la vastissima area di danneggiamento derivi dalla sovrapposizione degli effetti di più scosse. All’interno dell’area complessiva degli effetti sono distinguibili almeno tre zone, che potrebbero rappresentare altrettante aree epicentrali: la prima al confine tra il Sannio e l’Irpinia, nella zona di Paduli, Apice, Ariano Irpino; la seconda, a nord dei monti del Matese, nella zona di Bojano e Isernia; la terza nell’alta Valle del fiume Pescara, nella zona di Torre de’ Passeri, Popoli, Tocco da Casauria. I bordi di tali zone si confondono e non sono distinguibili; l’elenco delle località classificate rappresenta il quadro cumulativo degli effetti.
Tutte le località interessate dal terremoto si trovavano all’interno del Regno di Napoli. Passato sotto la dominazione aragonese nel 1442, lo stato napoletano era governato da Alfonso il Magnanimo. La fuga della popolazione dalla città di Napoli viene ricordata in tutte le lettere degli ambasciatori presenti al momento della scossa (Strozzi Filippo Lettera di F.Strozzi alla madre Alessandra Macinghi, Napoli 8 dicembre 1456, in Alessandra Macinghi negli Strozzi, “Lettere di una gentildonna fiorentina del secolo XV ai figliuoli esuli”, ed. C.Guasti, annotazione A, pp.138-140. Firenze 1877). In particolare il plenipotenziario senese Bindo menziona i rifugi temporanei approntati nelle vicinanze della città, dove furono costruite 4.500 tende. La popolazione era spaventata anche dai vaticini degli astrologi che previdero altri terremoti consigliando di non rientrare nelle proprie case. Nelle stesse lettere e in tutte le cronache successive sono ricordate le processioni religiose a Napoli e in altre città. Alcune comunità presentarono al re una richiesta di sospensione della tassazione per i fuochi, che proprio l’anno precedente era stata raddoppiata.
Il terremoto del dicembre 1456 colpì una vasta area del Regno di Napoli, comprendente Campania, Basilicata, Abruzzo meridionale, Molise. I centri colpiti furono numerosi: da grandi città come Napoli, Benevento, L’Aquila, ai popolosi villaggi della pianura campana nei dintorni di Benevento, ai castelli abruzzesi. Il tessuto socio-economico del Regno era assai diversificato: i villaggi aperti di pianura si basavano prevalentemente sulle attività agricole; i centri appenninici abruzzesi e molisani, a parte i castelli fortificati con funzioni militari, erano caratterizzati da economia pastorale, che sfruttava la transumanza dai pascoli pugliesi. Il tessuto insediativo era composto da piccoli villaggi con un numero ridotto di fuochi: dai ruoli fiscali del XV secolo, si nota che l’80% della popolazione risiedeva in centri inferiori ai 200 fuochi. Il numero dei morti non è ricavabile con precisione dalle fonti coeve. Fin dai primi giorni si susseguirono cifre molto differenti: nelle lettere degli ambasciatori scritte tra il 6 e l’11 dicembre le vittime a Napoli vanno da 100 a 150; nelle stesse lettere i morti di Ariano Irpino oscillano da 800 a 1.200, a 2.000 e fino a 7.000. Negli scritti di poco successivi alcuni autori tentarono un calcolo complessivo delle vittime, anch’esso con enormi disparità: in una lettera dell’ambasciatore mantovano (in Figliuolo 1988-89) si citano 70.000 morti; Giacomo Piccolomini (1506) ne ricorda 60.000; Da Trezzo 30.000. Stessa oscillazione nelle cronache coeve. Assai inferiore, 12.000, è la cifra dei morti segnalati da Contarini e Giannozzo Manetti (1457, Biblioteca Apostolica Vaticana). Sulla base di tali cifre, Figliuolo ha comparato i dati delle vittime con il numero approssimativo della popolazione dei villaggi, calcolando l’incidenza della mortalità. Particolarmente colpite, con più del 50% di vittime, furono Apice, Ariano Irpino, Bojano, Campochiaro, Isernia, Paduli, Tocco da Casauria. Tuttavia il terremoto non interruppe il trend demografico in ascesa attraversato dal Regno in quel periodo. La recente analisi storiografica tende a ridimensionare gli effetti del terremoto sull’assetto demografico e territoriale delle regioni colpite, in particolare l’Abruzzo, dove la storiografia locale aveva segnalato un processo di decastellamento, con l’abbandono dei siti fortificati in altura e la concentrazione della popolazione nei centri maggiori della pianura. Anche se è indubbio che alcuni villaggi di fondovalle aumentarono in modo consistente il numero degli abitanti fra la metà del Quattrocento e i primi anni del secolo successivo, non sempre è provato il collegamento fra il terremoto e tale processo di ridistribuzione, che interessò anche zone non colpite dal terremoto. Conseguenze importanti dal punto di vista economico si ebbero invece per il patrimonio ecclesiastico, specie nelle città medio-grandi come Benevento, Bojano, Sulmona: molte chiese furono costrette ad alienare parte dei propri beni immobiliari per finanziare la ricostruzione.
Numerosi sono gli accenni sparsi alle ricostruzioni attuate nella fase successiva al terremoto del 5 dicembre. Nonostante l’ostentata indifferenza del re Alfonso, tramandata nelle cronache in termini negativi, gli edifici danneggiati nella città di Napoli vennero subito puntellati e poi riparati, come testimonia Enea Silvio Piccolomini. L’ambasciatore veneziano aveva fatto riparare la casa di rappresentanza dello stato veneto a Napoli, anticipando 253 ducati (Archivio di Stato di Venezia, Senato, Mar, reg.5, Deliberazione del senato veneziano per lo stanziamento di 25 ducati per riparare i danni subiti dal palazzo della Repubblica di Venezia a Napoli a causa del terremoto del 5 dicembre 1456, 22 gennaio 1457). Interventi di restauro sono attestati anche per S.Domenico a Napoli; per la cattedrale di Venafro, riparata dal vescovo (Moroni G. Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni specialmente intorno ai principali santi, beati, martiri, padri, ai sommi pontefici, cardinali e più celebri scrittori ecclesiastici, 103 voll. + 6 di indici. Venezia 1840); il castello di Tocco; l’abitato di Ascoli Satriano da parte degli stessi abitanti che si erano rifugiati in un colle vicino; e infine per l’abbazia di Montecassino, dove furono riparati il dormitorio e il chiostro. Per le città pugliesi, i numerosi interventi di restauro, come per la cattedrale di Nardò (De Giorgi C. La cattedrale di Nardò, in “Archivio Salentino di Scienze, Lettere ed Arti”, a.1, fasc.1. Lecce 1894), e i privilegi papali (7), ricordati dalla storiografia locale non sono da mettere in relazione con ipotetici danni causati dal terremoto, quanto con le distruzioni conseguenti alla guerra di successione, e che colpì pesantemente la Terra d’Otranto.
Dalle fonti epistolari si ricavano le prime importanti informazioni sul terremoto del 5 dicembre 1456. Di rilievo le lettere degli ambasciatori presenti a Napoli, in particolare quelle che Antonio da Trezzo, milanese, inviò al duca Francesco Sforza il 6 dicembre e poi il 22 e il 28 dello stesso mese.
Il 7 dicembre, sempre da Napoli, fu spedita la relazione di Bindo plenipotenziario senese che menzionava anche centri della Capitanata pugliese; il giorno successivo la lettera di Giannozzo Manetti alla Signoria fiorentina; il 9 dicembre le missive di Bosquet ai consiglieri della città di Barcellona e di Dusany ai deputati catalani (Dusany Pere Lettera dell’ambasciatore catalano P.Dusany alla Generalitat di Catalogna, Napoli 9 dicembre 1456, in “Llibre de les Solemnitats de Barcelona. Edició completa del manuscrit de l’Arxiu Històric de la Ciutat”, a cura di A.Duran i Sanpere e J.Sanabre pvre, vol.1 (1424-1456), n.76, p.228. Barcelona 1930), comprendono anche l’Abruzzo e il Molise; l’11 dicembre la lettera dell’ambasciatore veneziano Contarini. Più informate sui danni nei centri del versante adriatico risultano le lettere spedite da Foggia dove si trovava la corte di Alfonso il Magnanimo: la lettera di Ercole d’Este al fratello Borso del 7 dicembre e quella dell’ambasciatore mantovano del 12 dicembre. Le cifre delle vittime e il numero delle località menzionate dagli ambasciatori variano sensibilmente da una lettera all’altra, segno del succedersi nella corte napoletana di rapporti diversi giorno dopo giorno. Queste lettere diffusero in breve tempo la notizia nelle principali corti italiane e vennero usate come fonti dalla cronachistica coeva. Le lettere di Trezzo, integrate con le informazioni giunte dall’ambasciatore milanese a Napoli e dal segretario ducale in Lunigiana, furono trasmesse dal Duca ai reggenti di altri stati italiani e alla corte aragonese attraverso una fitta rete diplomatica. Ancora più vasta la circolazione di alcune missive semipubbliche, inserite successivamente in cronache come la relazione anonima al cardinale Colonna la lettera di Ercole d’Este al fratello Borso, ripresa dalle cronache bolognesi, la lettera di Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II, all’imperatore Federico III e infine la lettera di Paolo Rucellai riportata nel suo Zibaldone (Cronaca Varignana (Cronaca B) [-1471], in Corpus chronicorum Bononiensum, ed. A.Sorbelli, “Rerum Italicarum Scriptores”, 2ª ed., tomo 18, parte 1. Città di Castello-Bologna 1910 Ammannati Piccolomini Iacopo Epistolæ et Commentarii Iacobi Picolomini Cardinalis Papiensis. Milano 1506). Restano anche alcune lettere private: di Giannozzo Manetti al fratello e a Vespasiano Bisticci, che non modificano di molto il quadro generale; una di Francesco Sforza alla madre (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, serie I, 325, c.83, Lettera di Filippo Strozzi ad Alessandra sua madre in Firenze sul terremoto del 5 dicembre 1456, Napoli 8 dicembre 1456) e una notazione di Goro di Giovanni da Napoli. Le due relazioni principali sul terremoto del 5 dicembre sono contenute nella cronaca di Antonino Pierozzi vescovo di Firenze, noto come Sant’Antonino (Sant’Antonino Pierozzi Chronicorum opus in tres partes divisum ab orbe condito, annum usque 1459, 3 voll. Lyon 1586), e nel terzo libro del trattato “De terraemotu” di Giannozzo Manetti (Biblioteca Apostolica Vaticana, Manoscritti, Palatini Latini, 1077, Giannozzo Manetti, De terraemotu libri tres, 1457). Su queste due fonti, in particolare, è stato condotto lo studio di G.Magri e D.Molin (Magri G. e Molin D. The earthquake of December 1456 in Central-Southern Italy, in “Atlas of Isoseismal Maps of Italian Earthquakes”, a cura di D.Postpischl, CNR-PFG, Quaderni de «La Ricerca Scientifica», n.114, vol.2A, pp.20-23. Roma 1985), mentre Figliuolo in una recente monografia ha ipotizzato una dipendenza di Pierozzi da Manetti. Tuttavia, la diversità completa dei dati contenuti nelle due relazioni non giustifica tale accostamento. È più ragionevole infatti supporre la circolazione di numerose e discordanti relazioni sugli effetti del terremoto negli stessi ambienti ufficiali, cui sembrano rifarsi tanto Manetti, che scrisse il trattato a Napoli nel 1457, quanto Pierozzi che si basava su una relazione coeva. Scarse le fonti documentarie pubbliche, sia per la blanda reazione del re Alfonso, che non apportò modifiche sostanziali alla gestione amministrativa del regno, sia per la distruzione e dispersione della documentazione del XV secolo conservata all’Archivio di Stato di Napoli, durante il secondo conflitto mondiale. Sono stati reperiti due privilegi regi presso l’Archivo de la Corona de Aragón di Barcellona (Archivo de la Corona de Aragón de Barcelona, Cancillería, Privilegiorum Neapolis, reg.2916, cc.78v-79r, Privilegio del re Alfonso I d’Aragona a favore di Francesco e Pirro Del Balzo duchi di Andria e Venosa, Torre del Greco 9 giugno 1457.
Archivo de la Corona de Aragón de Barcelona, Cancillería, Privilegiorum Neapolis, reg.2917, cc.169v-170, Privilegio del re Alfonso I d’Aragona a favore dell’università della città di Isernia, Napoli 29 luglio 1457), e alcuni brevi pontifici nell’Archivio Segreto Vaticano (Archivio Segreto Vaticano, Registra Vaticana, vol.447, c.123v, Privilegio del papa Callisto III a favore della chiesa cattedrale di Calvi, Roma 23 aprile 1457.
Archivio Segreto Vaticano, Registra Vaticana, vol.447, cc.255v-256r, Privilegio del papa Callisto III a favore dell’abbazia di Santa Maria di Realvalle, Roma maggio 1457.
Archivio Segreto Vaticano, Registra Vaticana, vol.463, c.44r, Privilegio del papa Callisto III a favore di Paolo e Nicolò di Vallata, Roma 24 maggio 1457). Altri documenti afferenti alla fase di ricostruzione sono stati rintracciati in archivi di enti ecclesiastici di Cassino, di Napoli e di Benevento. L’unica testimonianza di iniziative prese da signori laici riguarda una concessione del marchese di Pescara alla comunità di Castel di Sangro. Esiti negativi ha dato lo spoglio di alcune raccolte di fonti edite: (Rogadeo E. Codice diplomatico aragonese. Re Alfonso I (1435-1458), in “Codice Diplomatico Barese”, vol.11. Bari 1931
Giannuzzi A. Le carte di Altamura (1232-1502), in “Codice Diplomatico Barese”, vol.12.
Bari 1935 Cassandro G.I.
Le pergamene della Biblioteca Comunale di Barletta (1186-1507), in “Codice Diplomatico Barese”, vol.14. Trani 1938 Filangieri R.
Le pergamene di Barletta dell’Archivio di Stato di Napoli (1309-1672), in “Codice Diplomatico Barese”, vol.19. Trani 1971
Frascadore A. Le pergamene del Monastero di Santa Chiara di Nardò (1292-1508), in “Codice Diplomatico Pugliese”, vol.25. Bari 1981). Importanti sono invece le notazioni anonime in margine ad alcuni documenti ecclesiastici, come gli obituari o libri dei morti di varie località, e quella su un manoscritto religioso ebraico. La più dettagliata è la nota nel codice di Guido di Monterocchetta che contiene una lista precisa dei danni a Napoli; secondo l’editore moderno sarebbe opera di Francesco da Cusano, uomo di fiducia del duca di Milano. Anche queste note contengono notizie assai diverse riguardo alla localizzazione dei danni e all’ammontare delle vittime, in linea con la forte eterogeneità dei dati che caratterizzò la tradizione del terremoto nella cronachistica coeva e del secolo seguente. Il rilievo dato al terremoto fu infatti assai vasto; ne riportarono menzione numerose cronache italiane di diverse regioni . L’opera di Della Tuccia, priore del comune di Viterbo, contiene un dettagliato elenco delle vittime per singole località (Della Tuccia Niccola Cronaca di Viterbo, in “Cronache e Statuti della città di Viterbo” (Documenti di storia italiana, vol.5), a cura di I.Ciampi, pp.1-272. Firenze 1872). Semplici citazioni sono presenti in molte opere storiografiche. Oltre alle esagerazioni connesse alla descrizione del terremoto come evento distruttivo causato dalla volontà divina, si trovano in alcune cronache palesi confusioni con terremoti diversi (quello aquilano del 1461 in Cirillo e Antinori; quello di Città di Castello del 1457 in ser Guerriero). Ancora più insidiosa si rivelò l’estensione degli effetti distruttivi alle regioni contermini, specie la Puglia, basata su una lettura errata dei dati; il cronista Costanzo (Di Costanzo A. Istoria del Regno di Napoli. Napoli 1769) inserì nell’elenco delle città danneggiate anche Brindisi e altri centri pugliesi distorcendo i nomi di luoghi diversi riportati dalle cronache precedenti; l’errore fu ripreso e ingrandito dai cronisti successivi. Ugualmente infondata è l’attestazione di gravi danni a Messina e in Sicilia fondata sul fraintendimento delle notizie riportate da Maurolyco (Maurolico F. Sicanicarum rerum compendium Maurolyco abbate Siculo authore. Messina 1562) e riprese da Mongitore (Mongitore A. Istoria cronologica de’ terremoti di Sicilia, in Id., “Della Sicilia ricercata nelle cose più memorabili”, tomo 2, pp.345-445. Palermo 1743), che attestano soltanto il forte risentimento della scossa. L’immagine di gravi danni e migliaia di morti in Puglia e in Sicilia, accolta anche dalla moderna storiografia locale, ha contribuito così a creare il mito del terremoto del 1456, che solo le monografie di Magri e Molin prima, e successivamente di Figliuolo, sono riuscite a ridimensionare.
Frequenti le menzioni del terremoto nelle cronache settecentesche di area meridionale. Numerose anche le menzioni generiche nella storiografia locale del XIX e XX secolo.
Un esame particolare è stato dedicato alla storiografia pugliese per verificare se l’estensione dei danni non avesse alla base qualche documentazione valida, ma l’esito è stato negativo.
Il terremoto ha una consolidata presenza nei cataloghi sismici. L’approfondimento della ricerca per questo evento è stato complessivamente portato a un livello così sistematico e avanzato che solo il reperimento casuale di una fonte potrebbe aggiungere ancora qualcosa. Per quanto riguarda, invece, analisi architettoniche di tipo archeologico su edifici in alzato, ancora oggi esistenti, si riscontra una certa mancanza di osservazioni autorevoli.
Il re Alfonso il Magnanimo non prese alcun provvedimento straordinario di fronte al terremoto; anzi, ricevuta la notizia durante una permanenza in Puglia, non ritenne necessario tornare subito a Napoli e rimase nella regione fino ai primi di febbraio. Il re non accolse neanche le richieste di esenzione dalle tasse avanzate dalle comunità colpite, obiettando che i superstiti erano in grado di pagarle poiché avevano ereditato i beni dei defunti. Nel 1457 le imposte vennero esatte calcolando anche l’aumento di un ducato per fuoco deciso l’anno precedente. Si sono rintracciati solo 3 privilegi di esenzione nell’Archivo de la Corona de Aragón di Barcellona: il primo del 9 giugno 1457 è una conferma di sgravi fiscali ai duchi di Andria e Venosa, che dovevano ricostruire le mura delle cittadine loro soggette (Archivo de la Corona de Aragón de Barcelona, Cancillería, Privilegiorum Neapolis, reg.2916, cc.78v-79r, Privilegio del re Alfonso I d’Aragona a favore di Francesco e Pirro Del Balzo duchi di Andria e Venosa, Torre del Greco 9 giugno 1457); il secondo del 9 luglio concesso ad alcuni nobili pugliesi della famiglia Del Balzo Ursini (Archivo de la Corona de Aragón de Barcelona, Cancillería, Privilegiorum Neapolis, reg.2916, cc.78v-79r, Privilegio del re Alfonso I d’Aragona a favore di Francesco e Pirro Del Balzo duchi di Andria e Venosa, Torre del Greco 9 giugno 1457); il terzo del 29 luglio 1457 contiene una concessione di 11 once annue sulle gabelle e i dazi alla comunità di Isernia, sempre per la ricostruzione delle mura (Archivo de la Corona de Aragón de Barcelona, Cancillería, Privilegiorum Neapolis, reg.2917, cc.169v-170, Privilegio del re Alfonso I d’Aragona a favore dell’università della città di Isernia, Napoli 29 luglio 1457). La città ottenne anche l’esenzione dalle tasse per 5 anni secondo un documento perduto, pubblicato da Gentile. A Castel di Sangro il feudatario locale concesse una simile esenzione dalle tasse per 4 anni (Privilegio del marchese di Pescara Berardo Gaspare d’Aquino a favore all’università di Castel di Sangro, 30 marzo 1457, in V.Balzano, Documenti relativi a Castel di Sangro, “Bullettino della R. Deputazione Abruzzese di Storia Patria”, s.III, a.6, p.12, n.7. L’Aquila 1915). Notevoli furono le capacità di assorbire i danni dimostrate dalle autorità napoletane. Gli edifici danneggiati di Napoli vennero puntellati in brevissimo tempo, come ricordano alcuni diplomatici presenti. Il 31 gennaio il re approvò le spese fatte per eseguire i primi lavori di sgombero. Rimane anche un mandato di pagamento del Senato veneziano all’ambasciatore Contarini per il restauro della casa di rappresentanza a Napoli (Archivio di Stato di Venezia, Senato, Mar, reg.5, Deliberazione del senato veneziano per lo stanziamento di 25 ducati per riparare i danni subiti dal palazzo della Repubblica di Venezia a Napoli a causa del terremoto del 5 dicembre 1456, 22 gennaio 1457). I provvedimenti a favore di Brindisi presi dal successore di Alfonso, Ferrante, non sono da mettere in relazione con il terremoto (Pigonati A. Memoria del riaprimento del porto di Brindisi sotto il regno di Ferdinando IV. Napoli 1781). Più limitati gli interventi papali, indirizzati soprattutto a incoraggiare l’opera di ricostruzione di edifici ecclesiastici con la cessione di indulgenze, come per la ricostruzione della chiesa di Calvi presso Capua e di S.Bartolomeo a Benevento (Archivio Segreto Vaticano, Registra Vaticana, vol.447, c.123v, Privilegio del papa Callisto III a favore della chiesa cattedrale di Calvi, Roma 23 aprile 1457). Altri provvedimenti isolati si rilevano dalla lettera per indulgenze concessa a due laici di Melfi che avevano restaurato un ponte (Archivio Segreto Vaticano, Registra Vaticana, vol.463, c.44r, Privilegio del papa Callisto III a favore di Paolo e Nicolò di Vallata, Roma 24 maggio 1457); e una bolla di Pio II per la ricostruzione delle mura di Benevento. La politica ecclesiastica prevedeva però altri rimedi per finanziare la ricostruzione degli edifici danneggiati: dall’accorpamento di enti ecclesiastici in rovina, come nel 1460 quando si unì alla cattedrale di Benevento il convento e la chiesa di S.Maria in Venticano; alla cessione ai laici di beni immobili danneggiati dal sisma. Si è trovato la concessione papale alla vendita di case per la riparazione del monastero di S.Maria di Realvalle (Archivio Segreto Vaticano, Registra Vaticana, vol.447, cc.255v-256r, Privilegio del papa Callisto III a favore dell’abbazia di Santa Maria di Realvalle, Roma maggio 1457); ma il sistema doveva essere più diffuso. Figliuolo menziona ben 11 atti di vendita nella sola Benevento e alcuni per Napoli, come la vendita di terre al mercante Rinaldo Scarcella per 200 fiorini d’oro.
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