Il 1799 e le polemiche sul web di Gigi Di Fiore
Impazza in rete il dibattito su un libro, che ancora una volta racconta dell’avanzata dei sanfedisti del cardinale Ruffo nel 1799. E’ la ripetuta narrazione delle violenze sulle popolazioni giacobine nel Molise.
Nulla di nuovo, nessun documento sensazionale. Solo un replay, peraltro fuori anniversari dopo l’orgia di pubblicazioni, soprattutto su Eleonora Pimentel Fonseca, che ci travolse nel 1999, anno del bicentenario.
In rete, impazzano le valutazioni sulla Repubblica partenopea, che fu voluta dai francesi e protetta per i sei suoi mesi di vita dalle armi del generale Championnet. Su quelle vicende, pesa molto l’eredità e la lettura che ne fece Benedetto Croce. Il filosofo e storico, che partecipò anche alla fattura del famoso albo pubblicato in occasione del centenario nel 1899, considerò i patrioti della Repubblica, messi a morte dopo il ritorno a Napoli dei Borbone, gli antesignani del Risorgimento. Nel cercare una premessa meridionale all’unificazione, Croce si aggrappò al 1799 che avrebbe anticipato gli ideali unitari.
Peccato che testimoni dell’epoca, come Pietro Colletta e Vincenzo Cuoco, certamente non schierati ciecamente con i Borbone, raccontarono le contraddizioni, le caratteristiche “passive” di una rivoluzione che non fu rivoluzione, ma elitaria occupazione di potere in nome degli ideali francesi.
Chi era quel popolo che i patrioti volevano emancipare, senza conoscerlo? Erano lazzari e gente povera che, per ben due giorni, si fecero massacrare dai cannoni francesi. Il generale Championnet non riuscì ad entrare agevolmente a Napoli, come gli avevano assicurato. Fu costretto a combattere: i lazzari difendevano la loro città, il loro re, i riferimenti ideali cui si rifacevano. Alla fine, fu lo stesso Championnet a lodarne il coraggio.
I martiri del ’99 sono il condensato della nostra retorica storica, ma anche l’appiglio della cultura laica, contrapposta a quello che si definisce oscurantismo condito da ignoranza popolare. Fin quando la polemica è su questo piano, il dibattito non può che essere fertile. E’ l’eterno discorrere sulla presenza e influenza nella città della Napoli plebea, su cui anche la Ortese ha lasciato pagine memorabili.
Poi, però, ci sono le manipolazioni storiche. Come le vicende della congiura dei fratelli Baccher, la fuga codarda dei Borbone (come se anche i Savoia, in quegli anni, non siano fuggiti in Sardegna all’arrivo dei francesi), le stragi dell’armata sanfedista. Quella di Ruffo fu una scommessa, partita con pochi suoi contadini e poi arrivata ad 80mila uomini. Tra questi, poche decine di albanesi, che vivevano già stabilmente in Calabria e non erano di certo mercenari stranieri.
Certo, l’avanzata non fu cammino da educande. Le violenze e le uccisioni furono la regola. Ma i sanguinari non si trovavano certo da una parte sola. Sanfedisti e giacobini si comportarono con la stessa spietatezza, con la stessa cecità. Gennaro De Crescenzo pubblicò anni fa un testo: “L’altro 1799: i fatti”. In appendice, decine di documenti di sentenze giacobine di morte nei confronti di fedeli dei Borbone. A Mercogliano, Caserta, Ceglie, Carbonara, Bacoli, Benevento, Briano, Nola, Pomigliano, Pagani, tanto per citare qualche località, i giacobini, coperti dalle armi francesi, furono sanguinari e non certo teneri con i fedeli dei Borbone. Il popolo.
E allora, cos’è la storia? Narrazione di vicende, interpretazione di avvenimenti sulla base di sensibilità nuove e documenti. Senza dimenticare il contesto in cui i fatti si svolsero. E quello del 1799 era un contesto storico che, nonostante la Rivoluzione francese di dieci anni prima, era ancora dominato da sovrani di monarchie assolute. Dopo 15 anni, anche Napoleone fu sconfitto da quelle monarchie in armi. E l’Inghilterra, che tanto influenzò l’unità d’Italia, era contro i francesi in appoggio ai Borbone meridionali. Tanto che fu Nelson a volere, contro il parere di Ferdinando IV, l’uccisione dei patrioti che si erano arresi.
Ma tant’è. Non si tratta di rivalutare nessun passato, né dinastie superate. Si tratta solo di raccontare che le guerre travolgono tutti, la violenza non è mai da una parte sola. Se poi, oggi, si vuole affermare che la cultura laica, intesa come apertura e dialettica del confronto, è da preferire all’oscurantismo e all’assolutismo delle convinzioni (qualunque esse siano), non si può che essere d’accordo. Ma questo è altro discorso, su cui la lettura della storia, intesa come difesa di posizioni di potere, c’entra poco.
fonte
https://www.ilmattino.it/blog/controstorie/il_1799_le_polemiche_web-1372177.html