Alta Terra di Lavoro

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IL BASSO PREZZO DEL DENARO

Posted by on Dic 22, 2018

IL BASSO PREZZO DEL DENARO

 All’indomani della fine della guerra, Giustino Fortunato – prefazionando “Il Mezzogiorno Agrario quale è”, di Eugenio Azimonti -, legava la redenzione economica del Mezzogiorno a “il basso prezzo del denaro”. Era questa una felice intuizione che quel grande spirito meridionale ebbe già per tempo. S’augurava, per conseguirlo, “una politica di parsimonia e di libertà” dello Stato italiano.


 Ora, a sei anni di distanza da quelle constatazioni, quanto già dissi nel precedente scritto, mi porta invece, in proposito, a pormi e a porre la seguente domanda: – Può il Mezzogiorno (facendo leva su sue risorse) fare in modo che il prezzo del denaro necessario pei suoi bisogni sia in futuro men caro che non al presente?


 Al lettore, ne son sicuro, non sfugge l’importanza del tema propostomi. Tema eminentemente positivo, di quella categoria a cui egli non può non concedere il suo interessamento.

***


 È da credersi che tutti, sia pure col solo buon senso dell’empirico, sappiano in qual modo si possa parlare di un “mercato nazionale del denaro”, e perché abbia a porsi la restrizione “nazionale” laddove si sa che il capitale, psicologicamente, è “internazionale”. Volerne qui discutere porterebbe troppo oltre. Comunque, si può notare che v’è tutta una serie di ostacoli allo scambio, che è valida solo nelle relazioni tra nazioni e nazioni (economiche), e non nell’interno di ciascuna di esse.


 In Italia, attualmente, si assiste ad una tenace azione di svincolo delle principali banche libere dalla soggezione agli Istituti di emissione, nel senso che quelle si sforzano a crearsi un mercato del denaro a sè, reagendo – per quanto più è possibile – alla dipendenza del tasso ufficiale di sconto ed alla politica monetaria che gli si riferisce.

 Questa tendenza, pur essendo contrastata dalle crisi, esiste, idealmente e di fatto, ed è confortevole.


 Però, come meridionale, mi corre l’obbligo di avvertire che l’evoluzione, nel senso su messo, delle grandi banche libere significa più attiva politica di prelievo dei capitali meridianali, o “pompaggio” di essi, come comunemente si dice.


 Questo fatto particolare, di tanta dannosa attuosità pel Mezzogiorno, sinora non è stato avvertito da nessuno: porlo, mi pare – per ciò – della massima importanza.


 Le grandi banche libere, per vieppiù disimpegnarsi dal ricorso agli Istituti di emissione, hanno d’uopo, tra l’altro: a) di meglio conoscere le varie categorie di risparmiatori, e di venir premurosamente loro incontro con offerte di accettazioni meglio idonee (sostanzialmente e formalmente) ad affrettarle come più esaurientemente è possibile; b) pigliar sempre più accorto interessamento pel capitale meridionale, così che esse, facendo con esso prevalenti “operazioni passive”, abbiano per meno insicura la possibilità di svolgere quei cicli di intermediazione produttiva specifici dell’istituto banca.


 Il risparmio meridionale, una volta acquisito dalla grande banca, viene adoperato, in principal modo, in finanziamenti nel Nord. Cosicché il Mezzogiorno, che pur ha imprestato a poco prezzo i suoi capitali, se ne richiede, a sua volta, in prestito alla grande banca, o non li ha, o deve subire vivaci angarie, il che, praticamente, fa lo stesso, per il fatto che la produzione meridionale lavora e vive su “margini” esigui, di mezzo punto percentuale di guadagno, ed ancor meno.


 Se poi il meridionale si rivolge alle banche indigene, non è a meravigliarsi dell’alto prezzo d’uso dei capitali – spesso insopportabile – richiestogli da esse; pochi depositi, sovente ricevuti solo per l’altezza del saggio d’interesse su di essi costrette a corrispondere, per richiamarli, non possono consentire certamente sconti od aperture di credito o mutui ipotecari a tassi vantaggiosi pel ricercatore di denaro a scopi produttivi, cosicchè esse banche son costrette a largheggiare in operazioni di prestiti “consuntivi”. Queste operazioni pregiudicano: a) l’economia regionale; b) l’educazione morale, per l’imprevidenza a cui abituano, o a cui indulgono.

 La colpa, per tutto ciò, è anche delle banche locali, in quanto anch’esse dovrebbero sospingere a questo rinnovamento di coscienze che andiamo invocando. È semplicistico ed erroneo, però, voler addossar loro la “causa” del fatto suddetto: questa è della “realtà”, che va combattuta per un migliore assetto del Mezzogiorno.

***


 Sorge così, per quanti meridionali hanno amor per la Patria e pel Mezzogiorno, il problema di sospingere a creare l’ideologia della banca regionalistica: più ancora, e complessivamente, a creare un mercato meridionale del denaro.


 Qui non si invocano volontarismi, sebbene sia presupposta una “volontà” che ora non esiste ancora, ma si ragiona così:


 Il Mezzogiorno ha un’economia storica speciale, ed è incontestabile che nel suo insieme ha peculiari aspetti “unitari”, mantenutigli da una tonalità bassa di vita che non gli consente di bene “equilibrarsi”, interregionalmente. Ora, in questo ambiente, sorge il problema di crearsi un mercato del denaro, in cui la domanda, per i bisogni del Mezzogiorno, sia soddisfatta con capitali del Mezzogiorno.


 Così messa la questione, essa si inquadra in quella più generale di creare uno stato d’animo nuovo, di dignità, nel Mezzogiorno, e dipende da esso.


 Non ho detto dei vantaggi. Essi sono: a) maggior coordinamento tra vicende economiche locali e credito; b) più gran copia di capitali disponibili, per i bisogni del Mezzogiorno; c) più basso prezzo del denaro, per quanta in b) e perchè vi sarebbero richiamate quelle categorie di capitali che attualmente si accontentano… presso istituti non locali – anche di poco frutto, perché al presente pensano di trovarvi maggiore sicurezza che non presso le banche locali; d) ritmo più accentuato di un’evoluzione fondiaria meridionale, per cui le terre ora poco coltivate son portate a più fruttuosa produzione.


 E’ questa evoluzione che ad un certo punto del suo divenire dovrebbe consentire l’equilibrio interregionale cui sopra abbiamo accennato. Il Mezzogiorno allora, con più notevole peso, entrerebbe veramente nell’economia italiana. Il mercato meridionale del denaro non avrebbe da quel momento ulteriori ragioni e convenienza di essere, se, prima ancora, non ne fosse impossibile l’esistenza.


 Concludo così: Il Mezzogiorno può progredite (ed “il basso prezzo del denaro” sarà possibile) se e quando i meridionali comprenderanno le veraci esigenze di esso. Lo Stato, in questa prima fase, non c’entra menomamente. Chiamarlo in causa, direttamente, è non avere la sensazione storica delle cose.
GIUSEPPE DELLA CORTE

fonte https://www.erasmo.it/liberale/testi/1653.htm

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