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IL BRIGANTAGGIO DOPO L’UNITÀ D’ITALIA A CASTELLINO DEL BIFERNO

Posted by on Gen 2, 2021

IL BRIGANTAGGIO DOPO L’UNITÀ D’ITALIA A CASTELLINO DEL BIFERNO

Con il 1860 ebbe inizio un altro periodo di brigantaggio, quello postunitario, costellato di violenze gratuite, odi, rancori e miseria. Il 22 ottobre 1860 giunse ad Isernia Vittorio Emanuele II, accolto freddamente. “Le colonne garibaldine e le bande borboniche occupano a vicenda i paesi con deplorevole risultato. Con i Garibaldini vanno i galantuomini (liberali), con i Borbonici i cafoni (reazionari) e gli uni e gli altri gareggiano a farsi danno, saccheggiano ed incendiano le case degli avversari. I galantuomini tagliano un orecchio ai cafoni e questi la testa ai galantuomini”.

Iniziò il periodo del brigantaggio postunitario, costellato di violenze gratuite, odi, rancori e miseria. Lo scioglimento dell’esercito borbonico creò torme di sbandati che, insieme ai renitenti alla leva, incrementarono il brigantaggio, che il nuovo regno cercò di reprimere nel sangue.

  La Guardia Nazionale, pur numerosa, sovente fu impotente di fronte ai ribelli, e come poteva non esserlo se c’era disorganizzazione e quant’altro per alimentare il brigantaggio. La sicurezza era messa a repentaglio dall’azione dei briganti, a volte incentivati dai Borboni.

  Il 14 luglio 1861 una banda di 300 individui assalì Acquaviva Collecroce, entrando a Castelmauro. La popolazione gli andò incontro con i quadri di Francesco II, il giorno 15 invase Montefalcone nel Sannio, Mafalda e San Felice del Molise. Il 16 luglio la banda venne dispersa dalle truppe piemontesi.

 Il 27 maggio 1863 Luigi Di Fabio fu Giuseppe, stava coltivando un campo che aveva a Macchia Carbone, quando gli si presentò il brigante Antonio d’Alessandro alias Zazzarone di Campolieto, che gli disse di portare il mattino seguente un fiasco di vino, pane e salsiccia minacciandolo, qualora non avesse adempito alla richiesta, di ammazzarlo con una baionetta. Il mattino seguente, avendo Di Fabio raccontato l’accaduto alle autorità di Castellino, la Guardia Nazionale di questo paese perlustrò la zona trovando il brigante in contrada Lungarella, seduto su una scalinata della masseria di don Nicolino Stanziano ed alla vista dei gendarmi fuggì.

  La Guardia Nazionale trovò un contadino di Campolieto, Michele Berardo, che portava uno stile ed un berretto rosso (friso) del passato regime e lo arrestò. Fu istruito un fascicolo “N. 3426 – 28 del registro – Asportazione di arma vietata stile – A 24 maggio 1863 in campagna – A carico di Michele Berardo di Valentino – E – Sciente ricettazione del brigante Antonio d’Alessandro alias Zazzerone di Campolieto – A carico di – Fuori carcere – Antonia di Lembo, di Vincenzo – Pasquale Varanese fu Leonardo – di Campolieto”. Non conosciamo l’esito delle indagini e del probabile processo.

  Ferrante Maria Lucia (1904+1983) ha raccontato che suo bisnonno Innocenzo Ferrante (quello che contribuì al restauro della cappella della Madonna delle Grazie), che visse al tempo del brigantaggio, padre di Francesco, mentre si trovava in alcuni suoi terreni in contrada Vicenne, venne catturato dai briganti che, non avendogli trovato che una corona di rosario in tasca, lo malmenarono, lo legarono ad un albero e se ne andarono.

  Pietrangelo Fratangelo (1877-1966) soleva raccontare che, quando lui era ancora bambino, venne a Castellino un vecchio e si fermò una sera in paese. Domandò di vecchie persone del luogo che, già da anni erano morte. Parlò di tempi andati, quando bambino seguiva i briganti. Narrò di una precipitosa fuga e del sotterramento del bottino di parecchie razzie in contrada Lungarella, nei pressi di una secolare quercia. L’indomani sarebbe voluto

andare lì, insieme a della gente del luogo, e prendere quelle cose razziate anni addietro. Quella notte si fermò in paese, l’indomani però era morto. La gente del luogo andò in quella vasta contrada cercando una quercia secolare, ma non la trovò, era stata tagliata molti, ma molti anni prima.

 Un’altra piaga, quella dell’emigrazione, dopo l’Unità d’Italia attanagliò il Molise. Questa regione vide partire per l’estero nel 1876 cinque persone, che poi andarono man mano aumentando. L’emigrazione molisana rimase però contenuta fino ai primi anni ’80 del XIX secolo. Già però nel 1886 gli emigrati molisani verso l’estero furono 6.677 e nel 1906 arrivarono a 16.160. In totale dal Molise dal 1876 al 1900 gli emigrati furono circa 136.000 e dal 1901 al 1915 circa 171.000, con una percentuale sul totale nazionale rispettivamente del 2,6% e del 2,0%).

Per la bibliografia dell’opuscoletto si rimanda a quanto riportato nel libro “Castellino del Biferno tra storia e cronaca, dal 1700 al 1860” di Pietro Fratangelo, anno 2005, dal quale questo scritto è tratto.

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