Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Il Canzoniere Napoletano

Posted by on Set 25, 2021

Il Canzoniere Napoletano

Non è difficile incontrare capolavori della musica a Napoli. Un mix infallibile fatto di natura prodiga, di clima mite, di cultura profondamente radicata alle radici antiche, ha prodotto in questa terra la gioia che si trasforma in note ed il sentimento che viene cantato in versi.

Sembra che ogni cosa sia a suo posto in questo luogo particolare della costa di questo Tirreno profondo immerso nei colori e tinto dalle brezze tiepide. Sarà la primavera quasi costante, che fa sbocciare frutti rari, che ha indotto nel corso dei secoli, questo popolo ad immedesimarsi nelle note del pentagramma. Sarrà chissà,…

Gli innamorati, nelle serene notti d’estate, in tutti i paesi del mondo, vanno cantando sotto le finestre delle belle fanciulle, ma nell’inverno tace la canzone e si fa cerchio intorno al focolare, rallegrato da una bella fiamma. Qui a Napoli, dove tante notti invernali hanno miti aure di primavera, la canzone d’amore non tace mai, e passionata corre le colline e le spiagge, e interrompe i silenzi pensosi della notte, e se ne va sempre a braccetto di chitarre e mandolini, che hanno voci che toccano il cuore. E spesso, mentre ve ne andate frettoloso , chiuso nel mantello, di lontano, vi saluta una nota armonia, e vi sentite rimescolare il sangue e un soffio di ricordi sul viso da calde parole d’amore o di dolore, che sapete a me- moria, e che una volta avete cantate anche voi. E vi allontanate e la canzone vi segue, e vi fa più allegro se siete felice, e più pensoso se avete un chiodo nel cuore. Il vento è fresco, ma non pungente, e lì, in fondo ad un giardino profumato d’aranci e di limoni, una voce intona la Fenesta vascia. Oh! stiamola ad udire:

Fenesta vascia e patrona crudele,

Quante sospire m’aje fatto jettare!

M’ arde stu core conim’ a na cannela,

Bella, quanno te sent’annomenare.

Oje piglia la sperienza de la neve,

La neve è fredd’e se fa rnaniare,

E tu commè si tant’ aspra e crudele,

Muorte mme vide e non mme vuò ajutare.

Vorria arreventare no picciuotto

Co na lancella a ghire vennenno acqua,

Pe mme nne ì da chiste palazzuotte:

” Belle femmene meje a chi vo acqua ?

Se vota na nennella da là ‘ncoppa:

Chi è sto ninno che va vennenno acqua?

E io responno co parole accorte :

“So lagreme d’ aminore, e non è acqua. „

Come è bella questa Fenesta vascia, com’è fresca, ed è nata quattro secoli fa. Quando l’avete udita una volta, non ve la dimenticate più. Sono idee e immagini schiette, semplici, limpide, che vi sollevano, come un sorso d’ acqua pura in una marcia d’estate. Io ve la trascriverò in italiano, verso per verso, letteralmente, e vedrete che non perderà nulla, come ima bella fanciulla, che è sempre bella, anche quando si mette una veste che non è stata fatta per lei.

Finestra bassa e padrona crudele, Quanti sospiri mi hai fatto gettare ! M’ arde questo cuore come una candela. Bella, quando ti odo nominare. Ah prendi esempio dalla neve, La neve è fredda e si fa maneggiare, E tu con me sei tant’ aspra e crudele, Morto mi vedi e non mi vuoi aiutare. 

Vorrei diventare un ragazzetto, Con una brocca e andar vendendo acqua, Per andare sotto questi palazzotti. ” Belle donne mie: chi vuol acqua … Si volta una ragazza di là sopra: “Chi è questo giovinetto che va vendendo acqua ? „ Ed io rispondo con parole accorte: “Son lagrime d’amore, non è acqua.„
Chi la compose questa stupenda canzone, chi ne scrisse la musica? Non si sa. Si sa solo questo, che in una cantina sulla collina di S. Efremo vecchio, da tempo immemorabile, pochi giorni prima della festa di Piedigrotta, si riunivano molti popolani e trincavano allegramente; il vino era buono e forte, si pagava poco, e accendeva l’estro. E uno intonava il primo verso, e un altro lo correggeva, e poi un altro dava un’ altra idea, e quel verso tormentato era buttato sotto il tavolo, e i motti, le idee, le immagini si incrociavano come i brindisi, e scintillavano come i bicchieri levati in alto, e spumeggiavano come il liquore generoso spremuto dai grappoli grossi, fecondati dal Vesuvio. Ognuno, così, portava la sua idea, la sua parola, il suo colore, la sua nota e la canzone da quel simpatico scoppiettìo nasceva giovine, forte, con voce melodiosa, e si andava a cantare sotto la grotta di Pozzuoli, a mezzanotte in punto, nella successiva festa di Piedigrotta. Talvolta la parola era rozza e il verso era zoppo, ma l’idea originale e potente, l’immagine giusta e trasparente, la melodia semplice, ma spontanea e passionata. E così nacque la Fenesta vascia, che è tanto bella. E Fenesta vascia ha una sorella: Fenesta che llucive. Uditela, vi strappa le lagrime:
Fenesta che llucive e mò non luce

Sign’ è ca Nenna mia stace malata.

S’ affaccia la sorella e me lo dice

Nennella toja è morta e s’è atterrata,

Chiagneva sempe ca dormeva sola,

Mo dorme co li muorte accompagnata.

Va nella chiesa e scuopre lo tavuto,

Vide Pennella toja comm’ è tornata,

Da chella vocca che n’ asceano sciure

Mo n’ esceno li vierme; oh, che pietate!

Zi Parrucchiano mio, abbice cura,

Jfa lampa sempe tienece allumata.
Ah ! Nenna mia si’ morta, poverella!

Chili’ uocchie chiuse non l’arape maje;

Ma ancora all’ uocchie mieje tu pare bella,

Ca sempe faggio amato e mmo cchiù assaie,

Potesse a lo inmacaro inori’ priesto

E m’ atterrasse a lato a tte Pennella.
Addio fenesta; restate nzerrata

Ca nenna mia, mo, non se po affacciare.

Io cchiù non passaraggio da sta sfrata;

Vaco a lo Camposanto a passiare Nzino

a lo juorno che la morte ‘ngrata Mine face Nenna mia ire a trovare.

Le avete capite queste due ultime strofe? Io ve le ripeto: Ah bimba mia sei morta, poveretta ! Quegli occhi chiusi non li apri mai, Ma ancora agli occhi miei tu pari bella, Io sempre ti ho amata ed ora più ancora, Potessi almeno presto morire E sotterrarmi accanto a te, bimba! Addio finestra: resta chiusa Perchè la bimba non si può affacciare, Io più non passerò da questa strada ; Vado al Camposanto a passeggiare Fino al giorno che la morte ingrata Mi fa la bimba ire a trovare. Ditemi, chi mai ha scritto poesia più bella, più spontanea e più commovente di questa? E come è toccante la musica! Se ne sentì invaghito lo stesso Bellini, che la incastonò nel secondo atto della sua Sonnambula. Fenesta vascia e Fenesta che llucive sono per me i due capolavori della poesia popolare del mondo, forte e grande poesia che non morrà mai, perchè l’ha scritta il cuore di questo popolo buono, im pressionabile, immaginoso, caldo, e che sente profondamente l’amore con tutta la mente sua vivace, con tutto il suo cuore vulcanico, con tutte le forze sue. Per lui l’amore non è capriccio , che , soddisfatto l’acre desiderio , passa , ma è passione che diventa più viva col possesso ; non è galanteria, composta di riscaldamento di testa e di prurito sensuale, ma sentimento acuto e incessante di vivere soltanto per la persona che si ama; non è vaghezza libertina d’intrigo passeggiero, ma bisogno pungente di vivere tutta’ la vita insieme’ con la persona che si ama; per lui è un’eresia ciò che dice una canzone francese:

changeons de maitresse tous les jours, s’il le faut, ga n’emjpèche pas les sentiments, perchè per lui non esistono i senti menti, ma il sentimento e l’amore è monogamo e anche geloso; per lui l’amore non è passatempo, ma è gioia e dolore insieme, e ve lo dice, ingenuamente, in quella breve e mesta canzone intitolata: Quanno guaglione non facea l’ammore.

Passiamo ora a Te voglio bene assaie. Il capolavoro che ammalia ancora oggi.

Ali ! si torna potesse allo passato

Quanno guaglione non faceva l’amore.

Chinsto chianto ca mine struje lo core

Io lassarria e tornarria beato.

Ah! si torna potesse lu passato!

Ora udite quest’altra canzone, che ha fatto il giro del mondo, nella quale il povero lazzarone <T una volta raccontava le sue pene d’amore. Nella notte, quando tutti dormono, egli non può dormire, pensando alla sua fanciulla e si sente languire e ode sonare i quarti d’ora ad uno ad uno. Guardami in faccia, dice all’ innamorata, e vedi come son divenuto magro e sfiaccolato, sempre pensando a te. Maledetto quel giorno che ti vidi. Io ti voglio bene assai, ma tu non pensi a me. Per me tutto è finito e la morte se ne viene. Perchè non mi vuoi bene, se io spasimo per te? E finisce cosi: Quando sarò fatto cenere, allora mi piangerai, perchè non troverai un altro innamorato come me. Vedetela nella sua veste genuina, e udite com’ è bello il ritornello che vi campeggia.

Eccola:

Pecche qua mio mine vide

Te ngrife comm’ a gatto?

Nennè che t’aggio fatto

Ca nomine puoje vertè?

Ah! ghiastemmà vurria

Lo juorno che t’ amaje!

Io te voglio bene assaje,

Ma tu non pienz’ a me

La notte lutti dormeno

E io che buò dormì?

Penzanno a  nenna mia Me sento ascevolì,

Li quarte d” ora sonano

A uno a doje a tre…

Io te vogiio bene assaje.

Ma. tu non pienz’ a me.
Tieneme mente’ nfaeoia;

E questa bella e fresca e antica poesia del popolo parla sempre seriamente d’amore, ed ha accenti e movimenti cavallereschi, idee ardite e onerose. Il popolano dice a Retella!

E morenno po’ d’ammore

Mbraccio a te voglio spira.

Ed esclama che sarebbe bello morire sotto il balcone dell’ innamorata, perchè l’anima se ne volerebbe al ciclo e il corpo sarebbe bagnato dalle lagrime della derelitta.

O quaut’ è bello de morire ucciso

Mmocca a la porta de la nnamorata.

L’ anema se ne vola mparaviso

U cuorpo se lo chiagne la scasata

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Bibliografia

https://archive.org/details/napolieinapoleta00delb/page/244/mode/1up

fonte

Il Canzoniere Napoletano – VesuviowebVesuvioweb

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