Il cardinale Zapata (marzo1622)
Nel 1622 il pane a Napoli, come sempre, era immangiabile. Morto il re di Spagna Filippo III[1] nel 1621, regnava sul trono di Spagna Filippo IV[2]. Un giorno del mese di marzo al passaggio del Cardinale Zapata, che sostituiva temporaneamente il viceré di Napoli, alcuni popolani gli si avvicinarono e lanciando una palata[3] (una pagnotta) nella sua carrozza gridarono: «Veda V. S. Ill.ma che pane ci fa mangiare!»
Il mese seguente, narra Giuseppe Porcaro nel libro Apocalisse su Napoli, durante una passeggiata in carrozza, il Cardinale fu avvicinato da un povero uomo, che per impietosirlo gli mostrò un pezzo di pane cattivo, il Cardinale lo allontanò con disprezzo e il poveretto gli disse: «zannettaro cornuto»,[4] al che il Cardinale ordinò alle guardie di arrestarlo. Il poveretto impaurito cominciò a gridare e un gran numero di persone circondò la carrozza. I soldati conoscendo l’ira del popolo lasciarono il prigioniero e il Cardinale si allontanò di corsa.
Ai primi di maggio il Cardinale girava in carrozza per mostrare all’ambasciatore di Spagna i preparativi della festa di Santa Teresa degli Scalzi. Giunto in piazza dell’Olmo si fermò e molti cittadini circondarono la carrozza per mostrargli come il pane fosse cattivo. Il Cardinale, intimorito dalla gente minacciosa, sorridendo lanciò più volte alcune monete per terra. Un popolano offeso dal sorriso del Cardinale gli disse: «Non bisogna che Vostra Signoria se ne rida, essendo negozio di lagrimare!» Intendendo dire che non c’era nulla da ridere ma che era cosa da piangere! La gente incitata da alcuni caporioni cominciò a insultare il Cardinale e a lanciar pietre contro la carrozza. Il giorno dopo, l’ecclesiastico fece arrestare 300 popolani per per offesa fatta al viceré, sedizione e congiura. Tutti i prigionieri furono torturati brutalmente dai carnefici, che gli fecero confessare anche ciò che non era vero. Alcuni furono condannati a morte altri alla tortura, altri alle galere a vita, ossia a remare per tutta la vita sulle galee. Il 1° giugno i primi sette condannati a morte furono denudati e portati su un carro per le strade della città. Di tanto in tanto erano attanagliati e mutilati, e le loro urla disumane, unite alle grida di dolore dei parenti, straziavano la città e la folla ammassata lungo le vie controllate dai soldati. Giunto il corteo a Piazza del Mercato, come da rituale, i condannati furono giustiziati e fatti a pezzi, e i loro resti appesi in gabbie di ferro furono esposti alle porte della città. Le loro case furono distrutte e i ruderi cosparsi di sale. Fu una carneficina, che, come tante altre, esasperavano i Napoletani, costretti da secoli a subire le prepotenze e le ingiustizie dei dominatori.
[1] Figlio di Fillippo II, nacque a Madrid il 14 aprile 1578, morì a Madrid il 31 marzo 1621.
[2] Figlio di Filippo III, nacque l’8 aprile 1605 a Vallodolid, morì a Madrid il 17 settembre 1665. Gli successe il figlio Carlo II, nato a Madrid il 6 novembre 1661, morto il 1° novembre del 1700.
[3] A quel tempo si vendevano due specie di pane: il pane a rotolo ossia a peso, e la cosiddetta palata. Il pane a rotolo si vendeva a peso per chi poteva spendere ed era di buona qualità, la palata di forma lunga e più larga in mezzo, era il pane della plebe e dei poveri. Il costo del primo, variava in proporzione del prezzo della farina, l’altra, che si pagava sempre quattro grana (17 centesimi), variava di peso e di qualità secondo le circostanze, e spesso la farina era mescolata ad altre farine non di grano, che procurava malattie e qualche volta anche la morte. Quando la farina scarseggiava e costava di più, i fornai ne approfittavano per aumentare i loro guadagni riducendo il peso della pagnotta (la palata) e mescolando la farina con altre materie. Il rotolo era l’unità di misura dei pesi, corrispondeva a kg. 0,890. Cento rotoli formavano un cantaio; 1000 trappesi formavano un rotolo (il cantatio corrisponde a un quintale; il rotolo a un kg; il trappeso a un grammo).
[4] L’espressione potrebbe derivare da Zanno (termine in uso alla fine del 1700), che significa “uomo da niente”. Oppure da Zanna, Zannuto, ossia “uomo che ha denti molto grossi, storti e deformi”. L’espressione offensiva potrebbe derivare anche da “zannetta”, che era una moneta in uso a quel tempo di bassa qualità per metallo e valore. Essendo facilmente riprodotta dai falsari, veniva rifiutata dai commercianti.
Vincenzo Giannone
Cronache del Regno delle Due Sicilie, Alelio editore, Scafati 2016