Il certificato Covid dell’Ue e i rischi per la libertà
Dall’1 luglio entrerà in vigore il sistema comunitario sui certificati (per vaccini, test o guarigioni) con l’obiettivo dichiarato di facilitare la circolazione all’interno dell’Ue. Per spostarsi non sarà necessario né il vaccino né il possesso di uno dei tre certificati. Ma il sistema rischia di condurre, anche indirettamente, a un restringimento delle libertà personali. Parla alla Bussola l’avvocato Antonio Zama (Filodiritto).
Quanto saranno compatibili il diritto alla libera circolazione nell’Unione europea e il sistema basato sul cosiddetto green pass? Prima vediamo le ultime tappe. Il 14 giugno sono stati firmati dalle autorità comunitarie i due nuovi regolamenti sul “Certificato digitale Covid dell’Ue”, che così hanno ottenuto il loro definitivo via libera. I due regolamenti erano stati approvati cinque giorni prima dal Parlamento europeo rispettivamente con 546 voti a favore, 93 contrari e 51 astensioni (per il testo riguardante i cittadini dell’Ue) e con 553 voti a favore, 91 contrari e 46 astensioni (per i cittadini residenti nell’Ue provenienti da Paesi terzi).
L’obiettivo dichiarato di queste nuove norme è quello di stabilire un quadro comune «per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati Covid-19 interoperabili relativi alla vaccinazione, ai test e alla guarigione […] con lo scopo di agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione durante la pandemia di Covid-19 da parte dei loro titolari», come si legge all’articolo 1 del regolamento valido per i cittadini dell’Ue (a cui ci riferiremo d’ora in avanti). Subito dopo viene aggiunto: «Il presente regolamento contribuisce inoltre ad agevolare la revoca graduale delle restrizioni alla libera circolazione poste in essere dagli Stati membri, in conformità del diritto dell’Unione, per limitare la diffusione del SARS-CoV-2 in modo coordinato».
L’entrata in vigore del sistema comune è prevista per l’1 luglio (con sei settimane di periodo transitorio) e la sua durata è fissata in 12 mesi, fatta salva la possibilità di proroghe. I certificati, come visto, saranno di tre tipi e potranno attestare: o l’avvenuta vaccinazione (per una o più dosi, a discrezione del dato Stato membro che è tenuto comunque a un comportamento uniforme verso i cittadini propri o di altri Stati membri) o il risultato negativo di un test per rilevare il Covid o la guarigione dalla patologia. Ogni certificato potrà essere rilasciato gratuitamente – a richiesta o in automatico – in formato cartaceo e/o digitale, sarà munito di un codice QR e di una firma digitale per la verifica dell’autenticità, da fare attraverso un’infrastruttura ad hoc dell’Ue (un gateway, già operativo dall’1 giugno e predisposto per la connessione dei vari sistemi nazionali).
Va chiarito innanzitutto, anche a futura memoria, che non è necessario né il vaccino né il certificato per spostarsi tra gli Stati membri o all’interno degli stessi. Nella posizione introduttiva del Parlamento europeo si afferma: «Il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati». All’art. 3 si specifica poi: «Il possesso dei certificati […] non costituisce una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione». Si tratta di passaggi da sottolineare perché non sempre nella comunicazione massmediatica risultano chiari e perché è già esperienza diffusa che molti credano, erroneamente, che bisogna vaccinarsi per poter viaggiare. E magari finiscono per prenotare la vaccinazione, quando con una retta informazione – per motivi morali o anche di solo rapporto benefici/rischi – non l’avrebbero fatto.
I possessori dei certificati dovrebbero, in linea teorica, essere meno soggetti a ulteriori restrizioni, come ad esempio la quarantena all’ingresso in uno Stato membro. Questo è il messaggio che è stato passato tra l’altro, nel giorno della firma sui nuovi regolamenti, da David Sassoli (Parlamento europeo), Ursula von der Leyen (Commissione) e António Costa (premier portoghese, in rappresentanza degli Stati membri): «Tutti gli europei hanno diritto alla libera circolazione, anche senza il certificato, ma il certificato faciliterà gli spostamenti, esentando i titolari da restrizioni come la quarantena».
In realtà, per la normativa-cornice approvata, le cose sono più complesse, nel senso che anche i possessori di uno dei tre certificati, sebbene in linea di massima più agevolati, potranno essere sottoposti a restrizioni – quarantena e test compresi – nel caso il dato Stato membro le consideri necessarie alla luce di una peggiorata situazione epidemiologica o della scoperta di una nuova variante del virus. «Le clausole in questo senso sono veramente ampie, perché l’Ue può determinare la cornice ma per il resto lo Stato membro ha la sua libertà», spiega alla Nuova Bussola l’avvocato Antonio Zama, direttore del quotidiano Filodiritto. «Basti vedere i primi due commi dell’articolo 11 – dal titolo Restrizioni alla libera circolazione e scambio di informazioni – del Regolamento approvato dall’Ue. I messaggi sono contraddittori, perché uno può pensare di essere tranquillo con il certificato, invece se poi a settembre si diffonde la variante Delta o un’altra variante si rischia di tornare daccapo, con nuove restrizioni», aggiunge Zama.
Secondo l’avvocato «il problema di questo sistema è che crea dipendenza dal pass. Come sempre non è un’obbligatorietà netta e manifesta, ma è ‘nascosta’ nel senso che potrebbe finire per determinare restrizioni indirette alla libertà di circolazione». Si potrebbe creare quindi un effetto contrario a quello dichiarato. Anche se viene rinnovata la raccomandazione (vedi il punto 19 della Raccomandazione 2020/1475 del Consiglio UE) di non sottoporre a restrizioni come la quarantena i viaggiatori che attraversano frequentemente la frontiera per motivi di lavoro, salute, studio, famiglia, rimane il fatto che la diversa durata dei certificati potrà indurre più persone a vaccinarsi (il tempo di validità dei certificati vaccinali non è stato ancora specificato; per i guariti la validità è invece fino a 180 giorni) per evitare, o comunque limitare, un eventuale obbligo di fare il test ogni due-tre giorni. Obbligo di test su cui, lo ricordiamo, decide il singolo Stato, a seconda delle situazioni. L’Ue evidenzia anche la necessità di ridurre i costi dei test e si impegna a tal fine a stanziare nuovi fondi.
Zama sottolinea anche l’influsso mediatico in relazione al certificato: «Varrà un po’ come per la campagna di vaccinazione. Non c’è stata un’imposizione generalizzata di fare il vaccino anti-Covid, ma di fatto l’esposizione continua ai resoconti giornalistici ha spinto molti a farlo», anche controvoglia. L’avvocato sottolinea poi un’altra possibile negativa ricaduta del sistema dei certificati e cioè che, sebbene esso si concentri sulla circolazione, potrebbe portare a un restringimento alla libertà di partecipazione ad eventi all’interno degli Stati. «Secondo me l’effetto del certificato o di documenti analoghi sarà che i proprietari di locali pubblici come cinema, teatri, ristoranti, eccetera, per sentirsi tranquilli o per presentarsi alla propria clientela come molto attenti alla questione Covid, inizieranno anche loro a richiederlo, nonostante la legge non lo richieda. Lo stesso problema si potrebbe verificare con i parenti dei pazienti in ospedale o nelle Rsa. In teoria oggi la legge non prevede queste storture, ma non si possono escludere visto il modo in cui è stata gestita fin qui la crisi».
Tra le altre criticità sottolineate dal direttore di Filodiritto c’è anche quella del trattamento dei dati personali: «Il testo fa riferimento al Regolamento europeo sulla privacy (Gdpr nell’acronimo in inglese) e quindi ai princìpi della proporzionalità e della minimizzazione del trattamento, ma dà per risolti tutti i problemi di privacy legati alle applicazioni quando in realtà non sono assolutamente risolti».
fonte
Il certificato Covid dell’Ue e i rischi per la libertà – La Nuova Bussola Quotidiana (lanuovabq.it)