Alta Terra di Lavoro

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Il Cesanese del Piglio, la Storia

Posted by on Feb 8, 2017

Il Cesanese del Piglio, la Storia

Alla fine degli anni 50 al Piglio la preoccupazione dei coloni, detti anche “Cioce”, era di fare i mucchi dell’uva, in modo tale che il proprietario del terreno, detto “Scarpa”, che percepiva la corrisposta al terzo o al quarto, prendesse il mucchio con meno uva e con l’uva più brutta. L’altra preoccupazione era, tolta l’uva per fare il vino per casa, vendere l’uva ad un prezzo alto, cosa impossibile perchè quando l’uva era matura i compratori cercavano di pagarla il meno possibile ben sapendo che non poteva rimanere sulla pianta fino a Natale.

Per i proprietari, che tranne qualche eccezione, avevano dato tutti i loro terreni a colonia, la preoccupazione era di scegliere il mucchio con più uva e con l’uva più bella. La maggior parte di loro era in grado, di vinificare tutto il prodotto e non essere presi per il collo al momento della vendemmia, ma per il collo erano presi lo stesso all’avvicinarsi della vendemmia successiva, dovendo “svendere” il non venduto per far posto alla nuova produzione. Allora lamenti vari ed ogni tanto si consolavano canticchiando la famosa strofetta: “Grezzo cafone pieno di malizia. La zappa, la vanga è la tua giustizia. Una bevuta d’acqua di pantano. Zappa, o Villano.”

Per tutto il resto si andava avanti come sempre. Gli asini ragliavano, ce ne erano al Piglio almeno seicento. I trattori non si sentivano, perchè non c’erano. Gli uomini si alzavano alle quattro e con ”le vicinali” andavano a lavorare nei cantieri di Roma. I vigneti, che sembrava non dovessero morire mai, alcuni erano stati piantati centotrentanni prima, invecchiavano e cominciavano a morire attaccati dalla fillossera, apparsa al Piglio solo dopo la guerra.

Però qualcosa di nuovo cominciava a circolare. Un proprietario stava piantando un oliveto ed un vigneto di oltre otto ettari, il più grande appezzamento nei terreni agricoli della campagna di Piglio. Cosa enorme, in riferimento alle piccole dimensioni delle varie colonie. Vedendo il grande che piantava, i piccoli cominciarono anche loro.Dalla Coldiretti di Bonomi venivano appelli alla cooperazione, parola ancora sconosciuta e concetto avversato da una popolazione che davanti a proposte di collaborazione con altri ripeteva “meglio la cenere di casa mia”… Nel passato qualcuno ci aveva provato a fare “un cantinone”, ma poi, sempre qualcuno, era scappato con la cassa, lasciando gli altri a bocca asciutta.

A La Forma , contrada dinamica del Serrone, avevano costituito sulla carta una cantina sociale. Ma La Forma è la quinta essenza delle discussioni e delle divisioni, questo progetto sulla carta era e sulla carta rimase.

Al Piglio, invece, un pò per soggezione di un medico condotto e di un veterinario, ambedue utili a tutti, a cui finivano per Natale e Pasqua polli e altre leccornie, un piccolo gruppo di coloni rossi e bianchi e possidenti, inconsciamente filantropi, decisero di costituire “ la Cantina Sociale del Cesanese del Piglio”.

Il giorno 22 Febbraio 1960, presi per mano dall’organizzazioni sindacali, il piccolo sparuto gruppo si trovò, nello studio del Notaio Serasco, in un vecchio e cadente antico palazzo nel centro di Frosinone alta e apposero le loro firme sull’atto costitutivo della società e sullo statuto. Fu comprato il terreno, fatto il progetto, si appaltarono i lavori ad una serie di società che facevano capo al Dott. Tomassoli, imprenditore pesarese, figlio di agricoltori, grande lavoratore come tutti i marchiggiani. Il Tomassoli aveva capito che dalla terra di Romagna, era possibile esportare in giro per l’Italia il concetto di Cantina Sociale e questo specialmente al sud e al centro, dove operava la Cassa del Mezzogiorno.

Nella vendemmia 1963, a cantina non ancora ultimata, venne effettuato il primo conferimento, che fu di quintali 500. Intanto fatti nuovi venivano a rendere più complessa la già

difficile fase di avviamento: la fìllossera stava completando la distruzione totale dei vigneti del Piglio e dei paesi limitrofi. La legge che trasformava le colonie perpetue in enfiteusi, con la conseguente sostituzione del prodotto in natura con un canone annuo da versare in denaro, pose fine rapidamente al conferimento dell’uva alla cantina da parte dei “possidenti”, inoltre bloccò l’impianto dei vigneti a cui erano obbligati i coloni, per mantenere in vita la colonia, ed impedì ai proprietari di reimpiantare i vigneti sui terreni lasciati incolti dai coloni.

La prima grande crisi economica del paese fece ritardare l’erogazione dei finanziamenti e ridusse gli interventi di completamento e revisione da parte della Cassa del Mezzogiorno. La situazione stava precipitando, i conferitori non venivano pagati puntualmente, così il conferimento annuale dell’uva scese nel 1967 ad appena 1500 qli.

All’avvicinarsi della vendemmia 1968, dopo vari incontri, si arrivò all’assemblea, tenutasi nel vecchio edifìcio dell’asilo, nella piazzetta del castello alto del Piglio. In una freddissima giornata, veniva eletto un nuovo consiglio d’amministrazione con l’incarico di ricontattare i produttori nella zona per valutare i conferimenti, di trattare con l’Ente Maremma, a cui era stata affidata la provincia di Frosinone per il rilancio dell’ agricoltura, e di trattare con Tomassoli convincendolo ad acquistare il Cesanese per la sua azienda Enoselezione dei Vini d’Italia. Tutti si misero in moto e si arrivò alla vendemmia del 1968 con un conferimento di oltre H.14.000 qli.

E’ vero che anche la grandine dette una mano. Il 14 Ottobre, un sgrullone di grandine rese invendibile 1’uva “ai cassettari” e favorendo in tutti i modi i conferimenti e lavorando giorno e notte, si salvò il prodotto e la Cantina Sociale.

I vini prodotti erano eccezionali. Furono vendute all’Enoselezione 100.000 bottiglie ogni anno, in cartoni da 6 bottiglie, che l’Enoselezione consegnò a circa 10.000 famiglie in tutta Italia.

Il Cesanese non era più una piccola cosa di casa, ma incominciava ad essere conosciuto anche molto lontano. I rapporti con l’Ente di Maremma s’intensificarono. Si fecero piani di sviluppo commerciale. Fu rinnovato il consiglio d’amministrazione. Si realizzò una sistemazione delle linee di vinificazione e di conferimento ed un magazzino per l’imbottigliato. Ad ogni socio fu dato un libretto di deposito presso la Cantina , in cui venivano riportati tutti i movimenti dei propri conferimenti. Venne, poi, reso possibile ai soci di comprare i prodotti necessari alla coltivazione, con addebito sul libretto e trattenuta dei relativi importi alla liquidazione dell’uve. Venne presa in affitto la Cantina Sociale di Anagni, preludio alla successiva incorporazione nella Cantina Sociale del Piglio. Venne realizzata una Cantina di rappresentanza e di invecchiamento nel Castello dei D’ Antiochia, dato in uso dal Dottor Salvatori. S’impostò il primo piano per rimpianto di nuovi vigneti per circa 200 ettari , utilizzando i fondi del F.E.O.G.A..

Nel 1972 la base della cooperativa, costituita dai coloni ormai divenuti proprietari e di cui molti avevano anche reimpiantato i vigneti, chiese ed ottenne di avere la guida della Cantina, sostenuti anche in questo dall’Ente Maremma, che si impegnava ad entrare come socia nella Cantina, a fornire un direttore, a nominare un suo rappresentante nel consiglio d’amministrazione e ad assumere con un suo rappresentante la presidenza del Collegio Sindacale. Per risolvere la divisione tra i rossi d’Alleanza contadina e i bianchi della Coldiretti, si stabilì che il Presidente e il Vicepresidente del Consiglio d’Amministrazione, fosse per un mandato il presidente Rosso e il vicepresidente Bianco e per il successivo il presidente Bianco e il vicepresidente Rosso, e così via.

Al rappresentante della Coldiretti andava un Sindaco e l’altro Sindaco andava all’Alleanza Contadina. I Sindaci supplenti andavano all’ Unione Agricoltori. Nel consiglio in linea generale i seggi andavano uno all’Ente Maremma, e gli altri in parte uguali, ai rappresentanti della Coldiretti, dell’Alleanza Contadina e dell’ Unione Agricoltori. Questi accordi portarono alla modifica dello statuto conclusosi dopo vivissimi dibattiti in una memorabile assemblea straordinaria tenutasi presso La Punta del Sud, alla presenza di quasi tutti i trecento soci. L’Ente Maremma per dar corso al suo ingresso nella compagine sociale e al suo piano di aiuti chiese anche l’azzeramento delle liquidazioni dell’uva conferita nel 1971. Il consiglio in carica dette le dimissioni, ma prima di ciò imbottigliò circa 300.000 bottiglie di Cesanese dell’annate 1970 e 1971, depositandole sotto la Chiesa di San Giovanni. In conseguenza di questi eventi ed in presenza di una stagione pessima, che portò ad una riduzione drastica in tutta Italia della quantità di uva prodotta, il conferimento alla Cantina fu di soli 2000 qt , consegnati da pochissimi soci. Fortunatamente c’erano le 300.000 bottiglie sotto la chiesa di San Giovanni. I prezzi di tutti i vini raddoppiarono e la Cantina si salvò per la seconda volta. Sotto la guida del direttore mandato dall’Ente Maremma, Doti Bianchi, e del nuovo consiglio costituito con la forma del “Compromesso Storico”, iniziò la fase ascendente dei conferimenti, dovuta anche a gli oltre 200 ettari di vigneti piantati con il F.E.O.G.A., specialmente da parte delle grandi aziende agricole di Paliano ed Anagni.

Nel 1973 il Cesanese del Piglio ottenne il prestigioso riconoscimento del marchio DOC. Questo dato positivo aveva maggior valore perchè in quei tempi era molto difficile vendere i vini rossi. Era tempo dei bianchi. Per questo in quegli anni furono fatte delle prove di vinificazione dell’uva cesanese in bianco con risultati eccellenti. Si acquistarono nuovi silos portando la capienza ad oltre 60.000 qt .

Si rinnovò parte dell’ attrezzatura e si diede mano ad un progetto per realizzare una nuova Cantina.

Sulla localizzazione iniziarono serrati confronti tra i Rossi, i Bianchi e i grandi produttori.

Si pensò alla localizzazione in siti diversi, e precisamente:

– Anagni presso l’antica Cantina Sociale

– Sull’autostrada tra Paliano ed Anagni, a ridosso delle grandi aziende vitivinicole

– Sulla superstrada Anagni Fiuggi, all’altezza della Trattoria Umbra.

Dopo lunghi e aspri confronti venne deciso di collocare il nuovo edifìcio a ridosso del primo Stabilimento, non tenendo nel dovuto conto i costi rilevanti che si dovevano sostenere. I Pigliesi nonostante ciò, non sono mai stati dei campanilisti, infatti molti non hanno mai apprezzato e condiviso tale scelta.

L’Ente Maremma, divenuto nel frattempo Ersal non fu all’altezza della situazione. Su questi eventi tra i Rossi e i Bianchi, iniziò una lunga discussione tra i giovani leoni e le vecchie guardie, e il desiderio dei grandi produttori che rappresentavano oltre i1’60 del conferimento a contare di più nel consiglio d’amministrazione.

Tutto questo portò ad un’altra combattutissima assemblea, tenutasi in Piglio nei locali dell’ex cinema nel 1986, conclusasi con l’uscita dalla società di un certo numero di soci.

Questi fatti, abbinati al precipitare dei prezzi dei vini rossi ed al crollo dei consumi procapite in tutta Italia ed alla politica d’aiuti economici all’espianto dei vigneti, portò al mancato conferimento dei prodotti dei vigneti di proprietà di alcuni grandi soci.

A cui si aggiunse l’espianto di alcuni vigneti esistenti. A questo si aggiunsero i piccoli, non protetti da nessuno, che vedendo i grandi tagliare incominciarono a tagliare anche loro. Ma i grandi prendevano i soldi e i piccoli nulla, anzi perdevano per le nuove leggi, il diritto di reimpiantare nel futuro i vigneti.

Altro motivo degli espianti era il mancato ricambio generazionale degli addetti ai lavori, specialmente tra i piccoli, quali erano attratti sempre più dall’ allora fiorente industria nel Valle del Sacco, che oggi attraversa serie difficoltà. Caso a parte il rapporto La Selva – Cantina Sociale del Piglio, che era quello di due amanti litigiosi e desiderosi d’andare uno di qua e uno di là, ma sempre più vincolati da desideri occulti e da fatti esterni condizionanti.

A seguito della rottura con gli altri grandi conferitori, la Cantina Sociale del Piglio per avere l’uva e La Selva per aver liquidità per i piani di sviluppo del comprensorio riuscirono a far approvare e deliberare dall’ERSAL un piano per l’acquisizione dei 70 ettari dei vigneti de La Selva a futuro vantaggio della Cantina del Piglio.

Le parti, però, in modo speciale 1’Ersal, non furono in grado di concludere un’operazione bella e di sicuro successo.

I conferimenti scesero da 60.000 qli.del ‘86 a 20.000 circa

dell‘87. L’ampliamento della nuova struttura andava a rilento.

I soldi erano finiti. L’Ersal, divenuta in seguito Arsial, progettatrice e direttrice dei lavori, si eclissava sempre più. Si cominciava di nuovo a sentire aria di bruciato. Anche questa volta però qualcosa incominciava a cambiare.

La vendita di parte del patrimonio di Anagni alleggerì i problemi di cassa. I vini rossi presero a salire di prezzo ed anche i consumi, due bicchieri bevuti al giorno di buon vino rosso, si incrementarono notevolmente. L’esperienze fatte da alcuni soci in proprio in collegamento con la cantina sociale per la realizzazione di partite di Cesanese superiore portarono alla presenza su tutte le guide specializzate del Cesanese del Piglio con più che buoni risultati. Con pazienza e con buona volontà si ricostituì anche un buon rapporto con La Selva , che portò allo smantellamento della Cantina della suddetta, con il trasporto dei serbatoi alla cantina sociale del Piglio, prima in comodato e poi in acquisto, all’affidamento in gestione di 20 ettari di vigneti ed infine all’interessamento dei diritti di reimpianto che La Selva aveva mantenuto. Tutto ciò portò ad una nuova ripresa della Cantina Sociale del Piglio.

Un’ alzata di testa dell’Arsial fece pensare al peggio, ma una pronta risposta da parte della cantina appoggiata dalla consulenza dello studio legale Libonati, mesi d’indagine sul patrimonio sulla contabilità e sulla gestione della Cantina, convinse l’Arsial che l’unico difetto della Cantina era di non essere un abile politicante volta gabbana, di non essere abile negli affari come certi lor signori, che hanno creato seri problemi ai risparmiatori italiani e mandato in fumo tutto il patrimonio agroindustriale italiano.

L’inizio del 3° millennio ci vede ancora protagonisti.

Quest’anno con la modifica al ns. Statuto, rendendo ancora più competitiva tutta la struttura, abbiamo inserito negli scopi sociali della Cooperativa altri tipi di produzioni quali: olio d’oliva, latte e i suoi derivati, miele e quant’altro in termini di prodotti tipici, che meglio rappresentano le caratteristiche uniche e peculiari del nostro territorio, tutto ciò finalizzato ad una maggiore visibilità del territorio.

Altro obiettivo importante da raggiungere è quello di modificare il Disciplinare del DOC, mirando ad ottenere il fregio DOCG, e perchè no magari per primi nel Lazio.

Il momento è propizio, considerato il consenso che sta avendo il nostro CESANESE sul mercato interno, nelle varie manifestazioni nazionali ed internazionali e non ultimo, la presenza su tutte le guide specializzate nel settore enogastronomico. Per ciò che riguarda le attività promozionali sul territorio va menzionata, anche con una certa enfasi la rinata “Strada del Cesanese” la quale, come obiettivo principale, si propone la rivalutazione delle peculiarità tipiche del nostro territorio che vanno dalle tradizioni contadine a quelle culturali, da quelle artistiche a quelle artigianali, non dimenticando in questo contesto la creazione di un circuito enogastronomico, organico e ben definito, finalizzato al raggiungimento degli scopi comuni a tutti i produttori locali, ovvero valorizzazione, promozione, e commercializzazione di tutta l’area del Cesanese DOC.

Oggi il nostro impegno è quello di ottenere nuovi investimenti nel settore vitivinicolo, sul territorio pari ad almeno l’importo che i privati hanno messo sul territorio negli ultimi 5 anni.

Solo a Piglio, dove non si contavano che 3 aziende con una superficie superiore ai 3 Ha , sono state create almeno 7 nuove aziende con una superficie anche maggiore.

Se nel comprensorio del Cesanese sono nati nuovi impianti pari ad almeno 30 Ha qualche merito deve pur essere riconosciuto anche alla Cantina Sociale Cesanese del Piglio.

Grazie all’aiuto di quanti ci sono stati vicini, per la verità sono pochi, e di quanti ci daranno una mano siamo pronti ad affrontare nuove ed intriganti sfide per i prossimi 45 anni. Con questa memoria ci siamo lasciati 5 anni fa…in questo lasso di tempo si è rafforzato il prestigio del cesanese del Piglio che dalla vendemmia 2008 è divenuto prima DOCG del Lazio.

La superficie vitata ha raggiunto i 150 ettari e l’ editoria specializzata ci annovera ormai tra le migliori espressioni enologiche nazionali anche se i responsi di mercato evidenziano una maggiore riconoscibilità verso i Paesi esteri.

Naturalmente non siamo ancora soddisfatti delle cose fatte… pensiamo che il tassello mancante sia quella concentrazione tra produttori ed istituzioni che porta ad un concetto di turismo rurale in grado di far decollare con le proprie singolarità, tutto il territorio. Coscienti che da soli ciò non sia possibile, siamo pronti e fiduciosi nell’affrontare questa nuova sfida, forse più morale che fattiva, consapevoli di dover avere quella sapienza riconosciuta ai fondatori ed amministratori che si sono avvicendati in questi cinquanta anni di storia.

inviato da

Domenico Tagliente

scritto da

Manfredi Berucci

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