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Il “Diavoletto Indipendente” (V)

Posted by on Set 22, 2024

Il “Diavoletto Indipendente” (V)

Il Diavoletto, Anno III, n. 156, 6 luglio 1860

Rivista Politica Trieste 5 luglio 1860.
Da alcuni giorni il Diavoletto manca della sua solita rivista; la colpa però non è tutta nostra; i lettori
si mettano per un momento nei panni di quel povero infelice che è incaricato della redazione di
questa aspra e malaugurata parte, s’investano della di lui posizione, si figurino di vederlo alle prese
coi dispacci telegrafici che rendono vani i suoi sforzi, che le molte volte gli travolgono nella testa le
idee, rovinandogli sotto gli occhi l’edifizio che per avventura aveva preparato per passarlo al proto
della stamperia; si figurino che mentre esso scrive per far coraggio al re di Napoli onde combatta la
rivoluzione, questi invece se la chiama in casa come si farebbe con una amica e con un fratello; si
figuri che mentre sta dettando roba da chiodi contro la politica doppia e viperina di …….. di quelli
che si servono di tale politica, invece il telegrafo batte pace e gioia e alleanze proprio fra gente che
sono lontani le mille miglia dall’intendersi; si figuri tutto questo il lettore, e poi ci dica come si può
scrivere la rivista politica.


I dispacci di questi ultimi giorni ci recarono notizie inaspettate, strane, portentose, inesplicabili
come gli indovinelli della Sibilla Cumana; e quel povero lumicino della ragione che per avventura
ci luce ancora nella testa va offuscandosi dinanzi al caos, a questa babilonia politica che si alza
nell’Italia; noi a tutto quel che nasce, a tuttociò che veggiamo compiersi nella penisola, non
possiamo dar altro nome che quello di commedia – commedia però che minaccia di farsi una
tragedia, della quale gli attori, per nostra sventura, sono nostri fratelli.
E per render felice questa benedetta Italia, per farla grande, per farla potente, come dicono i suoi
moderni campioni, i Titani della sua indipendenza, si comincia dall’inaffiarla di sangue,
dall’ucciderne la sua vera grandezza ch’è il Cattolicismo e la Chiesa, dal metterla alla mercede degli
stranieri chiamativi a liberarla, e, della rivoluzione che si prepara a far tavola rasa d’ogni ordine e di
ogni antica istituzione; a muover guerra ai ricchi, ai preti, ai nobili ed ai principi. Tutto questo però
lettori sia come non detto, anzi scusateci se siamo andati fuori di riga – ma certe cose danno ai
nervi, e per quanto si chiudano occhi ed orecchie, si grida tanto dalla turba violenta, e le vampe
della rivoluzione si alzano già così rosse ch’egli è impossibile il non vedere e il non udire; e in
mezzo a tutto questo subisso noi troviamo uniti nomi che non avressimo mai creduto di vederli a
paro: Garibaldi e Napoleone III, Francesco di Napoli e Vittorio Emanuele di Piemonte, Cavour e
Mazzini….. e tutti chi per amore e chi per forza ballano la tregenda.
Ed è così che si fa l’Italia? – scusate, ma a noi sembra che la si disfi, la si liquefi, per così dire, nel
crogiuolo di tutte le miserie, di tutte le piaghe con le quali il Signore può castigare una nazione.
Nel Vaticano, dicono i fogli, ci si prepara col bordone alla mano per mettersi sulla via già
abbastanza battuta dell’esilio; lo dicono i giornali del Piemonte e quelli di Francia e d’Inghilterra;
ma lasciamo là se sia vero, e se sia o no venuto il tempo in cui l’Italia abbia ad essere funestata da
questa ultima e grande sventura; non dimentichiamoci però, che ad Avignone si lavora a restaurare
il castello dei Papi; e tutto può essere, se tutto omai è permesso.
Continuano le voci di una conferenza per assestare la questione franco-svizzera: anche su ciò
quanto non vi sarebbe da dire? ma è detto tutto quando si ricorda che la Francia ha occupata la
Savoia e dichiarato che non cederà un palmo di terreno a nessuno; questo è parlar chiaro, del resto
belle parole …. e niente più avrà la Svizzera da Napoleone III.
Dinanzi alla questione italiana tutto cede, e perde d’interesse; questa tiene il primo luogo nel campo
politico; infatti oramai possiamo dire d’essere all’ultima fase, e la lotta sarà ora combattuta fra i tre
grandi partiti che dividono la penisola – i conservatori, che hanno per loro la giustizia ed il diritto;
gli unionisti che altro non sono in fondo se non i repubblicani d’altra volta che combattono colle
armi della rivolta; i Cavouriani che lavorano a beneficio del Piemonte, al quale vogliono annettere a
forza di politica e di diplomazia, l’intera Italia, seguitando col comodo sistema delle votazioni e dei
fatti compiuti.
I conservatori pur troppo, benchè molti e in grande maggioranza, per la ragione che la giustizia ed il
diritto non possono essere spenti, i conservatori non hanno il coraggio dei loro nemici; abbandonati
alle sole loro forze dalle potenze, che poggiando sul diritto avrebbero sacro debito di sostenerli,
sono di continuo alle prese colla rivoluzione e colla sfrenata libidine di potere e d’ingrandimento
di cui sono invasi e il governo e la corte di Torino.
La rivoluzione però, sciolto ogni freno, bandisce omai la sua sentenza colla quale colpisce lo stesso
suo alleato – il Piemonte, il quale s’accorge d’essere già troppo innanzi, dovrà così combattere contro
di essa, o camminare sulla stessa via, rinunciando alle simpatie di quelle potenze che ne ammirano
la moderazione. Ed è a ciò che siamo appunto arrivati: la rivoluzione grida da ogni Parte: o con me
o contro di me; ora vedremo cosa potrà fare o soprafare la politica di Cavour!
Cose di Sicilia e di Napoli.
Il Piccolo corriere dice, che i prigionieri politici liberati per lo sgombero del castello di Palermo,
duca di Monteleone, barone Riso, principe Niscemi, principe Giardinelli, ecc.. sono entrati tutti
nell’esercito siciliano come: soldati semplici.
Garibaldi (continua lo stesso foglio) che sulle prime era alquanto alieno dall’annessione immediata,
conosciuto il volere della popolazione, vi accondiscese e lascia pubblicare la legge elettorale, nella
quale è detto che il popolo siciliano non tarderà ad essere chiamato a pronunziare il suo voto per
l’annessione.
Un decreto deve formare fra breve, per l’esercito insurrezionale, un corpo d’intendenti militari,
incaricati di sistemare e dirigere il servizio delle vettovaglie, quello del vestiario e tutti gli altri
servigi dello stesso genere.
Varie piccole spedizioni sono giunte in Sicilia in questi giorni. Il colonnello Fardella arrivò da
Alcamo con 500 uomini e due pezzi di cannone. I fratelli Burgarelli, giunti da Genova a Trapani, vi
organizzarono una compagnia di 100 uomini benissimo equipaggiati e li menarono a Palermo.
(Lombardia)

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