Il “Diavoletto Indipendente” (VIII)
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 159, 10 luglio 1860
Fatti di Napoli.
Scrivono da Lecce alla Triester Zeitung che l’intendente (governatore) di quella citta aveva messo in liberta i prigionieri politici e che li fece venire da se per giustificare i suoi operati. Ma egli dovette fuggire come nel 1848, e questa volta fu scortato da gendarmi a cavallo. Il popolo, che era giunto a conoscenza di ciò, spedi delle staffette per ogni dove onde arrestarlo, il che e riuscito a Brindisi, ove venne abbandonato dai gendarmi. L’intendente riporto tre ferite di coltello ed una ferita ebbe sua moglie. Pero i cittadini più influenti giunsero a salvarlo e si spera che le ferite non saranno mortali.
Notizie giunte dalla costa delle Puglie, e riportate dalla Triester Zeitung, sono molto tristi, perchè il popolo non ha fiducia nella costituzione e perchè si è sparsa la voce che |Messina abbia capitolato.
La caccia contro gli sbirri continua dovunque e pare che si spargerà molto sangue ancora.
– Siamo al grado di dare dettagliati ed interessantissimi particolari sugli ultimi fatti di Napoli, e per maggiore intelligenza dei lettori, li facciamo precedere da alcune spiegazioni intorno ai lazzaroni, e poi in ordine di data, cominciando dal 26 giugno, seguiteremo la narrazione degli avvenimenti.
A Napoli vi sono dei lazzaroni, sedicenti liberali, che si distinguono col nome di Barraccani ossia del quartiere delle Barracche, ch’e a fianco di Montecalvario, e dei lazzaroni realisti o della Santa Fede, che si chiamano Luciani, perchè abitano a Santa Lucia. I lazzaroni del Mercato convien porli in quest’ultima categoria, e son dessi che han preso parte nella reazione del 1848.
Sino dall’anno decorso, i Barraccani (liberali) erano in minoranza, e non potevano far fronte ai
Luciani ed a quelli del Mercato.
Ma gli avvenimenti accaduti nell’alta Italia, i fatti di Sicilia, e l’attitudine del partito liberale, hanno cambiato le forze rispettive dei due partiti.
Togliamo ora i particolari dei fatti dalle corrispondenze dell’Universel:
Napoli 26 giugno. Sino dalle 6 del mattino, si scorgono ovunque crocchi che leggono l’atto sovrano il quale promette anche piu di quanto si aspettava. Del resto, neanche un’esclamazione, ne un segno di approvazione o disapprovazione; e un silenzio veramente sinistro. Piu tardi, i gruppi s’aumentano, ma sempre e dappertutto, lo stesso silenzio, la stessa indifferenza. Da ciò si comprende che vi sia una parola d’ordine.
In fatti si viene a sapere che al caffe d’Europa si distribuiva un piccolo stampato esortante alla
calma, alla dignità ed al disdegno.
(E il programma del comitato rivoluzionario, di cui tenemmo gia parola nel nostro numero
precedente). Meno una certa inquietudine che si legge in tutte le fisonomie, la citta conserva il suo solito aspetto esteriore; pero l’animazione e scomparsa. Non una coccarda, non una bandiera di qualunque sorte.
Verso sera, la folla aumenta; i lazzaroni, in gruppi di dieci a quindici, si mostrano dovunque. Si osserva con dispiacere l’assenza della forza pubblica; solo poche pattuglie deboli si fanno vedere agli sbocchi delle vie vicine a Toledo. Alle 9 di sera in diversi punti della citta si manifestano dei sintomi inquietanti a causa di minacce fatte contro le pattuglie. Il generale Polizzi è fischiato.
Tuttavia l’ordine non viene seriamente turbato, e sin dopo mezzanotte, le vie son piene di tranquilli passeggianti. Ad ora tardissima si da la notizia che Spinelli e riuscito a formare un ministero.
Mercoledì 27 giugno. Eguale silenzio, eguale indifferenza per la risoluzione sovrana.
Verso le 8 ore, la lista dei nuovi ministri e affissa ovunque. Ognuno corre a leggerla, e poi si allontana senza dir parola, come non fosse stato nulla. I gruppi dei lazzaroni che percorrono la città sono molto più numerosi di ieri. Pero nessun grido, nessun atto che manifesti le loro intenzioni.
Rade pattuglie di cavalleria e di cacciatori percorrono la città. Quasi la metà dei magazzeni sono chiusi.
L’aspetto generale dei volti e molto piu grave oggi; e facile vedere che l’ansia va crescendo. Alle 6 e mezzo le LL. MM., venendo da Portici percorrono tutta la citta, dal Serraglio alla Riviera di Chiaja
in calesse scoperto. Nello stesso tempo, la bandiera tricolore e issata su tutt’i bastimenti in rada e sui forti, ed uno scoppio di salve risuona da ogni parte. L’accoglienza e dappertutto rispettosa; dappertutto si leva il cappello come al solito, ma senza gridare, e senza esprimere qualunque sentimento. Alla Riviera di Chiaja, le carrozze del corso si fermano e ognuno si alza e grida: Viva il re! Viva la costituzione! ma anche ciò dopo che i lazzaroni di quel quartiere ebbero emessi gli stessi gridi. Le LL. MM. ritornano al palazzo pel Chiatamane e Santa Lucia, seguiti da una folla immensa di equipaggi e di fiacres. Le grida sono rare, e miste a qualche Evviva all’Italia e persino a Garibaldi. L’abbattimento dipinto sul volto dell’ottima regina fa un’impressione dolorosa: il re si è forzato di sorridere salutando da ogni parte con grazia.
Verso le ore 8, la folla è immensa nella via Toledo; il suo aspetto non e per nulla rassicurante. Si vedono ancora alcune pattuglie di polizia; la popolazione le guarda con aria minacciosa, e bentosto le invita su diversi punti a ritirarsi. La polizia, invece di obbedire, minaccia; viene insultata, ed essa fa fuoco. Presso il Museo Borbonico, si fanno udire una decina di scariche; in due siti di Toledo, ve n’ hanno altrettante. Un solo uomo della folla venne ferito; quasi tutti i colpi furono tirati in aria, e dopo la prima scarica, la polizia fugge ovunque. Un ispettore ed un birro rimangono morti in una stradicciuola di Toledo.
Il sig. barone di Brenier sopraggiunge verso le 8 e mezzo fra il disordine prodotto a Toledo dalle scene avvenute. Egli è acclamato con entusiasmo, deve dalla sua vettura stender la mano a parecchi capi dei lazzaroni. Eran questi i lazzaroni di Montecalvario, cosidetti Barraccani, del partito liberale. Essi sono nemici giurati dei Luciani, realisti, condotti da un certo Merenda, antico segretario generale di Polizia, e da certo Manett, ricco imprenditore di fabbriche. Sono due persone molto malevise a gran parte della popolazione.
In tutto il rimanente della notte, numerose bande del partito rivoluzionario percorrono la citta
gridando a piena gola: Viva Garibaldi! Viva Vittorio Emanuele! Viva l’Italia! Vi si vede gente di ogni classe, ma il maggior numero appartiene al popolo. Si udirono anche favelle estranee al dialetto napoletano, gridare: All’erta cittadini! Animo! coraggio! Una massa di monelli segue quelle bande che si disperdono tosto che mostrasi una pattuglia.
Sono le due dopo la mezzanotte, e le grida non hanno ancora cessato.
(Continua)
Mazzini e Cavour.
Ci perdonino i nostri lettori se torniamo a battere quel chiodo che abbiamo fisso sabbato mattina nelle ultime notizie del Diavoletto. La colpa non e nostra, la e tutta dei ciechi che si ostinano a non vedere le cose come le sono, e dell’Osservatore Lombardo del 5 luglio venutoci da Milano, nel quale appunto troviamo gli argomenti per battere e ribattere quel tal chiodo. In fatti certi splendori repubblicani cominciano a farsi vedere nell’aria, cominciano ad appiccare l’incendio ai vecchi edifici della diplomazia. Se Mazzini mette la sua magra persona sulla scena politica, l’e per qualche cosa; e se in Sicilia fa parlare di se, state sicuri che non passeranno molti giorni, e la parola repubblica fara capolino dalle finestre di Palermo, come fra le guglie del duomo di Milano e le antenne dei bastimenti genovesi.
Ne volete una prova, volete proprio vedere com’e che gia comincia la solfa? Ebbene vi daremo a leggere alcune linee del prefatto Osservatore. Esso, sotto il titolo che abbiamo messo in capo all’odierno scritto, stampa un lungo articolo che non e altro se non che l’apologia della rivoluzione, dello stiletto, delle uccisioni in massa, di Mazzini, e per conseguenza della repubblica una, con Roma per capitale.
L’Idolo del ieri e caduto, ed e preso a sassate; il conte di Cavour non e più l’uomo che ha fatta
l’Italia; esso e diventato un piccolo imbroglione al servizio di Napoleone III; badate che non siamo noi che le diciamo queste cose, ma l’Osservatore Lombardo.
Chi di noi sarà così scemo, seguita l’organo popolare dei milanesi, da ritenere che Napoleone III abbia servito d’istrumento nelle mani di Cavour, anzichè questi a quello?
E lo stesso giornale che accusa Cavour non la perdona ne a Pellico ne a Manzoni – e non vede altro uomo che possa salvare l’Italia che Mazzini, altra spada per difenderla che quella di Garibaldi.
Insomma a dirla corta, e la repubblica che si predica a Milano – come se la prepara in Sicilia. Tutto quel che si fece fu fatto da Mazzini e per la repubblica, e la stessa spedizione di Sicilia fu opera del sacerdote dell’idea.
Chi avesse scritto a Milano queste cose tre mesi fa, sarebbe andato a rischio di farsi lapidare – ma i tempi sono mutati; e Mazzini da lo scacco a Cavour.
La capiranno adesso gli uomini di buona fede dove va a parare tutta la facenda? Al caso non fossero ancora compresi di questa verità, per fargliela capir meglio, ecco per ultima loro altre quattro righe dell’Osservatore Lombardo.
“La cieca ed interessata adorazione pell’ oggidì potentissimo ministro Cavour, non ha migliore e più accetto modo di manifestazione, della contumelia e della calunnia per Giuseppe Mazzini, che noi, non esitiamo a proclamare il primo patriotta italiano.
E più sotto leggiamo “Chi inizio la rivoluzione in Sicilia?…”
“Fu Rosolino Pilo e Corrao, i quali partiti da Londra su d’una sdruscita nave e con quelle poche risorse che loro seppe procurare quell’impenitente finale di Giuseppe Mazzini, furono causa che i Siciliani avessero avuto ad insorgere e Garibaldi ad accorrere alla voce dell’insurrezione. –
“E bensì vero che l’insurrezione della Sicilia avendo sortito esito fortunato, si tento e si tenta di attribuirne l’iniziativa a tutt’altri fuorchè a Giuseppe Mazzini, ma noi non seguiremo il sistema di piccole perfidie adottato in confronto dell’antico partito repubblicano.
“Se l’Italia si fara la dovremo al partito d’azione, a quel partito repubblicano che primo mosse per la Sicilia, che accorse con Garibaldi in aiuto dell’insurrezione e che posto da banda ogni rispetto di diplomazia e di diplomatici cammina diritto alla propria meta, (la Repubblica). Vi basta signori? Eh bene per noi ne abbiamo anche di troppo.
Ultime notizie
Scrivono da Napoli all’Unione di Torino dell’8 luglio: I generali Lanza e Letizia apparecchiano un memoriale per purgarsi dalle accuse dirette contro di essi. Entrambi ricevettero un permesso dal ministro della guerra.
La diplomazia francese e occupatissima nel procurare un’alleanza offensiva e difensiva fra Napoli e Piemonte, ed ora torna nuovamente in campo il piano prediletto di Napoleone, d’una confederazione italiana. La nuova spedizione per la Sicilia e partita sul Washington e sulla Provence.
Il primo porta 1.200 uomini col brigadiere Cosenz, il secondo prese a bordo solo 800 uomini.
Tutta questa gente fu organizzata militarmente prima della sua partenza, sotto gli occhi stessi del governo sardo, che dovrebbe diventare l’ottimo alleato del Re di Napoli.
Il luogo dello sbarco e ignoto; i comandanti hanno seco lettere sigillate che saranno aperte in alto mare. I due vapori hanno seco sei cannoni rigati. I volontarii sono per lo piu Lombardi; inoltre si trovano a bordo dei vapori anche 40 francesi, fra cui 4 ufficiali e 10 sottufficiali. Il signor La Cecilia, un di capo del gabinetto del ministro della guerra Frappolli in Modena, parte in qualità d’aiutante di Cosenz. Lettere di Messina del Courrier de Marseille, parlano d’un falso allarme avvenuto a Messina nella notte del 23 al 24 giugno, in seguito al quale i soldati avrebbero saccheggiato due case.
Gli abitanti avrebbero abbandonata la citta, i consoli si sarebbero rivolti al comandante della città generale Russo, il quale avrebbe risposto di non aver mezzi nelle sue mani per impedire simili casi n avvenire.
– Leggiamo nell’Indép. Belge del 8:
“Lo stato d’assedio, levato a Napoli, tre giorni dopo che fu proclamato, e l’alleanza del governo delle Due Sicilie con quello di Torino, ecco il tema odierno sulle cose d’Italia.
Nulla abbiamo a dire sul primo dei due argomenti. Giustificato dal ristabilimento della pubblica tranquillità, esso e una misura liberale da aggiungersi a tutte quelle che abbiamo gia enumerate e che sono opera dei nuovi consiglieri del re Francesco II. Essa ha il valore di tutti i loro atti: ottima nelle sue disposizioni e per le intenzioni che l’hanno dettata, non portera i suoi frutti se non nel caso che il regime attuale giunga a mantenersi ed a farsi accettare.
Quanto poi all’alleanza di Napoli con Torino, la Francia non cessa di darsi ogni cura per istabilirla, ma a Torino si persiste, sinora almeno, a rifiutarla, esigendo, con ragione, guarentigie estesissime.
Tutta la questione e di sapere se queste guarentigie saranno accordate, e se il governo napoletano potrà senza imbarazzi interni perseverare nella politica italiana e liberale in cui si e posto per iscongiurare la rivoluzione. In due parole, se il re di Napoli regola la sua condotta dietro quella del re di Piemonte, l’alleanza si fara da se, altrimenti abortira. Il re di Piemonte intanto non fara che temporeggiare ed attendere gli avvenimenti”.
Il giornale torinese Les Nationalés pretende conoscere le proposte per istabilire questa alleanza. Il governo di Napoli prenderebbe un doppio impegno. Permetterebbe di mantenere nelle provincie di terraferma la concessa costituzione, e in quanto concerne delle popolazioni, il che implicherebbe persino il riconoscimento dell’annessione al Piemonte, nel caso in cui fosse pronunziato dal suffragio universale.
L’Indépendance ha dettagli sulla situazione deplorabile di Messina. Gli assassinii vi si commettono in pieno giorno e quasi quotidianamente. Una prima scaramuccia ebbe luogo nei dintorni della città tra una colonna di garibaldiani comandata dal colonnello Turr e le truppe regie. Ma non ebbe verun risultato decisivo ne dall’una ne dall’altra parte.[1]
[1] «IL DIAVOLETTO DI TRIESTE», N. 159, Martedì 10 luglio1860.