Il “Diavoletto Indipendente” (XIX)
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 182, 5 agosto 1860
Rivista politica Trieste, 4 agosto
Il convegno di Teplitz continua a tenere occupata l’attenzione e la curiosità dei molti che temono esservi interessati. Da Parigi scrivono ai nostri giornali che Napoleone affetti una certa compiacenza per l’accordo delle due grandi Potenze germaniche, nuovo genere di politica per coprire le sconfitte.
Da Vienna il solito corrispondente dell’ Oss. Triestino fa notare che: “non solo nei due Stati medii della Germania si trovò una perfetta adesione riguardo al comando superiore dell’armata della confederazione, nel caso ch’essa dovesse collocarsi al Reno… ma furono riconosciuti nel modo più completo quei principii che debbono servire di norma comune alla politica dell’Austria e della Prussia in quanto possano essere posti direttamente in questione i possedimenti attuali di questi due Stati”.
La spedizione in Siria è finalmente decisa, e i francesi partiranno alla vanguardia.
Il corpo intero, composto d’armati delle grandi Potenze, sarà, a quanto disse Russell, di 12.000 uomini, e il Constitutionnel annunciò al mondo che l’ordine di partenza per i francesi fu dato.
La Gazzetta di Colonia ricevette nel mese scorso lettere da Vienna nelle quali si conferma la notizia che il re di Napoli avesse scritto all’Imperatore d’Austria onde sollecitare l’appoggio alla domanda che Francesco II stava per fare alle grandi Potenze perchè gli venisse garantito il territorio napoletano. L’Austria avrebbe risposto che non poteva nulla promettere. Infatti dopo quanto
fece, o lasciò fare il re di Napoli in suo nome, e quindi in certo modo esso assenziente, come poteva l’Austria appoggiare una politica, la quale non è altro che la rivoluzione in azione?
Al re di Napoli oramai manca l’appoggio e del partito conservativo e del partito militare, da esso offeso nei suoi capi: e il partito liberale se ne serve a suoi fini onde poscia trabalzarlo dal trono appena che sia venuto il buon momento.
A Napoli era corsa la voce del richiamo dell’ambasciatore francese Brenier – al quale si sostituiva già il maresciallo Pelissier; questa voce fu dichiarata falsa.
Gli emigrati che rientrano in Napoli lavorano a tutta possa per dare l’ultimo crollo ai Borboni, ed a far guerra alla alleanza.
A proposito dell’alleanza si scrive da Torino all’Universel di Brusselles, che una scena singolare ebbe luogo tra Vittorio Emanuele e gli ambasciatori del re di Napoli quando questi ebbero la loro udienza.
Il re di Piemonte dopo i soliti complimenti d’uso avrebbe detto in tuono abbastanza brusco agli inviati Manna e Winspeare:
“Signori, voi mi venite a domandare ch’io fermi Garibaldi nelle sue operazioni militari. Egli è che io lo possa? Scriverò bene una lettera a questo generale per dirgli i miei sentimenti, ma il tutto sta ch’esso mi ascolti: Voi lo capirete, signori, non sono già io che non voglio l’alleanza, ma queste teste di volontarii e l’altra testa che li conduce”.
La corrispondenza che noi abbiamo citata, parlando appunto della lettera che Vittorio Emanuele scrisse a Garibaldi, termina con queste parole, le quali suonarono una vera profezia: Garibaldi marcerà sopra Napoli leggendo la lettera del suo re – e così sembra sia avvenuto.
Abbiamo fatto notare giorni sono ai nostri lettori come in Francia sia stata scoperta una vasta
congiura realista; ora troviamo nei giornali che ebbero luogo degli arresti di versi.
Fra gli arrestati citansi due collaboratori della Gazette de France, un maestro di lingua italiana già affezionato al defunto duca di Orleans, un sacerdote svizzero che avrebbe visitato S. A. R. il conte di Chambord a Lucerna e persino alcune dame delle più distinte famiglie. È pure venuto all’orecchio del senatore Pietri che il principe di Joinville recossi in Isvizzera; e la coincidenza del suo viaggio colla dimora dell’augusto principe, invocato dai voti dei realisti a Lucerna pose la febbre addosso alla polizia francese.
Nell’Unità Italiana di Genova del 31 luglio troviamo che “dopo il trattato del 24 marzo, col quale si cedette Nizza e Savoia continuando l’Impero del Bonaparte e il proconsolato Cavour, nessuna provincia del Piemonte è sicura d’andarsene a letto italiana e di non svegliarsi francese. Con che il Giornale di Genova fa allusione al famoso trattato che si vuole stipulato per la cessione alla Francia della Liguria e della Sardegna, trattato che fu smentito è vero dai giornali ministeriali, ma al quale molti prestano fede, e fra questi l’Unità Italiana.
Corrispondenza del Diavoletto.
Venezia 3 agosto.
“Eglino sono in vista. Già si vedono ad errivare le flotte sardo-napoletane del sig. Giuseppe Garibaldi che viene a liberarci dalle zanne dello straniero entro il mese corrente di agosto; affrettiamoci quindi a dargli aiuto che l’affare in breve sta per concludersi”.
Queste e simili utopie procuransi tutto il giorno di sperperare per Venezia.
Egli è un fatto però essersi talmente acciecata e ridotta irragionevole buona parte della popolazione nella credenza in Garibaldi, molti si portano in sui culmini delle case, in sulle specule e sopra a campanili per iscorgere di lontano (ma di lontano assai!) la flotta nopoletana col sig. Giuseppe Garibaldi in miniatura.
Ma santo Dio, non vi serve più il criterio, o male illusi, per abbandonarvi a simili folie? Non la capite ancora, che per scacciare di casa propria una Potenza come l’Austria, vi vuole un’altra grande Potenza non già i corpi franchi garibaldiani. Per abbattere sette fortezze primarie, sbarcare sul lembo dell’adriatico elemento, tragittare la laguna in mezzo ai cannoni, e fare tante altre belle cose, vi vogliono ben altri che dei Garibaldi!
Forse, un giorno, una volta che i garibaldiani s’abbiano pappolata la Calabria, Napoli e l’intiero Reame, una volta che si presentino a fare una passeggiata sotto i cannoni di Lamoricière, che confinino il Papa a Bussetto, (patria del maestro Verdi), e che dritti per Roma vengano a congiungersi colle Legazioni (impresa un cotal poco difficile e delicata), una volta riusciti in tutto questo ed unitisi alle forze sarde, forse in allora subsperati della superiore approvazione, si potrà tentar di dare un attacco all’Austria, non riflettendo poi che dietro all’Austria si potrebbero ritrovare Prussia, Germania e forse anche madonna Russia.
Ed ora lasciando la politica, e passando a discorrere un poco di ciancie locali, diremo essere fra noi la cronaca piuttosto sterile.
I bagni, risorsa di Venezia nella estiva stagione, in quest’anno – causa la poco riscaldante canicola – vengono pochissimo frequentati. Così pure i casotti – balnearii del Fisola al Lido fanno magrissimi affari.
- I forestieri fra noi concorsi per imprendere questa utilissima cura, se ne ripartirono più reumatizzati che prima, in conseguenza delle continue pioggie e del frigido inconstante clima che in quest’anno ci ha presi a perseguitare.
Anzi, anche l’altra notte, una terribile buffera con insistente pioggia dirotta mista a grandine e a folgori, ha spaventati i dormienti pacifici cittadini.
In onta a ciò, le campagne offrono uno consolantissimo spettacolo, ed il raccolto che fino ad ora fu abbondante, promette di conservarsi tale anche per il seguito. I vignetti procedono lusinghevolmente. Solo occorrerebbe un poco di caldo per maturare i formentoni.
Il commercio seguita però sempre ad essere arrenato, causa l’atmosfera politica.
Il nostro Municipio è sorto a nuova vita dacché siede a podestà il nobil conte Pier Luigi Bembo, benemerito sotto ogni rapporto e zelante progressista economico. Non si vuole con ciò oscurare la fama del solerte ed operoso suo antecessore, cavaliere Marc’Antonio Gaspari, sotto la reggenza del quale, gli affari della comunale economia procedettero anzi con buon ordine e con estese vedute, mostrando questo pubblico funzionario, in ogni tempo ed anche nei più difficili, bravura e coraggio. E ben gli sia guiderdone la nuova onorificenza concedutagli dal nostro Imperatore.
E giacchè siamo a discorrere del Comune, diremo come sia per vedere la luce un’opera dal titolo: “Storia del municipio di Venezia dal 1848 al 1860, nella quale si riveleranno delle grandi verità. Sappiamo intanto che il conte Bembo ed il cav. Gaspari vi avranno una bella pagina.
Questo buon popolo seguita ad assistere con intima convinzione religiosa alle ecclesiastiche funzioni, e sente volontieri le prediche del professore Zinelli nella metropoli di San Marco.
E dal sacro passando al profano diremo come anche la banda militare, che tre volte per settimana seguita a rallegrare le classiche gallerie della gran piazza, incominci ad avere buona corona di aspettatori.
Dell’apertura dei teatri, tranne quello della Fenice che resterà silenzioso, si penserà in seguito, e sarà codesta un’opera veramente meritoria di trarre dall’inedia molte famiglie di professionisti che, causa la chiusura dei teatri, vivono nell’indigenza.
Intanto vediamo che la maggioranza della popolazione concorre in folla al teatro Malibran e vi assiste con piacere alla 15.ma replica della farsa in musica del Codebò, dal titolo La Mascherata. Speriamo che tempi migliori sorgano anche per noi, e che si quietino, gli animi.
Ultime notizie.
Lettera di Napoleone III al conte di Persigny, ambasciatore francese a Londra. Saint-Cloud 25 luglio.
Mio caro Persigny 1
Gli affari mi sembrano tanto complicati, a cagione della mala intelligenza che fu dovunque eccitata dopo la guerra d’Italia, ch’io vi scrivo, nella speranza che un colloquio a cuore aperto con lord Palmerston recherà un rimedio al male esistente. Lord Palmerston mi conosce, e quando io affermo una cosa, vi presterà fede.
Ebbene! Voi potete dirgli da parte mia nel modo più esplicito che dopo la pace di Villafranca io non ebbi che un solo pensiero, un solo scopo, quello cioè di inaugurare un era novella di pace e di vivere nei migliori rapporti con tutti i miei vicini, e specialmente coll’Inghilterra.
Io aveva rinunziato alla Savoia ed a Nizza; solo le annessioni straordinarie del Piemonte mi hanno costretto a ripigliare il desiderio di veder riunite nuovamente alla Francia provincie essenzialmente francesi. Ma mi si opporrà: “Voi desiderate la pace ed aumentate smoderatamente le forze militari della Francia”. Io nego il fatto sotto ogni rapporto.
La mia armata e la mia flotta nulla hanno in sé che presenti un carattere di minaccia. La mia marina a vapore è ben lungi di trovarsi a livello dei nostri bisogni; ed il numero dei vapori non è per nulla eguale a quello dei bastimenti a vela che furono giudicati necessarii ai tempi del regno di Luigi Filippo.
Ho 400.000 uomini sotto le armi; ma detraete da questa cifra 60.000 in Algeria, 6.000 a Roma, 8.000 in China, 20.000 Gendarmi, i malati ed i nuovi coscritti, e vedrete – lo che è vero – che i nostri reggimenti sono di una forza effettiva minore che non erano sotto il regno precedente.
La sola addizione che venne fatta all’armata la fu dalla creazione della guardia imperiale. D’altronde, mentre desidero la pace, mi preme altresì organizzare le forze del paese sul miglior piede possibile; poichè, se gli stranieri non hanno veduto che il lato brillante dell’ultima guerra, io stesso fui testimonio occulare di alcuni difetti e desidero di recarvi rimedio.
Dopo ciò dirò, che da Villafranca ad oggi non ho fatto né tampoco pensato nulla che potesse allarmare chi che sia. Quando Lavalette partì per Costantinopoli, le istruzioni che io gli dava, si limitavano a ciò: usate di tutti i vostri mezzi per mantenere lo statu-quo: l’interesse della Francia è che la Turchia viva per quanto tempo è possibile.
Ora sopravvengono dei massacri in Siria; e si assicura che io sono contentissimo di trovare una nuova occasione per fare un po’ di guerra, o per sostenere una nuova parte.
Realmente la gente mi attribuisce ben poco senso comune. Se io ho immediatamente proposto una spedizione, gli è perchè i miei sentimenti erano i medesimi del popolo che mi ha messo alla sua testa, e perchè le notizie della Siria mi riempiono di indignazione.
Mio primo pensiero però fu quello di concertarmi coll’Inghilterra. Quale altro interesse se non quello dell’umanità poteva obbligarmi a spedire truppe in quel paese? Sarebbe forse perchè il suo possesso aumenterebbe la mia forza? Posso io dissimularmi che l’Algeria, malgrado i suoi futuri vantaggi, è una sorgente di debolezza per la Francia, la quale per il corso di trent’anni le ha consacrato il suo più nobile sangue ed il suo oro ? L’ho detto a Bordò nel 1852 – e la mia opinione è sempre la stessa.
Ho bensì grandi conquiste da fare; ma soltanto in Francia. La sua interna organizzazione, il suo sviluppo morale, l’incremento delle sue risorse, hanno continuo bisogno di grandi progressi; là esiste un campo abbastanza vasto alla mia ambizione e sufficiente per soddisfarla.
M’era difficile intendermi coll’Inghilterra, rapporto all’Italia centrale, perchè io era legato dalla pace di Villafranca; quanto all’Italia meridionale, sono libero da ogni impegno, né chiedo nulla di meglio che un accordo coll’Inghilterra, tanto su questo che su altri punti; ma in nome del Cielo, che gli uomini eminenti, i quali sono posti alla testa del Governo inglese, mettano da parte le piccole gelosie e le ingiuste diffidenze.
Comprendiamoci vicendevolmente in buona fede, da uomini onesti che siamo, e non alla foggia di ladri che desiderano gabbarsi a vicenda.
Per riassumere, ecco il mio intimo pensiero: desidero che l’ Italia ottenga la pace, non importa come, però senza intervento, e che le mie truppe abbandonino Roma senza compromettere la sicurezza del Papa.
Desidererei molto di non essere costretto ad intraprendere la spedizione di Siria, ed in ogni caso, di non intraprenderla solo; in primo luogo, perchè sarà di grave spesa, e in secondo luogo, perchè temo che questo intervento precipiti la questione d’Oriente; ma d’altra parte non vedo come poter resistere alla pubblica opinione nel mio paese, il quale non comprenderà mai che noi possiamo lasciare impunito non solamente il massacro dei Cristiani, ma ancora l’incendio dei nostri consolati, gli insulti portati alla nostra bandiera, ed il saccheggio dei monasteri che trovavansi sotto la nostra protezione.
Vi ho detto tutto quello che penso, senza nulla mascherare né ommettere. Fate della mia lettera ciò che stimerete conveniente.
Vogliate credere alla mia sincera amicizia.
Napoleone.
- Stando a notizie di Torino del 2 e del 3 agosto il ministero sarebbe deciso di aggiornare le trattative con Napoli fino a tanto che non siasi riunito il Parlamento napoletano. Un altro inviato sarebbe spedito a Garibaldi per convincerlo di seguire la politica di Torino. A quanto annunzia l’Opinione, è comparso testè a Parigi un opuscolo intitolato:
“L’unité italienne devant la France et l’Europe”.
In esso è stabilito il principio che la Francia – nel caso che la Sicilia e Napoli dovessero votare la loro annessione al Piemonte – non lo impedirebbe, e che Napoleone si dimostrasse alleato del Piemonte, qualora i nemici dell’Italia vi si opponessero, proteggendo così il principio della volontà nazionale, alla quale egli deve la sua corona.