Il “Diavoletto Indipendente” (XVI)
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 173, 26 luglio 1860.
Il Commercio austriaco.
(Fine. V. i N.ri 164, 168 e 172)
(e) Il numero dei negozianti Austriaci stabiliti al di là dell’Europa è assai ristretto.
I nostri consoli nei paesi transatlantici che potrebbero essere utili al commercio, sono male compensati, e per la più parte onorarii.
Questi, quasi tutti negozianti di estera nazione, alcuni giovani privi di esperienza, affine di avere un titolo, accettano delle funzioni che non possono o non vogliono convenevolmente adempire.
Sarebbe desiderabile che il Governo dasse un maggiore incoraggiamento al commercio in generale, coll’accordare dei premi agli armatori e capitani di bastimenti, collo stipulare nuovi trattati di navigazione e commercio, e col nominare a consoli soltanto uomini d’esperienza, che conoscono bene lo Stato che devono rappresentare.
Si potrebbe esenzialmente destinare alcuni allievi di commercio, come addetti ai consoli nei paesi transatlantici, onde s’iniziassero nella carriera, imparando gli usi ed i bisogni di quelle contrade nei loro rapporti commerciali con noi. Altri se ne dovrebbero prendere a bordo dei bastimenti della marina di guerra impiegati in viaggi di esplorazione o per la protezione commerciale, ed altri ancora si dovrebbero inviare per studiare il commercio pratico a Londra, Amburgo, Nova York, siccome si mandano allievi delle Accademie, ad ispirarsi nei capolavori dell’antichità, a Roma e Firenze.
In questo modo si potrebbe formare il loro gusto ed il loro spirito alle grandi intraprese commerciali, che in altri paesi contribuiscono tanto allo sviluppo del commercio ed all’attività dell’industria.
In Europa cresce giornalmente e si sviluppa sempre più l’industria, talchè presto noi non troveremo più mercati ove sfogare i nostri generi, e perciò si fa sentire imperiosamente il bisogno di trovare al di là dei mari, luoghi di sfogo pei nostri prodotti.
L’appoggio della marina di guerra si farà ognora più necessario, ma desso deve essere continuo e stabile, e non intermittente. Per accordare delle serie garanzie al commercio, abbisognano stazioni navali permanenti e non temporarie, e su ciò crediamo non andar errati.
Quando, grazie alla nostra marina, avremo nuovi mercati ed efficacemente protetti, il commercio troverà il mezzo di esportare degli articoli manufatti a condizioni vantaggiose, e così fra non molto potremo sperare di vedere risorgere anche la nostra marineria mercantile, e rifiorire il languente nostro commercio.
Onde far conoscere vantaggiosamente la nostra industria all’estero, non abbisogna ricorrere ad intermediari, occupati quasi sempre soltanto del loro proprio interesse, ma richiedesi assolutamente che si stabiliscano oltremare degli Austriaci che conoscano a fondo le risorse del nostro Stato, e che il Governo loro fornisca i mezzi occorrenti di investigazione, di comunicazione e la protezione necessaria. Questi soltanto potranno avere cura dei nostri interessi, e potranno procurare i noleggi di ritorno ai nostri bastimenti nazionali, cose queste che non possiamo ottenere da esteri corrispondenti, intesi soltanto al loro proprio lucro.
L’importanza di questi fatti crediamo nessuno vorrà porre in dubbio, come pure l’efficacia d’una valida cooperazione per parte della marina di guerra; ma gli avversarii della marina diranno, che se questa è indispensabile al commercio, ad esso solo spetta di sopportarne le spese. Questo serio argomento però, tenderebbe semplicemente a dividere lo Stato in classi separate, le quali ognuna per sè avesse a pensare al proprio mantenimento ed ai proprii bisogni; ma ciò sarebbe del tutto contrario all’unità, alla fusione degli interessi generali ed ai principii fondamentali della scienza economica. Favorire il commercio di esportazione, non è questo in effetto, contribuire direttamente allo sviluppo dell’ agricoltura e dell’industria nazionale?
Alcuni pretendono ancora, che con una debole marina da guerra la protezione diventi illusoria, e che necessita una flotta imponente, per comandare il rispetto in paesi transatlantici. Per sollevare questi pregiudizi, citeremo un estratto di un memoriale, scritto da un uffiziale di grande esperienza: “È forse necessario di avere una flotta per far rispettare le colonie Europee in China, nel Giappone, sulla costa dell’Africa, in tutte le isole dell’Australia, della Polinesia e nell’Arcipelago dell’Oceano Pacifico? No certamente; una sola corvetta bene armata, sarà sempre sufficiente in quei numerosi paraggi, per reprimere gli abusi e far rispettare la bandiera. Tutti i marinai che hanno rimontato il Tigri sanno che davanti Canton un semplice vapore di 4 cannoni ha bastato per tenere in rispetto tutta la popolazione Chinese che si era rivoltata contro gli Europei”.
Noi a questo aggiungeremo, che in certi paraggi la forza presente e non la lontana è quella che esercita l’influenza, il cannone che tuona e non la politica che minaccia.
In vista di tante considerazioni e di palmari verità, noi siamo sorpresi dell’indifferenza che viene dimostrata dagli uomini competenti per l’incremento ed il completamento della marina militare. Speriamo adunque non sia lontano il giorno in cui tutti gli occhi si apriranno alla luce di questa verità, e che si riconoscerà l’imperioso bisogno di crearsi delle nuove relazioni promosse da grandi e continuate spedizioni, protette dai bastimenti di guerra.
Notizie politiche.
ITALIA. Torino 22 luglio. Leggiamo nell’Armonia:
La sera di sabato, 21 luglio partiva da Torino l’Em. cardinale Corsi, arcivescovo di Pisa. Egli era giunto nella nostra città come prigioniero il 19 di maggio, e fu dichiarato libero il 6 di luglio.
Nessun delitto poterono ritrovare in lui i proprii nemici, e nessun apparente ragione poté darsi della sua prigionia.
I Pisani certamente preparerebbero al loro arcivescovo una bella e festosa accoglienza, e Bettino Ricasoli ne è persuaso, giacchè non ha tardato a mandare avvisi a’ suoi seguaci onde impediscano a preti ed a cattolici di cantare a festa, pel ritorno del proprio Pastore.
Mentre però l’arcivescovo di Pisa ritorna alla sua sede, un altro illustre prelato che il S. Padre nella sua Allocuzione del 13 di luglio chiama vigilantissimus Episcopus, resta ancora prigioniero in Torino.
Si è questi il vescovo di Piacenza, già condannato dai tribunali a quattordici mesi di prigionia per un delitto, di cui la stessa sentenza che lo condanna non seppe precisare l’epoca.
Quando il vescovo di Piacenza abbandonerà Torino sarà per essere tradotto nel
fondo di un carcere insieme coi rei de’ più gravi delitti. E l’egregio prelato aspetta con rassegnazione questo giorno, perché tranquillo nella sua coscienza si fractus illabatur orbis impavidun ferient ruinae.
La Gazzetta del Popolo di Torino, ha da Genova 19 corr. Il console di Napoli qui residente, vero borbonico, è trasferito a Trieste. Egli è cognato del ministro De Martino.
- La Sentinella Bresciana ha da Genova, in data del 19 luglio:
“Mi trovo a Genova: questa sera partiremo alla volta della Sicilia. Il nostro numero sormonta i 6.000 uomini”.
Genova 23 luglio. Il Corriere Mercantile annunzia che a tutto il giorno 19 luglio il numero dei volontari dell’Italia settentrionale e centrale partiti (ben s’intende all’insaputa del governo!) per la Sicilia, ascende a poco meno di 14.000.
Palermo. È sbarcato qui il 15 il distaccamento comandato dal maggiore Siculi, partito da Genova il
10. Il cattivo tempo lo aveva costretto a riparare in un porto di Sardegna.
In un carteggio dell’Unità Italiana di Genova, in data 16 luglio da Palermo, si legge: “L’altra sera è partito il Veloce, vapore mercantile sardo, diretto a Napoli. È stato spedito dal governo siciliano per riportare colà quella parte dell’equipaggio del Veloce di Napoli, che ha mostrato desiderio di ritornare in patria. Nella stessa condizione si trovano parecchi soldati che erano stati imbarcati su quel vapore venuto spontaneamentea Palermo”.
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 175, 28 luglio 1860.
Rivista politica.
Trieste, 27 luglio
I dispacci telegrafici asseriscono e smentiscono i fatti con una sorprendente indifferenza; due giorni fa la Sicilia era sgombra, i regi avevano fatto vela per Napoli, e Garibaldi era re dell’ Isola; ieri ecco che un telegramma ci avverte essere i soldati di Francesco II col loro generale Clary passati da Messina nel forte di questa città; davvero che non si potrà quind’innanzi credere ai fatti se non quando sieno, come le sentenze, passati in giudicato.
E siccome si deve passare da novità in novità, così questa mattina abbiamo dovuto registrare una notizia recataci dai telegrammi riferiti nei giornali di Vienna che porrebbe, se vera, in scena una nuova questione.
Si tratterebbe niente altro che dell’annessione del Genovese e della Liguria alla Francia; patto che questa ammettesse l’annessione della Sicilia al Piemonte. Dopo tutto quello che abbiamo visto, poco ci sorprenderebbe anche un fatto simile; ma non ci sembra però questo né per il Piemonte né per Napoleone il tempo migliore per stipulare e mandare a termine di simili contratti, per quanto il buon volere esista e dall’una e dall’altra delle due parti contraenti.
A Napoli i liberali usano assai largamente della libertà per iscannare i loro avversarii; e mentre il re proclama “che nobile e grande è stato il senno civile di tutte le provincie e della metropoli, il pugnale dei sicarii lavora senza tanti complimenti.
I disordini che insanguinano, quella capitale dal giorno che rinacque alla libertà, sono dai liberali attribuiti a reazionari. Ma finora gli atti ufficiali dimostrano che i reazionari sono le vittime. Ecco un proclama del nuovo ministro dell’interno Liborio Romano, contro le liste di proscrizione, che certamente non sono opera dei reazionarii:
“Corrono ancora elenchi di nomi, che si danno come spie della vecchia polizia, e si vogliono così designare alla pubblica esecrazione. In taluni Comuni del regno si è osato perfino di porre alle stampe di questi elenchi, e di farli trovare affissi per le cantonate.
Io dichiaro esser questa una mena sovversiva di nefanda invenzione. Questi uomini non li ha segnati la pubblica autorità, che pone invece ogni cura in estinguere qualsivoglia sorgente d’odio, e dare alle sole leggi l’impero di vendicare qualsivoglia ingiustizia col punire la nefandezza dei calunniatori.
Indicata dal solo maltalento delle private vendette la infamazione che su di essi si vuol versare, può ferire qualsivoglia più rispettabile ed anoranda persona.
E quindi raccomando ai buoni cittadini di non prestare né credito, né appoggio a questa iniqua perfidia. E dispongo che dovunque s’inibisca e s’incrimini la pubblicazione, l’affissione e lo spargimento di detti elenchi.
Napoli, 16 luglio 1860”.
Quale effetto abbia fatto il presente manifesto del sig. Liborio, se lo sanno gli ultimi dieci ufficiali o commissarii di polizia, massacrati dal popolo napoletano dal nobile e dignitoso contegno.
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 176, 29 luglio 1860.
Lettera dell’arcivescovo di Ciambery al conte di Cavour.
Il venerando arcivescovo di Ciambery volle dare l’addio agli Stati del suo re con un tratto di quel verace amore, da cui sono animati i vescovi cattolici non meno per i governi che per i popoli. Egli scrisse una lettera al conte di Cavour, in cui gli dà alcuni consigli, coi quali gli suggerisce il vero modo di far cessare quella lotta che in questi giorni ferve fra il clero ed il ministero con tanto danno del paese. Si ricordano i nostri lettori che quando monsignor Billet venne a Torino per impugnare nel Senato la legge Siccardi, fu insultato nelle vie di Torino. Il venerabile prelato deplorò la città ove un uomo dai capegli bianchi, un vescovo era insultato in pieno meriggio per le strade. Ecco
la lettera:
Signor Conte!
Ciambery, 11 giugno 1860.
Dò ancora un’occhiata sugli Stati del re prima di separarci. Vedo con profonda afflizione la persecuzione religiosa che infierisce vieppiù ogni giorno in tutta l’Italia. La persecuzione che è così dura per coloro che la soffrono, non è né piacevole, né onorevole, per coloro che ne sono causa.
Prima della nostra separazione oso di permettermi ancora di suggerirle un consiglio che la farà cessare in poco tempo, se ella si degnerà di farne conto.
Non mescoli lo spirituale col temporale; lasci i preti liberi in chiesa ed in sagrestia; non chiegga loro mai ciò che è contrario alle loro convinzioni; lasci loro la cura di pregare, di celebrare la messa, d’istruire i fedeli ed amministrare i sacramenti. Non li costringa ad intervenire alle sue ovazioni; non chieda loro né Te Deum, né benedizioni di bandiere.
Governi senza di loro, e permetta loro di pregare senza di i lei. Rispetti il santuario delle coscienza: le preghiere per forza non le sono utili innanzi a Dio, né onorevoli innanzi agli uomini. In ciò havvi, secondo che mi pare, un mezzo semplice e facile di vivere in pace colla Chiesa. Il Governo vi guadagnerà, e la Chiesa altresì. Ho l’onore di essere con alta considerazione di lei signor Conte Umil.mo ed obb. Servitore
Alessandro, arcivescovo di Ciambery. (Armonia)
Notizie politiche
[…] ITALIA. Torino 25 luglio. Leggesi nel Diritto: Nulla conferma che siavi stata insurrezione a Reggio e nella Capitanata come annunziava la Gazz. di Torino. Anzi abbiamo ragione di credere quella notizia senza fondamento.
- Il Cittadino d’Asti scrive sulle condizioni presenti della Sicilia:
“Le notizie provenienti dalla Sicilia, oltre al narrare già in parte la spedizione Medici, la quale ebbe per effetto lo sgombro totale dell’isola dalle truppe borboniche, sono anche assai rassicuranti pel resto che riguarda l’andamento politico ed amministrativo delle cose. Gli umori inaspriti per un momento vanno quietandosi, e gli animi si riassicurano”.
Altra del 26. Ecco secondo il Paese, le proposizioni che il signor Manna fu incaricato di portare a Torino: “Le nostre particolari informazioni che, senza entrare nei misteri della diplomazia, abbiam motivo a creder esatte, riassumerebbero così le proposizioni dell’alleanza napoletana col Piemonte. In due parti distinte andrebbero divise queste proposte. La prima, risguardante la Sicilia, porterebbe il ritorno dell’isola sotto la dominazione della Casa di Napoli; essa però si formerebbe da sé stessa una particolare costituzione, mediante il Parlamento da convocarsi secondo le regole prescritte nello Statuto del 1812. Fin qui per la Sicilia.
Quanto a Napoli poi la faccenda andrebbe diversamente. Le basi dell’alleanza per quello che concerne il reame andrebbero fondate sui seguenti elementi: Costituzione simile alla piemontese, unità dei pesi e misure, abolizione delle dogane, tariffe daziarie fra le due nazioni sorelle, abolizione dei passaporti fra i sudditi dei due paesi, finalmente scambio di truppe e guarnigioni in talune fortezze dei due reami. Ma come condizione sine qua non a queste concessioni, che il Governo di Napoli farebbe in vantaggio degl’interessi italiani e dell’unità federale della Penisola, sarebbe la ristorazione del dominio napoletano sulla Sicilia, a titoli contenuti nell’atto del 23 giugno”.
- Si parla d’un abboccamento che avrà luogo il 10 d’agosto tra l’Imperatore de’ Francesi e re Vittorio Emanuele a Monaco.
(Bullier)
- L’Espero riferisce che ieri per Torino correva questa voce:
“Tratterebbesi, egli scrive, di una proposta formale di cessione dell’Isola fatta dal Governo napoletano al nostro, a condizione di distogliere il generale Garibaldi da uno sbarco sul continente. Il conte di Cavour avrebbe spaccio contenente la proposta.
“Pare eziandio che mentre la corte borbonica ha fatto queste pratiche presso il nostro gabinetto, abbia mandato un messaggio per uno scopo consimile al Dittatore”.
Milano 27 luglio. La Perseveranza reca il seguente dispaccio telegrafico: “Torino 26 luglio (sera.) – Palermo 23.
Serii combattimenti ebbero luogo nei giorni 16 e 17 davanti a Milazzo tra i regii ed i soldati di Medici. Dei regii, 580 rimasero fuori d’azione: le perdite furono molto minori pei nostri.
Il giorno 19, gran festa popolare pel giorno natalizio di Garibaldi. Nel giorno stesso Garibaldi sbarcò a Patti con 3.000 uomini. Il 20 egli attaccò in persona Milazzo alla baionetta, un accanito combattimento successe tra le due parti, i regii si ritirarono entro il castello.
Depretis, arrivato il 21, è partito subito pel campo. Sirtori fu nominato dittatore, per decreto di Garibaldi, durante la breve di lui assenza”. (Le stesse notizie sono contenute anche nel Corriere Mercantile di Genova del 26)-
Leggesi nell’Unità Italiana di Firenze: “Il tribunale di prima istanza di Firenze, primo turno criminale della camera di consiglio, con decreto 11 stante, nella procedura iniziata contro il prete Paolo Pasquale Magnini, priore al Pino, per parole dette nell’esercizio delle sue funzioni contro l’ordine attuale di cose – dichiarò . Ecco dove vanno a finire i processi contro il Clero: eppure la persecuzione continua, e gli arresti dei sacerdoti si moltiplicano. È questa la felicità del nuovo regno Italiano? (Armonia)
Ultime notizie.
Il corrispondente viennese del patrio Osservatore, il quale va sempre tanto cauto nel dare notizie, e ancora più cauto e prudente nell’emettere giudizii, nell’ultima sua lettera del 26 luglio, ieri inserita nell’Osservatore stesso, ci lascia intravedere più di quanto esso vorrebbe; e se il nostro desiderio non ci conduce troppo presto a quella meta cui tanto agogniamo, crediamo vedere nel citato carteggio l’assicurazione di una alleanza le cui basi furono, per così dire, gettate sotto gli occhi medesimi di Napoleone a Baden-Baden, allorchè il famoso politico appunto attendeva a dividere il principi della Germania per poscia vincerli in separati politici combattimenti, dei quali il Napoleonide è maestro.
Accordi positivi, dei quali i preliminari erano già tracciati, vennero segnati fra i due monarchi; la Germania troverà in essi certamente le basi di quella alleanza che la renderà forte nell’unione, invincibile nella giustizia della sua causa minacciata dai progetti del Napoleonide, pel quale l’Europa dovrebbe essere, a suo credere, né più né meno che una grande Parigi dominata dalla sola sua volontà.
Anche sulla questione della riforma militare nella Germania, è voce che le due maggiori potenze abbiano trovato uno scioglimento che potrà tornare d’alto e vero interesse alla gran patria germanica; le velleità insomma sulle quali basava il trionfo del Napoleonide sono dileguate, e la concordia è nata proprio dal seme che l’Imperatore della Francia sperava dovesse fruttare la discordia.
Da questa parte camminiamo inverso ad uno scioglimento che, se Dio voglia, potrà portare di ben grandi mutamenti.
Abbiamo un dispaccio giunto alla nostra spettabile Borsa iersera, e che riportiamo più innanzi, il quale è un vero indovinello.
E detto in esso che scoppiò una rivoluzione in Avellino; con un combattimento contro le truppe straniere e saccheggio di varie case.
Avellino è una piccola città del napoletano nella Puglia ulteriore: distante poche miglia da Benevento, e a dieci leghe da Napoli.
Di quali truppe straniere intenda parlare il dispaccio chi lo può comprendere? sono desse le regie napoletane composte di svizzeri e tedeschi? Sono le bande di Garibaldi ? E la rivoluzione chi la fece, e in che senso fu fatta? il saccheggio fu opera dei rivoltosi o delle truppe straniere? noi confessiamo che questo dispaccio ci riesce più scuro dei responsi della sibilla.
Da Parigi, lo stesso telegramma reca, che il Constitutionnel assicura dovevasi sabato (ieri) firmare “la convenzione”. Sarà crediamo quella pel collettivo intervento in Siria da parte delle grandi potenze segnatarie del trattato di Parigi; che del resto in vista non eravi nessun altra convenzione da segnare.
A questi chiaro-scuri daranno luce, speriamo, domani i giornali di Vienna e dopo domani quelli di Parigi e di Brusselles, che adesso attendiamo sempre con una specie di curiosità febbrile.
- L’Opinion Nationale asserisce che lo scopo delle operazioni di Garibaldi è ora Napoli; indi, continua: “Evidenti intelligenze tra Garibaldi e l’armata napoletana di terra e di mare precipiteranno gli eventi.
Uno degli ufficiali della marina di Napoli, di cui annunziammo ieri lo sbarco a Livorno, scrive quanto segue ad un membro della sua famiglia che risiede a Parigi, il quale ce ne fece parte. “Domani io parto per Palermo, e calcolo che prima di dieci giorni rivedrò la mia cara Napoli. Potrei dirvene di più, ma me ne astengo.
Comprendetemi”.
Da ciò si vede purtroppo sotto quali influenze sia posto l’esercito napoletano; il vincolo del giuramento è stato rilassato dalla rivoluzione.
- L’Imperatore Napoleone III mandò ad Abd-el-Kader il gran cordone della legion d’onore in ricompensa degli eminenti servigi da lui resi ai Cristiani della Siria.
Vienna 28 luglio. Al direttore della capodogana di Santa Lucia in Venezia, Antonio Dallacqua, fu conferito il titolo di consigliere imperiale coll’esenzione delle tasse.