Il “Diavoletto Indipendente” (XVII)
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 178, 1 agosto 1860
Trieste 31 luglio.
La spada a doppio taglio di cui si serve Napoleone non ha requie un istante; mentre esso fa correre le sue note per tranquillare l’Europa sulle di lui intenzioni, che proclama sempre pacifiche ed intese a consolidare la pace in Europa, d’altra parte attizza il fuoco della discordia, scredita quelli che ieri lodava, e loda i biasimati del dì trascorso.
Visto che lord Palmerston vuole ricamare di cannoni gli orli dei tre regni, e non si stanca dal predicare agli inglesi esser necessario di armarsi e di stare preparati e vigili contro il potente vicino, Napoleone spaccia una nota al gabinetto di S. M. la regina Vittoria per rassicurare i suoi amici del Tamigi ch’esso non ha altra volontà al mondo, né altro desiderio se non quello di vivere la vita della pace e della concordia, a raggiungere il quale scopo, esso lo dice, sono volte tutte le sue cure.
Propone una politica comune riguardo alla questione della Siria; e ora che il Sultano accettò (non poteva farne a meno:) le trattative, a Parigi si sono aperte le conferenze, e sino alla chiusura delle medesime, la Francia non darà l’ordine di partenza alle sue navi, le quali al caso marceranno di conserva coi bastimenti inglesi; così la proposta di una politica comune avrebbe in apparenza il suo scopo; ma in fatto però le truppe di sbarco sarebbero le francesi, ai vascelli inglesi lasciando la parte di spettatori.
In queste conferenze sembra abbiavi parte anche la Spagna; ed è ben giusto, dacché questa potenza, essendo eminentemente cattolica, non poteva essere dimenticata in una questione ove si tratta di vita e di morte dei Cristiani. Nella nota, di cui ci portò il cenno il nostro dispaccio privato di Londra 30 luglio, Napoleone accenna ben anche alla politica che la Francia vuole sia mantenuta in Italia; cioè la politica del non intervento; anche a ciò Napoleone dà il nome di politica pacifica, mentre in fatto non è che una politica eminentemente rivoluzionaria, dacchè alla sola rivoluzione, per questo sistema, è concesso l’agire con piena libertà.
A provare di qual colore e di che genere sia la innocente e candida politica di Napoleone, basti il seguente estratto d’una istruzione dal Governo francese data ad altro dei suoi diplomatici residente presso una delle minori corti della Germania.
Da questa istruzione si vedrà di qual modo Napoleone usi la politica, e come la scienza diplomatica sia volta a danno degli onesti e leali principi della Germania, la quale ora però, grazie al ravvicinamento dell’Austria della Prussia, potrà affrontare le mene coperte o no, che le vengono da oltre il Reno, e che tendono, per quanto il voglia negare il Governo di Napoleone, alla meta cui aspira il nipote del gran zio.
Ma ecco quale ce lo dà la Gazz. austriaca, (togliendolo dal periodico Stimmen der Zeit), l’estratto della famosa istruzione confidenziale:
“Vostra prima cura sarà quella di studiare colla più minuta attenzione la storia della Casa ducale, onde essere in grado di approfittare d’ogni favorevole occasione, per fare delle allusioni alle grandi gesta degli antenati di questa. Nulla havvi che possa maggiormente lusingare la vanità di questi piccoli principi alemanni, non vi hanno mezzi più efficaci per cattivarsi la loro confidenza, non una via più favorevole per raggiungere il vero scopo della vostra missione. Questo scopo voi non lo dovete perdere mai di vista. Converrà dimostrare costantemente al granduca la tendenza della Prussia d’ingrandirsi a spese dei piccoli principati tedeschi. La storia moderna vi fornirà tutti gli argomenti di cui avrete bisogno. La ridicola pretesa di cui si vanta il Principe reggente, di voler rimanere anzi tutto uomo onesto, deve essere screditata con tutti i mezzi. Non risparmiate nulla, non dimenticate nulla! Dite che la Prussia non ebbe mai altra politica che la doppiezza, ch’ella ha sempre saputo dissimulare le sue intenzioni sino al momento di metterle in pratica; fate intendere che, quand’anche il Principe reggente rigettasse ogn’idea d’ingrandimento territoriale, suo figlio sarà più ambizioso, spinto dal partito unitario alemanno, molto influente a Berlino; in una parola, fate comprendere che la Francia soltanto deve volere e vuole il mantenimento dello statu quo in Germania, che il suo interesse le prescrive di opporsi alla formazione d’un grande Stato al di là del Reno, e che val meglio essere l’alleato della Francia, la quale creò tre re in Germania e la quale ne creerà forse degli altri, di quello che divenire un principe mediatizzato, un soggetto della Casa Hohenzollern ecc. *
In una corrispondenza dell’Universel di Brusselles in data di Parigi 26 luglio, troviamo alcuni particolari intorno al conte di Chambord ed alla duchessa di Parma, che in questi ultimi giorni si trovavano a Lucerna.
ll corrispondente di quell’accreditato giornale, mentre annuncia che il duca di Chambord e la duchessa di Parma lasciavano quella città sabbato, nota come l’affluenza dei realisti francesi fu grandissima a Lucerna durante la permanenza in quella città di S. A. R. il conte di Chambord; tutti gli alberghi erano zeppi di forastieri venuti per vedere il discendente di San Luigi; il conte accordò un gran numero di udienze; la sera dell’ultimo giorno della di lui permanenza a Lucerna esso ricevette, e la signora duchessa di Parma fece gli onori della casa; gli invitati erano compresi d’un senso di profonda emozione allo spettacolo di questi due principi esuli, di questo fratello e sorella che il destino sembra abbia voluto legare ancora più strettamente coi vincoli del dolore.
Ma questi principi nell’esilio seno più grandi d’altri sul trono!
La situazione dei Lombardi.
Per conoscere in quale stato si trovino attualmente i Lombardi, non conviene già leggere i giornali che si stampano a Torino ed a Milano, ove si cerca naturalmente di coprire possibilmente con un fitto velo ogni calamità ed ove si descrivono, con vivi colori le nuove delizie del paese. Le grida di dolore trovano eco solo in fogli stranieri, ed è da essi che talvolta conviene togliere le notizie per formarsi una chiara idea della vera situazione in cui si trovano quegli abitanti.
Per oggi ci piace tradurre dalla Gazzetta universale d’Augusta, la seguente corrispondenza di Milano di data 25 luglio:
“Il malcontento del popolo della campagna si è aumentato in tanta misura, che si venne finalmente a pubbliche dimostrazioni.
* Questa segreta istruzione per un agente diplomatico francese presso una piccola corte di Germania è contenuta nell’ ultimo fascicolo dell’opera periodica Stimmen der Zeit (Voci del tempo) pagina 66. L’autore non dà che quest’estratto per riguardi facilmente comprensibili, ed assume ogni guarentigia per l’autenticità di queste parole.
Domenica scorsa ebbe luogo per esempio a Bollate, provincia di Milano, una formale insurrezione. I contadini, armati di fucili e di sciabole percorrevano le vie gridando:
“Morte ai Piemontesi! via questi pitocchi, che vogliono arricchirsi a nostre spese! Evviva l’Austria” ecc.
La cosa s’avanzò tanto che si dovette spedire da qui dei militari per far cessare quei tumulti. Ciò riuscì pel momento. Si fecero degli arresti, ma nulla giovò, imperciocché ieri il tumulto incominciò da capo ed in proporzione molto maggiore. Si eressero persino delle barricate. Le particolarità di questa rivolta non sono ancora conosciute, avendo il Governo dato il più severo ordine alla stampa di qui di non fare il benchè minimo cenno di ciò. E non solo a Bollate, ma anche a Brusaglio, a Cruspiate, a Rho, Gallarate, Cuggiono, tre grosse borgate della provincia di Milano, ebbero luogo ieri e l’altro ieri i medesimi tumulti. Si parla persino d’una spedizione d’artiglieria.
L’intervento armato del militare potrà naturalmente sopprimere queste rivolte, di ciò non è a dubitarsi; certo è però che il popolo di campagna di tutta la Lombardia non si mostrerà mai soddisfatto del Governo modello del Piemonte, e basterebbe una scintilla per imfiammare quelle singole scene onde aumentarle ad un incendio generale.
Anche nelle vicinanze di Brescia ebbe luogo in un villaggio una dimostrazione ostile al Governo sardo. Ivi era venuta da Brescia una schiera di ragazzi con alla testa la bandiera tricolore. I contadini, vedendoli, si scagliarono contro il piccolo portabandiera, gli strapparono il vessillo dalle mani, lo lacerarono pronunciando parole di scherno, e vi scacciarono i ragazzi. Ma anche a Milano le cose non camminano con grande calma. Il pubblico è irritato pel procedere lento e dubbioso del ministero, il quale obbedisce solo agli ordini della Francia, e si piega devoto dinanzi a questa”. […]
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 179, 2 agosto 1860
I risultati di Teplitz.
La Presse di Vienna riceve da Berlino in data del 28 luglio, delle interessanti comunicazioni intorno ai risultati ottenuti a Teplitz.
Tralasciando le considerazioni del corrispondente, noi citeremo solo i passi principali di quel carteggio. Dopo aver descritto i timori che s’erano sparsi in Prussia per questo convegno, l’autore dice che dopo il ritorno del Principe reggente e dei suoi ministri a Berlino, quei timori si sono in gran parte dileguati. Il discorso del Principe reggente, diretto alla deputazione dei prussiani che si trovavano a Teplitz, e nel quale si espresse con tuono risoluto di voler insistere sulla via intrapresa nella politica pel bene della Prussia, della Germania e dell’Europa, fece un’impressione molto favorevole, e le dichiarazioni decise della Gazzetta ufficiale prussiana, calmarono i timori insorti per le conseguenze di Teplitz. Ai timori subentra ora la curiosità di conoscere quanto fu ivi pertrattato.
Il corrispondente crede essere in caso di riferire quanto avvenne a Teplitz senza allontanarsi molto dalla verità. È vero che a Teplitz non fu sottoscritto alcun trattato, nessun patto formale, nessuna alleanza a morte evita, ma gli accordi che vi furono presi si riferiscono a determinate eventualità, stanno in istretta relazione cogl’interessi dell’equilibrio europeo, e sorpassano di molto una semplice cointelligenza.
Fu detto che la Prussia abbia assunto una specie di garanzia per l’attuale possesso dell’Austria in Italia, e ciò in riguardo agli avvenimenti che si preparano in quella penisola, ma si dimenticò che una grande Potenza non può assumere una tale garanzia premesso che questa le sia stata offerta. Potrebbe essere vero all’incontro quanto si assicura che a Teplitz si prese di mira l’eventualità d’un attacco su Venezia, e che in tale riguardo furono presi degli accordi precisi.
Fino a tanto che fossero i soli italiani quelli che si mettono in lotta contro l’Austria, la Prussia non si troverebbe obbligata di uscire dalla sua posizione di osservatrice. Ma se gli eventi di guerra prendessero una piega che avesse per conseguenza un altro intervento della Francia, se le legioni napoleoniche dovessero discendere una seconda volta dalle Alpi, la Prussia considererebbe in ciò una seria minaccia all’equilibrio europeo, e si troverebbe costretta ad agire. E qui sta la massima difficoltà. Se in tale caso la Prussia deve aiutare l’Austria, non solo deve raccogliere tutte le sue forze, ma essa abbisognerebbe pure di tutte le forze della Germania, il che è impossibile per la Prussia coll’attuale costituzione militare della Confederazione.
A Teplitz fu quindi conchiuso un compromesso secondo cui – nel caso d’un altro intervento della Francia in Italia contro l’Austria – l’armata federale s’avanzerebbe verso il Reno, e il comando in capo dell’esercito prussiano-tedesco verrebbe affidato al Principe reggente di Prussia in persona. Il significato d’ un tale accordo per l’integrità dell’Austria, per la potenza della Prussia e della Germania, nonchè per l’equilibrio generale, è evidente. Se la Prussia sarà in grado di dichiarare la rinnovazione d’un intervento napoleonico in Italia quale un caso di guerra, la Francia si sentirà pronunziare per la prima volta, dopo la ristorazione dell’Impero napoleonico, le parole: Fino qua e non più avanti!
A Teplitz si pose tosto mano all’opera, e i ministri degli esteri d’Austria e di Prussia compilarono una nota circolare diretta ai Governi tedeschi, in cui questi vengono informati non solo dei concerti presivi, ma si esprime la speranza che vorranno offrire volonterosi la mano nel dare evasione nel senso dei gabinetti di Vienna e di Berlino. Le trattative non verrebbero fatte a Francoforte, ma nella solita via diplomatica, e si spera di raggiungere in tal guisa più presto la meta. Non vi mancherà l’opposizione, ed in qualche Stato medio si faranno varie confutazioni, ma non si può credere che la resistenza duri a lungo, tosto che l’Austria e la Prussia sono d’accordo. L’idea che ciò è l’unica via per formare della Germania una forte Potenza militare, e per porre un argine alle
invasioni della politica napoleonica, farà pure la parte sua, e l’assicurazione dell’Austria di far valere al caso in questo senso la sua influenza sulla Confederazione, farà sparire i dubbii. La visita dell’Imperatore d’Austria a Pillnitz e a Gräfenberg, e la visita del Principe reggente a Dresda sono considerate come conseguenze di certe suscettibilità insorte
S’intende da sè che su tali argomenti fu trattato da un pezzo fra le Corti di Vienna e di Berlino, e che il convegno dei due Monarchi in Teplitz non fece che porre il sugello ai risultati di quelle trattative diplomatiche.
A Teplitz si parlò pure per incidenza anche delle mene in Oriente, ed il Principe reggente avrebbe assicurato che la Prussia s’atterrà in ogni evento sempre ferma alla politica seguita dalle Potenze occidentali nell’anno 1854.
Malcontenti in Lombardia.
Un giornale di Milano, liberale intendiamoci bene, liberalissimo, scrivendo intorno all’amministrazione piemontese ed alla smania che hanno i ministri di Vittorio Emanuele di centralizzare in Torino i poteri, quasi di questa città ne volessero fare una Parigi, vale a
dire il cuore dell’Italia, come quella lo è della Francia, viene a parlare anche della Lombardia al tempo degli Austriaci; e il giornale liberale si degna di riconoscere che “in Italia, le provincie meglio amministrate erano, salvo quanto si riferiva alla polizia (!) quelle dell’Austria, quindi aggiunge in tuono ironico: “e ci si vuol fare il bel regalo dell’amministrazione piemontese”.
Adesso signori, solo adesso v’accorgete che la Lombardia era il paese meglio amministrato dell’Italia? – e solo adesso chiamate un bel regalo! le leggi del Piemonte? – eppure non sono trascorsi che pochi mesi dacché vi godete la sospirata amministrazione dei signori di Torino, si può dire che non ne gustaste fino ad ora che il dolce; abbiate pazienza e v’accorgerete del meglio.
Il giornale liberale mena la frusta sulle spalle dei ministri e domanda ad essi perchè dalle nuove provincie non accettarono quanto avevano di buono, e torna a battere ch’esso crede fermamente non si debba regalarsi alla Lombardia la legislazione e l’amministrazione piemontese.
Dell’unificazione, della centralizzazione poi non vuol sentirne a parlare il giornale lombardo, e su questo proposito par che dica: noi non vogliamo niente di comune coi piemontesi; sentitelo:
“Uno dei motivi di malcontento delle nuove Provincie del Regno, malcontento esistente pur troppo, ma allo stato latente, e che grazie all’imprevidenza del Governo, laddove non vi si ponga pronto ed efficace rimedio, crescerà a suo tempo e darà amarissimi frutti, è l’insana smania di unificazione che tormenta gli uomini di Stato preposti in Piemonte alla direzione della cosa pubblica”.
In quanto poi al presente ministero il giornale di Milano ne fa quella stima che se ne farebbe di imbroglioni noti e conosciuti; senza tanti complimenti cavati i guanti gli getta in faccia l’accusa di abuso di fiducia, e minaccia ad esso la mala fine; ma perchè non si dica che queste le sono nostre invenzioni riprodurremo qui alla lettera il brano che si riferisce ai signori ministri e ciò ad edificazione di coloro che credono al liberalismo di quei piccoli despoti di marsina. “Allorchè gli uomini del Piemonte che sono alla testa del potere in un paese nuovo al regime costituzionale che si dà confidente al re che dà lusinga di poter fare la patria, adoperano la consumata loro esperienza ed abusano la fiducia in essi riposta coll’adoperare ogni sorta di
ministeriali raggiri perchè il Parlamento anzichè essere l’espressione della parte colta ed intelligente della nazione, diventi la servile espressione non già del solo modo di vedere, ma ben anco dei capricci del ministro, corre questi un gravissimo rischio”.
Vedano i nostri lettori che i malumori cominciano e si fanno sentire abbastanza bene per essere in sul principio.