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Il “Diavoletto Indipendente” (XVII)

Posted by on Dic 1, 2024

Il “Diavoletto Indipendente” (XVII)

Il Diavoletto, Anno XIII, N. 177, 31 luglio 1860.

Rivista Politica.

Trieste 30 luglio.

Se è possibile il farlo, tentiamo di raccogliere le notizie intorno alla Sicilia, e diamone delle medesime ai nostri lettori il filo, che davvero avevamo perduto in questi ultimi giorni a causa delle contraddizioni che il telegrafo ci portava ad ogni ora.

Un dispaccio del 20 da Napoli ci recava che Garibaldi era partito da Palermo il 18, un secondo pure da Napoli del 21 ci diceva che il dittatore aveva preso con sé da otto a dieci mila uomini.

E così la partenza di Garibaldi veniva constatata oltre che dai dispacci anche da posteriori notizie. Ove era andato esso? A Patti. A Patti sbarcava infatti con 3.000 uomini il 19: il 20 in persona attaccava Milazzo e dopo vivissimo combattimento costringeva i regi a ritirarsi nel castello della città.

È a notarsi che nei giorni 16 e 17 vi erano già stati diversi combattimenti nei dintorni di Milazzo ove i regi avevano perduti circa 500 uomini.

Le fazioni del 17 e del 20 così sono narrate da una corrispondenza della Gazzetta di Genova. “Garibaldi, lasciando il 18 Palermo, aveva incaricato Sirtori dell’autorità dittatoriale; ma che, arrivato successivamente Depretis, quest’autorità venne a lui trasferita.

La mattina del 17, alle ore 10 italiane, 2.000 regii usciti da Milazzo vennero attaccati presso il villaggio di Archi da quattro compagnie del corpo di Medici, ed obbligati a ripiegare. Alle ore 21 dello stesso giorno i regii hanno tentato di riprendere la posizione perduta il mattino.

Dopo ostinato combattimento, verso le ore 23, alcune compagnie di Toscani e Lombardi, sezione Garibaldi, e cacciatori dell’Etna, hanno caricato alla baionetta il nemico al grido di Casa Savoia; il nemico ha perduto tutte le posizioni e ha lasciato 580 tra morti, feriti e prigionieri. Le truppe di Garibaldi hanno avuto 50 morti, 100 feriti e circa 17 prigionieri. Al pomeriggio del 20, dopo altro vivissimo combattimento, Milazzo fu preso alla baionetta da Garibaldi che comandava in persona. Cinquemila regii con artiglieria e cavalleria sonosi ritirati nel castello. Le perdite furono sensibili: dicesi che Garibaldi venisse ferito al piede, il di lui figlio alla spalla; distinti Siciliani e carabinieri genovesi contansi tra i feriti. Garibaldi ha fatto fucilare parecchi individui di Milazzo che hanno combattuto contro lui”.

E un dispaccio del 26 in data di Genova aggiunge:

“Gravi perdite dei nostri alla presa di Milazzo.

Parecchi abitanti di questa città, partigiani del Borbone, uniti a birri travestiti, gittarono dalle finestre addosso ai garibaldiani olio ed acqua bollente. I carabinieri genovesi soffersero gravemente. Presa la piazza, Garibaldi fece fucilare 39 milazzesi e birri”. Ora veniamo ai dispacci che parlano dello sgombro della Sicilia da parte dei regii:

Qui le contraddizioni sono ancora più potenti.

Abbiamo avuto un telegramma da Napoli del 23, il quale diceva: Milazzo, Siracusa e Messina sono state abbandonate dai regii; il 25 un dispaccio da Londra fa dire a Russell che le truppe napoletane sgombravano la Sicilia; il 26 da Marsiglia il telegrafo reca che Clary aveva evacuata la città di Messina, e si era ritirato nel castello; finalmente in data di Napoli 26 dichiara inesatta la notizia della sgombro della Sicilia, ed assicura che i regii sono tutt’ora in Messina.

Domandiamo ora: sì o no questa Sicilia ha sul suo suolo i soldati napoletani? domandiamo a chi si debba prestar fede?

Manna, l’ambasciatore straordinario di Francesco II di Napoli, da Torino faceva sapere al suo Governo che la alleanza potrà essere contratta, ma che costerà grandi sagrifici.

Vittorio Emanuele consiglia Garibaldi a rispettare il territorio Napoletano. Da ciò può supporsi che in fatti lo sgombro di Sicilia da parte dei regii sia stato ordinato; questo appunto sarebbe il sagrificio di cui parlò l’ambasciatore Manna.

Ma questo abbandono sarebbe avvenuto, o diremo meglio avverrebbe lentamente, e in modo conveniente ad un’armata che non fugge, ma cede in seguito ad una convenzione.

Ecco infatti ciò che leggiamo sul proposito nell’Omnibus di Napoli del 24 corr.

“La più importante notizia di questi giorni è la determinazione presa dal Ministero perchè le milizie sgombrassero Messina. Varii piroscafi sono partiti domenica e lunedì per quella città, e secondo gli uni vuolsi che anco la cittadella sarà sgombrata; secondo altri che vi rimarrà una guarnigione a difesa di quel fortilizio. E così pure dagli uni si dice che le milizie verranno in Napoli, dagli altri che andranno nelle Calabrie.

Aggiungiamo a proposito di Messina, che il Ministero avea dato gli ordini perchè le milizie si tenessero rigorosamente sulla difensiva, ordini che pare non siano stati colà ubbiditi rigorosamente. I combattimenti di Milazzo avranno influito certamente sulla volontà del re; e fors’anche vi avrà influito il contegno dubbio da parte dell’armata e degli ufficiali della marina.

Ma abbiamo sempre Garibaldi, col quale deve parlare il conte Cavour per firmare il trattato d’alleanza fra Vittorio Emanuele e Francesco di Napoli. Garibaldi ed i suoi che non sappiamo se vorranno recedere dalla loro impresa.

Il tempo trascorre intanto, ed a Napoli molti attendono grandi cose…. e non si nasconde nella

capitale del reame la possibilità di una nuova rivoluzione e di una invasione da parte del Garibaldi – l’una cosa seguiterebbe l’altra; e la dinastia borbonica avrebbe trovato nel nuovo sistema di Governo la sua ultima ora”.

Ultimi fatti della Sicilia.

Il famoso romanziere Alessandro Dumas, amico di Garibaldi e della rivoluzione, dettò esso pure una descrizione della battaglia di Milazzo, in una lettera diretta al generale Carini. È una bella pagina di romanzo, degna veramente della penna feconda e vivace dell’ autore del Montecristo. E come tale noi la riferiamo; il sagace lettore saprà accettarla per quello ch’essa vale. Eccola: Milazzo, sabato 21 luglio sera.

Mio caro Carini,

Gran combattimento; grande vittoria; 7.000 napolitani sono fuggiti innanzi 2.500 italiani. (?!)

Ho pensato che questa buona notizia sarebbe un balsamo per la vostra ferita, e vi scrivo sotto il cannone del castello che fa fuoco (molto balordamente, rendiamogli questa giustizia) sulla Città di Edimburgo, e sulla vostra umilissima serva l’Emma.

Mentre Bosco brucia la sua polvere, noi abbiamo il tempo di discorrere. Discorriamo.

Io era a Catania, quando intesi vagamente che una colonna napolitana era partita da Messina, e andava a scontrarsi con Medici, e spedii tosto un messo al console francese di Messina, il quale mi rispose che la nuova era vera.

Noi abbiamo levato l’ancora al momento stesso sperando arrivare a Milazzo per vedere il combattimento.

Il posdomani in effetto al punto in cui entravamo nel golfo orientale, il combattimento era incominciato.

Ecco ciò che avveniva: voi potete credere all’esattezza dei fatti, poichè questi si compivano sotto i miei occhi.

Il generale Garibaldi partito il 18 da Palermo, era arrivato il 19 al campo di Merì, e già da due giorni erano succeduti dei combattimenti parziali.

Appena arrivato, egli aveva passato in rassegna le truppe di Medici che lo accolsero con entusiasmo.

L’indomani all’alba tutte le truppe erano in moto per assalire i Napolitani usciti dal forte e dalla città di Milazzo che occupavano.

Malenchini comandava l’estrema sinistra; il generale Medici e Cosenz il centro; la dritta composta solamente di alcune compagnie non avea per iscopo che coprire il centro e la sinistra da una sorpresa.

Il generale Garibaldi si collocò al centro, cioè a dire nel sito ov’ei giudicava che l’azione sarebbe più viva.

Il fuoco cominciò alla sinistra a mezza strada fra Merì e Milazzo. S’incontrarono gli avamposti Napolitani nascosti tra i canneti.

Dopo un quarto d’ora di moschetteria sulla sinistra, il centro, alla sua volta, si è trovato in faccia della linea napoletana, e l’ha attaccata e sloggiata dalle prime posizioni.

La dritta, nel frattempo, scacciava i Napoletani dalle case che occupavano.

a le difficoltà del terreno impedivano a rinforzi di arrivare. Bosco spinse una massa di 6.000 uomini contro i cinque o seicento assalitori che l’aveano costretto a indietreggiare, e che, sopraffatti dal numero, erano stati obbligati a indietreggiare a lor volta.

Il generale spedì tosto a pigliar de’ rinforzi.

Arrivati che furono, si attaccò di nuovo il nemico nascosto tra i canneti e riparato dietro i fichi d’India. Ciò era un gran svantaggio per gl’ltaliani che non potevano caricare alla baionetta.

Medici, marciando alla testa de’ suoi uomini, aveva avuto il cavallo ucciso sotto di sé. Cosenz avea ricevuto una palla morta nel collo, ed era caduto a terra: si credeva ferito mortalmente, allorchè si rialzò gridando: Viva l’Italia! La sua ferita era fortunatamente leggiera.

Il generale Garibaldi si pose allora alla testa de’ carabinieri genovesi, con alcune guide e Missori. La sua intenzione era di affrontare i Napolitani ed attaccarli di fianco, togliendo così la ritirata ad una parte di essi. Ma s’imbattè in una batteria di cannoni che fece ostacolo a siffatta manovra.

Missori ed il capitano Statella si spinsero allora con una cinquantina d’uomini: il generale Garibaldi era alla testa, e dirigeva la carica: a venti passi il cannone fece fuoco a mitraglia.

L’effetto fu terribile: cinque o sei uomini rimasero solamente in piedi: il generale Garibaldi ebbe la suola della scarpa e la staffa portata via da una palla di cannone; il di lui cavallo ferito divenne indomabile, e fu costretto di abbandonarlo lasciandovi il suo revolver. Il maggiore Breda e il suo trombetta furono colpiti; a fianchi, Missori cadeva sul suo cavallo ferito a morte da una scheggia. Statella restava in piedi fra un uragano di mitraglia, tutti gli altri morti o feriti.

A parte di questi particolari, da tutti si combatteva, e si combatteva valorosamente.

Il generale vedendo allora l’impossibilità di prendere il cannone che avea fatto tutto questo danno di fronte, comanda al colonnello Dounne di scegliere qualche compagnia e di slanciarsi con essa attraverso i canneti, raccomandando a Missori e Statella, appena sormontati i canneti di saltare al di sopra del muro che dovean trovarsi dinanzi, e poscia di slanciarsi sul pezzo di cannone che dovea essere a poca distanza.

ll movimento fu eseguito da due officiali e da una cinquantina d’uomini che il seguivano con molta compattezza e molto slancio, ma allorchè arrivarono sulla strada, la prima persona che vi trovarono era il generale Garibaldi a piedi e colla sciabola in pugno.

In questo momento il cannone fa fuoco, uccide alcuni uomini, gli altri si slanciano sul pezzo, se ne impadroniscono, lo portano via dal lato degl’Italiani Allora la fanteria napolitana s’apre e dà il passaggio a una carica di cavalleria che si avventa per riprendere il pezzo.

Gli uomini del colonnello Dounne, poco abituati al fuoco, si dividono a due lati della strada

in luogo di sostenere la carica alla baionetta, ma a sinistra sono trattenuti da fichi d’India, a dritta da un muro. La cavalleria passa come un turbine: da due lati i Siciliani allora fanno fuoco – la esitanza d’un momento è svanita.

Moschettato a destra ed a manca, l’uffiziale napoletano s’arresta e vuol tornare indietro, ma ecco in mezzo alla via serrargli il passaggio il generale Garibaldi, Missori, Statella e cinque o sei uomini. Il generale salta alla briglia del cavallo dell’uffiziale gridando: Arrendetevi. L’uffiziale, per tutta risposta, gli tira un fendente: il generale Garibaldi lo para, e di un colpo di rovescio gli spacca la gola. L’uffiziale vacilla e vien giù: tre o quattro sciabole sono alzate sul generale, che ferisce uno degli assalitori di un colpo di punta. Missori ne uccide altri due, e il cavallo di un terzo con tre colpi di revolver. Statella mena le mani dalla sua parte, e ne cade un altro. Un soldato, smontato di sella, salta alla gola di Missori, che a bruciapelo gli fracassa la testa con un quarto colpo di revolver.

Durante questa lotta di giganti, il generale Garibaldi ha rannodato gli uomini sgominati.

Egli carica con loro, e mentre riesce di sterminare o di far prigioni i cinquanta cavalieri dal

primo fino all’ultimo, incalza alla fine colle baionette, secondato dal resto del centro, i Napoletani, i Bavari e gli Svizzeri. I Napoletani fuggono: i Bavari e gli Svizzeri tengono fermo un momento, ma fuggono essi pure. La giornata è decisa, la vittoria non è ancora, ma la sarà dell’eroe dell’Italia.

Tutta l’armata napolitana si pone in rotta verso Milazzo, ed è inseguita sino alle prime abitazioni: là i cannoni del forte si uniscono al combattimento.

Voi conoscete la situazione di Milazzo, costruita a cavaliere su di una penisola: il combattimento che avea cominciato nel golfo orientale, si era poco a poco ridotto nel golfo occidentale: ivi era la  fregata il Tuheri, già nominata il Veloce. Il generale Garibaldi rammentasi che egli ha cominato dall’essere marino; si slancia sul ponte del Tuheri, sale sulle antenne e di là domina il combattimiento.

Una truppa di cavalleria e d’infanteria napolitana esciva dal forte per portare soccorsi ai regii; Garibaldi fa dirigere un pezzo da sessanta contro di essi, e ad un quarto di tiro caccia loro la mitraglia. I Napolitani non attendono un secondo colpo e fuggono.

Allora si anima una lotta tra il forte e la fregata. Allorquando Garibaldi vede di essere riuscito ad attirare verso lui il fuoco della fortezza, slanciasi in una scialuppa insieme ad una ventina di uomini, approda, e ritorna fra le fucilate in Milazzo.

Il fuoco di fucileria dura, anche un’altr’ora, dopo di che i Napolitani respinti di casa in casa entrano nel castello.

Io era rimasto spettatore del combattimento sul bordo del naviglio, impaziente di abbracciare il vincitore. Sopraggiunta la notte, mi feci disbarcare, e mentre si sentivano ancora gli ultimi colpi di fucile, entrammo in Milazzo.

È impossibile di concepire l’idea del disordine e del terrore che regnava nella città, che dicesi poco patriottica.

I feriti ed i morti erano sparsi nelle strade, la casa del console francese ingombra di morenti; il generale Cosenz era fra gli altri feriti.

Niuno sapea dirmi dov’erano Medici e Garibaldi. A mezzo di un gruppo di officiali riconobbi il maggiore Cenni, il quale si offerse di condurmi dal generale.

Allora seguendo per la marina, trovammo il generale nel portico di una chiesa, circondato dal suo stato maggiore. Era steso sul vestibolo, col capo appoggiato sulla sella, spossato di fatica: dormiva. Presso a lui stava la sua cena, un pezzo di pane ed una brocca d’acqua.

Mio caro Carini, io mi portava a 2.500 anni fa, e mi trovava al cospetto di Cincinnato…….

  • Messina 23. I ragguagli sulla presa di Milazzo recano che i nostri si sono impadroniti di 5 pezzi d’artiglieria, di una porta e del ridotto del castello. I nostri morti ascendono a 780, quelli dei regii a 1223. Gran numero di feriti da ambe le parti.

Bosco il 21 chiese di capitolare con l’onore delle armi. Garibaldi rifiutò. Fabrizi mosse verso Gesso. I regii l’abbandonarono.

Credesi che Garibaldi muoverà verso Messina con 14 (14?) mila uomini.

Il comandante della fortezza ha ordinato, al console francese, di raccogliere i sudditi francesi che trovansi nella rada. Il console sardo e l’inglese non ebbero ancora simile ordine. Nella notte del 23, per un falso allarme, i regii han fatto un’ora di fuoco.

Credesi che il forte di Milazzo sia caduto. (Tel. della Persev.)

  • Riproduciamo con riserva il seguente dispaccio particolare della Lombardia:

Un ufficiale di Palermo ci comunica il seguente dispaccio speditogli dal suo colonnello: Palermo 24 luglio. Sono ore 9: Il forte di Milazzo è reso, preparatevi alla partenza.

Notizie politiche.

AUSTRIA. Vienna 29 luglio. L’ufficio telegrafico Reuter pubblica una circolare del conte Rechberg sullo scopo del convegno di Teplitz. L’Imperatore d’Austria (vi è detto) manifestò il desiderio di conferire col Principe reggente sulla situazione dell’Europa, e particolarmente sulla questione germanica. In pari tempo viene espressa la speranza che dal convegno risulterà una buona intelligenza fra le due grandi potenze tedesche.

ITALIA. Torino 28 luglio. Pare che le negoziazioni tra il nostro Governo e quello di Napoli siano rotte. I due inviati straordinari partono oggi da Torino.

  • Corre voce, non senza insistenza, che Garibaldi sia sbarcato sul continente napoletano.

Napoli 22 luglio. Tutti i giornali di Napoli parlano dell’alleanza fra quella Corte e il Governo sardo; alcuni, fra questi, e l’Indipendenza Italiana in capo a tutti, hanno degli articoli importantissimi.

L’Indipendenza Italiana crede sapere che il Governo di Napoli non vuole, ad agni costo, riconoscere l’annessione delle Legazioni al Piemonte, ed il Piemonte a volta sua, non vuol riconoscere

nel re di Napoli il diritto di riprendere la Sicilia colla forza.

L’uno non vuol romperla con Roma, l’altro coll’opinione pubblica, e l’Indipendenza Italiana

conchiude, che l’alleanza per questo non si effettuerà; ma che, se anco si effettuasse, si farà col Piemonte ufficiale e non colla nazione. E qui il suddetto giornale fa una distinzione fra l’uno e l’altra, dicendo che col primo si è sempre stati, più o meno, in buone relazioni, ma che è la seconda quella che ora fa la guerra, e che gli ha scacciati dall’isola di Sicilia; al postutto egli non crede nell’alleanza, e non crede si possa effettuare ove venga contratta.

Il Nomade, sullo stesso argomento, ha un lungo articolo nel quale chiaramente dimostra, che se vi ha a sperare per Napoli, è nella alleanza col Piemonte; egli verrebbe a convalidare l’opinione dellIndipendenza Italiana circa alle condizioni dell’alleanza, dicendo che le proposte partite da Napoli non sarebbero che assai limitate e tali da rendere l’alleanza impossibile.

  • Il giornale l’Italia del 23 corrente annunzia, che per ordine governativo sono esiliati dal regno i seguenti individui: il general Nunziante duca di Mignano e il general Ferrara, il colonnello Severino ex-segretario del re, e il generale La Tour, il generale Scaletta, il generale duca di Sangro, il

general Bracco, il comm. Murena, il comm. Scorza e il general d’Agostino ex-presidente dell’accademia delle scienze.

  • Lo stesso giornale parla di gravi fatti che sarebbero occorsi in Avellino. Avrebbe avuto luogo una collisione tra la milizia estera ed il popolo, con molti danni e feriti.

Il contegno dei carabinieri per sedar la soldatesca straniera sarebbe stato assai lodevole. Questi brutti sintomi, che fannosi sentir di continuo e in varie parti, sono fonte perenne di agitazione per tutti i buoni e onesti. Energici provvedimenti dovrebbero esser presi, onde questi ultimi sforzi disperati della reazione non si rinnovino mai più nell’avvenire. Noi non sappiamo con quanta maggiore insistenza raccomandarlo al ministero.

  • Vuolsi che in Gaeta la guarnigione siasi negata a prestare il nuovo giuramento, come han già praticato le altre milizie.

Ier sera, ricorrendo l’onomastico dell’egregio signor Liborio Romano, la città fu di bel nuovo in lumi. Tutti sentono l’obbligo sacro di riconoscenza verso quest’uomo benemerito della patria.

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