Il “Diavoletto Indipendente” (XXI)
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 184, 8 agosto 1860.
I Camaleonti della Toscana.
Cangiano i saggi – a seconda dei casi – i loro pensieri; – e cangiarono anche non pochi in Toscana dal 1849 al 1859. Figuratevi che fra questi saggi troviamo anche Domino Bettino Ricasoli, il commendatore famoso e governatore-dittatore del granducato di Toscana.
I giornali di Firenze misero i piedi sulla coda della vipera, e questa li morse; e in che modo? tanto da avvelenare la cara pace dei loro compadroni.
Fu proprio Guerrazzi che nel Diritto spiattellò certe vecchie storie di certi nuovi liberali, da far venir loro la febbre quartana dallo spavento.
Guerrazzi, assalito dai suoi nemici politici passati e presenti, s’è vendicato di loro in modo da togliere ad essi la frega di prendersela più mai con lui.
Egli ristampa una pagina della storia del 1849, e proprio quella che tratta della ristorazione dei Lorena a Firenze in quell’anno; storia che ricorda i nomi dei moltissimi che lavorarono in quell’opera; ed è appunto di quei nomi ch’esso, il Guerrazzi, presenta l’elenco ai lettori del Diritto, notando che in premio del ristauro granducale e dei generosi sforzi sostenuti per tal causa, l’arciduca Leopoldo, reduce in patria, li insigniva di un apposita medaglia in oro, per gli uni, in argento e bronzo per gli altri a seconda dei meriti.
Fra questi troviamo alcuni di quei tai saggi che cangiano a seconda dei casi; e primo fra essi: Un Ricasoli Guglielmo – un Digny, ora senatore a Torino; il famoso Bettino Ricasoli barone commendatore, ora deputato alle camere di Torino e governatore per S. M. Vittorio Emanuele in Toscana; un Centofanti, un Mazzarosa, un Matteucci ora senatori a Torino, un Ruschi deputato, ed altri molti che si cacciarono innanzi nella grande mangiatoia ministeriale, gridando plagas 1 contro quel Leopoldo del quale dieci anni fa sostenevano le ragioni a piena gola.
E questi sono i saggi, almeno così li giudicano molti. Per noi sono e saranno saggi ed onesti i soldati del duca di Modena che scelsero la via dell’esilio piuttosto che tradire il loro giuramento; lo sono quei soldati ed ufficiali del Veloce, tradito a Garidaldi, che vollero ritornare alla bandiera del loro
re; lo sono coloro tutti che non mettono al luogo della coscienza la propria ambizione, né vendono il loro onore al miglior offerente.
Notizie della Sicilia.
Ricaviamo dal Sémaphore i seguenti particolari sull’entrata di Garibaldi in Messina, recati a Marsiglia col vapore il Neuca, che salpò il giorno 29 luglio da quel porto:
Dopo la presa di Milazzo, Garibaldi e Medici marciarono sopra Messina, ed il 23 luglio circondavano Messina. Il generale Clary, in seguito a nuovi ordini emanati da Napoli, entrò in trattative con Medici, e fu tosto firmata una convenzione.
I 10.000 uomini che erano nella piazza sono stati imbarcati su legni da poletani e trasportati in Calabria. Tale era la situazioni il 25 luglio, ed il generale Medici doveva fare il suo ingresso all’indomani colla sua colonna.
L’autorità di Messina, in presenza della ritirata delle truppe regie, pubblicò due manifesti. Nel primo, invitava i cittadini a ritornare immediatamente nella città per acclamare e celebrare colla loro presenza il nuovoGoverno.
Nel secondo, adorno dello scudo di Savoia, il sindaco invitava i cittadini ad illuminare le loro case per festeggiare l’ingresso del generale Medici.
Il 26, la colonna di Medici entrava solennemente in Messina, accolta dagli abitanti con vive dimostrazioni di gioia. I cittadini rientravano; neppure un colpo di fucile fu tirato. Il generale Clary si ritirò nella fortezza, e le due parti si impegnarono a non venire alle mani per qualsivoglia motivo. Il 27 entrò alla sua volta il dittatore alla testa del suo numeroso stato maggiore. Egli percorse la città, acclamato ovunque da numerosa popolazione. Fin dal suo arrivo si occupò di diversi lavori di fortificazioni da far eseguire, ed emanò diversi decreti relativi all’organizzazione della sua nuova conquista.
1 Dalla Treccani. plagas s. f., lat. [accus. pl. di plaga «battitura»], ant. Nella locuz. dire plagas di qualcuno o qualcosa, parlarne male: al caffè diceva plagas di tutti (Betteloni).
Arrivarono pure gli altri generali, Bixio, Cosenz ecc. con le loro truppe. L’armata di Garibaldi si compone ora di 20.000 uomini almeno; egli ha poca artiglieria, e manca di cavalleria.
Palermo. Il generale Garibaldi ha indirizzato alle sue truppe il seguente ordine del giorno:
Ordine all’esercito.
Meri 19 luglio.
La brigata Medici ha ben meritato della patria. I suoi soldati, assaliti da forze superiori, provarono anche una volta tutto ciò che possono le baionette dei figli della libertà.
I generali di brigata Cosenz, Medici, Carini e Bixio, sono eletti al grado di maggiori generali; il colonnello Eber è promosso al grado di generale di brigata.
L’esercito nazionale in Sicilia si comporrà per ora di 4 divisioni di fanteria della 1.a categoria, d’una brigata d’artiglieria e d’una brigata di cavalleria.
Le divisioni comincieranno a contare dalla 15.a, comandata dal generale Türr. Per la formazione delle brigate delle suddette divisioni, i maggiori generali mi faranno immediatamente le proposte necessarie per la nomina degli ufficiali.
Quind’innanzi l’esercito prenderà il nome di esercito nazionale. Il capo di stato maggiore per il segretariato della guerra è incaricato dell’esecuzione di ciò che precede.
Sottoscritto il dittatore Garibaldi.
Notizie politiche.
ITALIA. Torino 4 agosto. A quanto pare, il conte di Cavour avrebbe chieste spiegazioni al ministro di Prussia, conte Brassier de Saint-Simon, intorno all’abboccamento di Teplitz.
- Abbiamo pubblicata la lettera di monsignor arcivescovo di Ciamberì, al signor conte di Cavour; ecco la risposta data dal signor ministro, a monsignor arcivescovo di Ciamberì.
“Torino 13 giugno 1860.
Ringrazio sinceramente V. Eccel. Dei consigli che si è compiaciuta di darmi prima di compiere l’atto di separazione che deve porre un termine alle nostre relazioni ufficiali. Procurerò di giovarmene, tanto più volontieri in quanto che non ho alcun gusto per la persecuzione, e che non sono niente disposto a vendicarmi presentemente de’ maneggi, che ho dovuto subire nella mia gioventù da certi preti, che invocavano il braccio secolare, per costringermi a seguire le loro dottrine ed a mettere in pratica i loro precetti.
Ma poichè V. Ecc. vuol prendere interesse alla pace della Chiesa negli Stati del re, ardirei pregarla di compiacersi d’indirizzare qualche consiglio a que’ suoi colleghi nell’episcopato che si mettono in aperta rivolta col Governo del loro paese, che ricusano di riconoscere il sovrano che il paese stesso si è dato, che incoraggiscono (sic) la ribellione, sono in corrispondenza (sic) coi suoi nemici all’estero, e cercano di fomentare turbolenze all’interno.
Il Governo rispetta (sic) la Chiesa, ma se i membri del clero, fossero essi vescovi, arcivescovi o cardinali (ne abbiamo delle prove!) violano le leggi e gettano il disprezzo sul re e sulle instituzioni, noi siamo decisi a provocare a loro riguardo l’applicazione delle leggi, quand’anco ciò dovesse farci passare per persecutori agli occhi del partito che predica la tolleranza, allorchè non può mettere
in pratica le massime in virtù delle quali il fanciullo Mortara fu tolto a suoi parenti e gli sposi Madiai furono esigliati dalla loro patria.
Ho l’ onore di essere ecc. Cavour”.
Se ci fosse lecito, dice il Cattolico di Genova, noi domanderemmo ancora al conte ministro quali siano le ribellioni incoraggiate dai vescovi; quali le corrispondenze ch’essi hanno coi nemici esterni; e quali le turbolenze che essi cercano di fomentare all’interno. È col mentire che un presidente dei ministri osa giustificarsi dinanzi alla pubblica opinione? […]
Livorno 2 agosto. Alessandro Dumas è passato oggi da Livorno proveniente da Messina, ed è andato a Marsiglia, a comprare o prendere in affitto un battello a vapore. Invece di fare il di lui viaggio in Oriente, rimarrà a Palermo tutto l’inverno. Egli è salvo miracolosamente. Come sapete, era con il suo klipper nel golfo di Milazzo. Nella notte di sabato e domenica, l’Ettore Fieramosca, della marina napoletana, spenti i di lui fanali, investì il piccolo bastimento di Dumas recandogli danni notevolissimi, senza però portar nocumento alcuno all’equipaggio.
Napoli 30 luglio. Ieri su di un vapore francese partì Nunziante col suo primogenito ed altra persona di compagnia. (Egli è giunto a Parigi)
- Ci si assicura, che per ordine del ministero gli ufficiali di ciascun corpo debbono fare ogni dì due ore di istruzione di catechismo costituzionale alle truppe che comandano.
Napoli 1. agosto. Riportiamo dal Movimento la seguente lettera:
Mio caro amico,
È giunto al Governo il seguente dispaccio da Reggio di Calabria:
“Il 13.mo di linea (napoletano), si è dichiarato per la rivoluzione!”.
Il cav. Stocco è sbarcato in Calabria alla testa di 1.500 volontarii; dovunque si è presentato, fu ricevuto con immensi applausi, e tutti gridano morte alla tirannia.
Il generale comandante la provincia di Reggio chiese rinforzi da Napoli, ma il Governo, che è all’estremo, ha risposto col seguente ordine: Voi avete mezzi, e dovete reprimere i ribelli.
La notte scorsa tutta la truppa è stata sotto le armi. Porzione uscì per la strada.
Governo è nella massima costernazione, e da un momento all’altro si spetta lo sbarco di Garibaldi in Napoli stessa.
Gli ufficiali napoletani, passati al servizio di Garibaldi, raccontano che il comitato nazionale a Napoli funziona con grande attività, preparando il prossimo sbarco di Garibaldi. Per esso vennero già distribuiti 30.000 fucili ai principali patriotti napoletani. […]
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 185, 9 agosto 1860.
La lettera di Luigi Napoleone a Persigny.
Sotto questo titolo l’Armonia di Torino stampa uno spiritoso scritto intorno alla famosa lettera di Napoleone III.
Ecco alcuni brevi e semplici commenti alla lettera che Luigi Napoleone scrisse al suo caro Persigny, sotto la data di Saint-Cloud, 29 luglio 1860, e che noi abbiamo pubblicata in un nostro numero precedente.
“La lettera ha una forma umilissima. La grande nazione non può a meno di sentirsi abbassata nel vedere il suo capo presentarsi all’Inghilterra, come un povero accusato che dice le sue difese ed implora la pietà dei giudici.
Dov’è quel Napoleone III che con sonore parole proclamava l’intervento universale della Francia in tutte le parti del mondo, in cui vi avesse una causa di civiltà e di progresso da sostenere? Dov’ è quel Napoleone III che minacciava di scatenare contro l’Inghilterra le passioni nazionali dell’Impero? Dov’è quel Napoleone III che pochi giorni fa ordinava al redattore del Constitutionnel di scrivere sulla questione irlandese, e proclamare Mac-Mahon re d’Irlanda?
Il povero Luigi s’è visto isolato. A Villafranca avea proposto all’Imperatore d’Austria di chiudere gli occhi, e non vedere ciò che farebbe sul Reno. Francesco Giuseppe rispose: I re legittimi non conoscono questa politica: io sono innanzi a tutto Principe tedesco.
A Baden-Baden ha proposto al Principe reggente di Prussia il predominio dell’Allemagna; e il Principe rispose: Io non amo di usurpare l’altrui; non voglio divenir grande col danno dei miei fratelli.
Alla Spagna ha proposto di farla accettare come la sesta delle grandi Potenze europee, e la Spagna rispose: Mille grazie! Mi contento d’essere quella che sono stata sempre, una delle prime Potenze cattoliche.
Alla Russia ha proposto di andare insieme a curare l’infermo Impero ottomano, presso a dare gli ultimi tratti. La Russia rispose: Ricordatevi di tutto quello che avete scritto e che avete fatto per guarentire l’integrità del Turco.
Il povero Luigi ha battuto a tutte le porte, e nulla. Inoltre ha visto la Germania riunita a Teplitz; ha visto il Belgio fermo nel sostenere la sua indipendenza; ha visto l’Inghilterra mettersi in fretta sulle difese; ha presentito il colloquio di Varsavia tra l’Imperatore d’Austria e lo Czar; non ha trovato nell’interno della Francia che malcontenti; scontento il Clero, scontenti i liberali, scontenti i conservatori; ed essendo a mal partito ha scritto la sua umilissima lettera agli Inglesi.
Questa lettera è il Waterloo di Napoleone III, e l’Inghilterra può andarne superba. L’Imperatore de’ Francesi s’incatenò da sé stesso al suo carro, e se le diè per vinto. E quale peggiore disfatta per un Imperatore che doversi scusare di ciò che fa, e render conto a forastieri delle sue navi e de’ suoi soldati?
Esaminiamo la sostanza della lettera.
Napoleone III incomincia dal dichiarare che le cose sono molto intricate. Ma la colpa di chi è? Chi ha sollevato la questione italiana, la questione di Savoia e di Nizza, la questione d’Irlanda, la questione del dominio temporale del Papa, la questione di Napoli, la questione polacca? Chi ha messo in tumulto tutta l’Europa colla sua audacia e colla sua ambizione? Chi?
Lord Palmerston mi conosce, e quando affermo una cosa egli mi crederà. Ma v’ha conosciuto anche la Russia a Stoccarda, l’Austria a Villafranca, la Prussia a Baden-Baden. V’ha conosciuto l’Italia quando le prometteste di farla libera dall’Alpi all’Adriatico.
V’ha conosciuto il Papa quando gli dichiaraste di volerlo difendere in tutti i suoi diritti di sovrano; v’hanno conosciuto gli Arciduchi d’Italia quando vi obbligaste nel trattato di Zurigo alla loro ristaurazione; v’ha conosciuto l’Europa quando le diceste: L’Impero è la pace.
Povero Luigi! Egli è ridotto a sperare che almeno lord Palmerston lo crederà!
Dalla pace di Villafranca in qua non ho avuto che un pensiero, un fine: inaugurare un’èra novella di pace. Dicevate lo stesso stesso un anno dopo divenuto Imperatore. E poi? Dicevate lo stesso dopo la guerra d’Oriente , sottoscritto il trattato di Parigi. E poi?
Io aveva rinunziato alla Savoia e Nizza. Anzi, dicevate di non averci pensato mai. Lo diceste nelle note diplomatiche prima della guerra d’Italia, lo diceste durante la guerra nel proclama di Milano; lo diceste dopo la guerra nel Moniteur, dichiarando di avere combattuto per un’idea. E poi?
L’accrescimento straordinario del Piemonte mi fece tornare l’idea di vedere riunite alla Francia provincie essenzialmente francesi. Ma se le idee vi passano e vi tornano, chi può dire che voi siate domani quello che oggi siete? Perchè non può tornarvi l’idea di stendervi fino al Reno, o di passare la Manica?
Il mio esercito e la mia flotta non hanno nulla di minaccioso per nessuno. Scusate; avreste dovuto dire l’esercito e la flotta della Francia, non il mio esercito e la mia flotta.
“E poi, il 5 di marzo del 1859, voi dicevate all’Austria precisamente quello che ora dite all’Inghilterra. E in ultimo, signor Luigi, come andò la faccenda?
Per dare un saggio delle assicurazioni del Bonaparte, vogliamo mettere a confronto ciò che scriveva prima della guerra d’Italia, e ciò che ora scrive relativamente agli armamenti della Francia.
Moniteur, del 5 di marzo 1859.
- La Francia, dicesi, fa degli armamenti considerevoli; è questa una imputazione completamente gratuita. L’effettivo normale dello stato di pace adottato, due anni fa, dall’Imperatore non è stato oltrepassato, ecc.
- Napoleone III, 29 luglio 1860.
Mi si obbietterà; voi volete la pace, e aumentate fuor di misura le forze militari della Francia. Nego il fatto onninamente. Il mio esercito e la mia flotta non hanno nulla di minaccioso per nessuno, ecc.”
Chi ha avuto la debolezza di credere alle parole del 5 marzo 1859, andrà un po’ più adagio nell’aggiustar fede a quelle del 29 luglio 1860.
Io l’ho detto nel 1852 a Bordeaux, e la mia opinione è oggidì la stessa: ho grandi conquiste a fare, ma in Francia. A Bordeaux avevate detto che l’Impero era la pace, e invece ha portato la guerra! E le conquiste le avete fatte, ma non in Francia, sibbene in Lombardia, in Savoia ed in Nizza. Dunque ciò che dite nel 1860 sarà vero come ciò che diceste nel 1852.
diceste nel 1852. –
Noi potremmo continuare, e parola per parola appiccare i nostri commenti al resto della lettera del Bonaparte. Ma non ci sembra necessario: quando un Imperatore è obbligato ad esclamare: in nome del Cielo credetemi! questo Imperatore è giudicato.
Una grande conquista che ha da fare Luigi Napoleone nell’interno della Francia, e al di fuori in Italia, in Germania, in Inghilterra, sapete qual è? È il credito; cosa che si conquista difficilmente, quando s’ha la disgrazia d’averlo perduto”.
I combattimenti in Sicilia
Avendo noi pubblicato una serie di articoli col titolo: “La presa di Palermo”, scritti da uno che si trovava nel campo di Garibaldi, crediamo essere nostro obbligo, come storici imparziali, di pubblicare una serie di articoli scritti da un ufficiale straniero che si trovava al servizio dei regii, il quale prese parte a tutti i combattimenti in Sicilia e diresse le sue relazioni alla Gazzetta militare universale Svizzera. Queste comunicazioni gettano in molti rapporti una luce affatto nuova su quegli interessanti combattimenti. Ecco il principio di quella relazione:
Al 15 maggio di sera ci siamo sbarcati in Palermo e fummo acquartierati nella parte detta ai Quattro venti. La guarnigione di Palermo fece su me una ben trista impressione; tutti i soldati erano spossati col nefando sistema del servizio di piazza, il quale consisteva nel tenere continuamente le trupe sotto le armi sulle piazze principali. Il nostro arrivo ravvivò gli spiriti abbattuti delle truppe, e tutti erano contenti nel rivedere i bravi svizzeri. Il giorno dopo dovevamo marciare verso il
palazzo reale; però strada facendoci fu dato un contrordine e fummo nnovamente imbarcati. La nostra destinazione era il villaggio di Castellamare situato a occidente, donde dovevamo partire per Alcamo e Calatafimi, onde appoggiare la colonna del generale Landi, che si era ivi incontrata con Garibaldi. Il generale Landi si ritirò senza esser stato battuto, giacchè solo tre compagnie della sua brigata si trovarono nel fuoco, e nella sua ritirata, eseguita senza motivo, egli perdette della gente, Di notte arrivammo alla nostra destinazione, e s’incominciò lo sbarco, però molto lentamente, per mancanza di barche grandi e pel cattivo tempo. Appena sbarcati rilevammo la ritirata di Landi e ricevemmo l’ordine da Palermo di ritornare; però il colonnello Michel volle passare la notte nel villaggio, allo scopo di dare un aiuto al generale suddetto nel caso che dovesse ritirarsi per Castellamare. Io dovetti quindi prendere con mezzo battaglione il comando degli avamposti, il che non era cosa facile nell’oscurità e senza conoscenza del terreno. Il villaggio era stato abbandonato dalla popolazione, la quale s’era accampata sulle vicine alture. La mattina c’imbarcammo nuovamente e la sera del 17 eravamo già di ritorno a Palermo.
Qui rilevammo essere giunto il tenente generale Lanza in qualità di comandante in capo e di Alter Ego, il che non fece punto buona impressione su di noi, sapendo come egli sia privo di energia e che ad altro non pensa che ad esaminare se i vestiti dei soldati sono in ordine. A Palermo fummo alloggiati nell’università, ed i tenenti furono confinati coi loro letti nella sala dell’anatomia; era un piacere il dormire in mezzo ai preparati anatomici d’ogni specie.
Palermo pareva volersi alquanto tranquillizzare. Si vedeva di bel nuovo della gente sulle vie e se non vi fosse stata la polizia, la fiducia sarebbe certo rientrata; ma quelle faccie da forca organizzavano i disordini onde poter pescare nel torbido. Al 19 giunse da Napoli direttamente l’ordine al colonnello Michel di assumere il comando di una colonna, composta del 9., 8. e 2. battaglione di cacciatori indigeni, indi del nostro battaglione, un battaglione del 1., uno del 3., uno del 7. ed uno del 9. reggimento di linea, di mezza batteria di obizi da montagna, uno squadrone di cacciatori a cavallo, e del corrispondente numero di zappatori, ambulanze ecc. Una fregata dovea seguire i suoi movimenti. Al 20 dovevamo partire; ma qui incominciavano le difficoltà, qui incominciò a manifestarsi l’invidia fra i generali, cosicchè non potemmo partire che noi soli, le altre truppe coi viveri per 5 giorni dovevano seguire più tardi.
A Monreale avevamo reggiunto l’8. e 9. battaglione e l’artiglieria, però l’ottavo battaglione, che aveva preso parte alla spedizione Landi era inadoperabile; sotto il vecchio e debole suo capo esso era stato del tutto disorganizzato per cui non se ne poteva fare alcun calcolo. Tutt’altra impressione faceva il nono battaglione sotto il valoroso comandante, il tenente colonnello Bosco. Ivi tutto era pieno d’ardore, pieno d’animo per combattere. Siccome le alture intorno a Monreale erano tutte occupate dal nemico, fu deciso di spingere il dì seguente una forte ricognizione verso Alcamo per rilevare dove si trovasse Garibaldi col nerbo delle sue truppe. (A domani il seguito colla descrizione dei combattimenti) Il Diavoletto, Anno XII, N. 186, 10 agosto 1860.
Rivista politica
Trieste 9 agosto.
La Francia aveva proposto, a detta del Débats, all’Inghilterra la chiusura dello stretto di Messina; ma se lo sbarco in Calabria detto e disdetto, ed ora nuovamente affermato ebbe il suo effetto, si vede che la proposta non fu accettata. L’Ami de la Religion diceva che l’unico mezzo per salvare la dinastia borbonica era l’impedire lo sbarco di Garibaldi sul napoletano. Noi, rispettando tale opinione, sosterremo però che Francesco II sarebbe caduto egualmente, avendo esso nella propria casa e intorno a sé tutti gli elementi per la sua rovina. Il generale Bosco, come ci recò la notizia il telegrafo, doveva partire coi regi onde opporsi ai fortunati partigiani di Garibaldi; questi sforzi del Governo borbonico riesciranno a nulla, essendoché a Napoli gli ordini ed i contrordini rovinano ogni misura per quanto buona essa sia.
Il deputato al Parlamento di Torino, signor Dr. Bertani, l’amico di Garibaldi, il suo alter ego ch’egli ha lasciato in Piemonte coll’incarico di preparargli e spedirgli armi ed armati, danari e munizioni, da Genova mandò fuori il 4 agosto, prima di partire anch’esso per la Sicilia, un suo appello agl’Italiani, stampato nel Diritto.
Lasciando da parte le frasi di questo appello che non hanno niente di nuovo e ci ricordano i famosi proclami del 1848 – 49, abbiamo notato che in esso non si accenna menomamente né al re Vittorio Emanuele, né al Piemonte, né all’annessione che il conte Cavour desiderava fosse immediatamente compiuta, onde presentarla alla diplomazia come uno dei soliti fatti compiuti dei quali si accetta al nostro tempo la comoda massima.
Il dottor Bertani, logico in questo, chiama alle armi i giovani d’Italia, onde combattere tutti i nemici di qualunque sorta essi sieno. Sembra che il signor dottore deputato vegga nemici d’Italia anche a Torino, e quasi quasi si direbbe ch’esso li trova alla stessa corte di Vittorio Emanuele, del quale nel programma non fa parola, come se neppure esistesse.
Vegliate, grida il signor Bertani, vegliate, perchè i nemici ci sono dappertutto, e noi dobbiamo volere l’ Italia… e noi la faremo……………… E sotto il velo della parola si legge a chiare note che il dottor Bertani pensa tanto alla Monarchia Sabauda come noi alla repubblica mondiale; egli sta per Garibaldi e con Garibaldi – vuol Napoli e Roma; e non sa che farne né di Cavour, né di La Farina vuol uomini, danari e armi, per fare la guerra ai nemici d’Italia (leggi della repubblica italiana), e poi grida alla gioventù: vegliate…
Vittorio Emanuele vegga dove il condusse il suo Cavour, vegga come in Genova si scrive, e come un deputato delle Camere di Torino bandisca la rivoluzione, chiamando alle armi i popoli della penisola percompirla.
La spada d’Italia s’è arrugginita – ora vogliono gettarla nel ferro vecchio – la lezione comincia, e comincia per bocca del deputato Bertani – il disinganno non si farà attendere lungamente, e Vittorio Emanuele troppo tardi comprenderà come esso abbia lavorato alla sua medesima rovina.
La lettera che il Bonaparte ha scritta in data 29 luglio al suo intimo, al suo vecchio amico il conte di Persigny, ebbe dall’Inghilterra una risposta d’oro. Duecento e settantacinque milioni votati all’unanimità in riscontro alla famosa epistola che l’Imperatore ha dettata ad onore di Palmerston; duecento settanta cinque milioni per guernire e fortificare le coste dei tre regni, e la madre Londra; duecento settantacinque milioni per rispondere alla lettera di Napoleone, con la quale egli protestava al mondo tutto che l’unico suo voto è la pace.
Bravi i signori della Camera; questo è rispondere per le rime ad una lettera, nella quale le parole si numerano colle mentite.
Egli a parlare di pace, e loro a prepararsi appunto per ciò alla guerra – egli proteste d’amicizia, e loro fuori milioni per apparecchiarsi alla difesa.
Ora che farà l’Imperatore dei Francesi, il padrone dell’esercito e della flotta, che deciderà egli dopo lo smacco che gli è toccato il 3 agosto? Davvero che non sappiamo bene come potrà rialzarsi dall’umiliazione, colla quale i mercanti inglesi l’hanno segnato.
Romperla con loro non la ci sta, dopo quella epistola tutta carezze per i vicini! – tacere, sarebbe un confessare che l’Inghilterra ebbe ragione di votare i milioni, e che esso non merita nessuna fede.
Davvero che la situazione dell’Imperatore della Francia, dell’esercito e della flotta, è abbastanza intricata.
Non sappiamo, ora che gli è fallito il tentativo a Londra, ove esso possa volgere i suoi sorisetti. A Berlino no, chè a Baden-Baden s’è fatto conoscere. A Vienna meno che meno, ove gli verrebbe risposto: Villafranca! a Pietroburgo, neppure, poichè si diffida dell’ Imperatore dei Francesi e delle sue promesse…… Dunque; c’è sempre la rivoluzione………………………………………. ma questa potrebbe finire col divorarlo….
In una corrispondenza da Torino all’Universel di Brusselles, troviamo alcuni particolari intorno alle dimostrazioni fatte dagli operai di Torino, delle quali abbiamo parlato noi pure a suo tempo: è detto che in questo affare degli operai vi era un imbroglione; e la Patrie l’ha nominato. Questi non avendo potuto farsi eleggere deputato da nessun paese, seguita a suscitare tumulti contro il Governo per mettersi in vista: egli è l’avvocato Brofferio; il quale poi da parte sua conta anche a chi non vuol saperlo, che il ministro Cavour spese 200.000 franchi per impedire la sua elezione a deputato.
Questo è proprio il caso d’esclamare: evviva i liberali!!
I combattimenti in Sicilia.
(Cont. V. il Nro. di ieri)
Come dicemmo nel numero antecedente, era stato deciso d’intraprendere una forte ricognizione per conoscere ove si trovasse Garibaldi col nerbo delle sue truppe. A destra della strada avevamo roccie scoscese, aridi monti, dietro di essi il convento fortificato di S. Martino, a sinistra ubertose vallate con singole colline, pure bene occupate. Il giorno prima m’era stato affidato il comando del battaglione, e fui incaricato di formare il centro e l’ala sinistra. Le forti posizioni dei colli furono prese alle grida d’urrah e senza gravi perdite fu coperto il nostro fianco sinistro; due compagnie dell’ottavo battaglione, (uniche atte a combattere) furono lasciate ivi come riserva. Frattanto il nono battaglione aveva conquistato con entusiasmo incomparabile le alture a destra ed il convento di S. Martino, cosicchè il nemico si ritirava da per tutto facendo dei tiri. In tal modo procedemmo sino ad Alcamo, dove trovammo Garibaldi e le sue schiere in piena ritirata.
L’inseguirlo era purtroppo cosa impossibile, giacchè a noi mancavano i viveri e le riserve, e Monreale non poteva essere lasciato privo di truppe. Con malumore ritornammo quindi nei nostri quartieri di prima, ed a noi toccò vedere come gl’insorgenti s’impossessassero nuovamente delle primiere loro posizioni, senza però osare avanzarsi al nostro tiro. (questo combattimento ebbe luogo al 21 luglio; Garibaldi non era dunque al 19 in Pasco).
Al 22 finalmente giunsero il secondo battaglione ed i reggimenti di linea colla cavalleria, ma troppo tardi per intraprendere qualche fatto d’armi. Al 23 appena furono distribuite le vettovaglie per tre giorni (biscotto e lardo), ed al 24 ci avanzammo verso Pasco, che d’allora era stato occupato da Garibaldi.
Io comandava il centro della colonna di attacco, composta di 4 compagnie dei nostri, 4 del secondo battaglione di cacciatori, 2 obizzi da montagna, mezza compagnia di zappatori e mezzo squadrone di cacciatori a cavallo.
Mi vedi dunque generale! Io dovetti ora riprendere le colline che erano già state prese, e m’avviai colla mia gente verso Pasco attraverso una valle selvaggia piena di fosse, di colline con folti foreste. Il nemico si ritirava dovunque, io non rispondeva più nemmeno al fuoco dei suoi bersaglieri, troppo distante, e m’avanzava senza posa colla mia colonna su dirupati viottoli, per non lasciare l’onore dell’assalto alla destra ala comandata da Bosco. Finalmente dopo una marcia di quattro ore, potei prendere posizione, feci deporre dai carri i miei cannoni e mandai delle pattuglie verso il villaggio per rilevare in qual miglior modo potessi dare l’attacco.
Però il nemico era già uscito dal villaggio, per cui dovemmo affrettarci a passare il villaggio stesso onde inseguire il nemico attraverso i monti. In quest’occasione abbiamo fatto prigionieri alcuni piemontesi armati di carabine svizzere. I garibaldiani si ritirarono verso Piana dei Greci, e noi prendemmo posizione verso la strada che conduce alla Piana e che va serpeggiando attraverso un molto erto e nudo monte. Qui fu giuocoforza far riposare la nostra gente.
Intanto che prendevamo possesso di Pasco, era giunta da Palermo a rinforzarci una brigata sotto il generale Colonna, la quale prese bivacco nel villaggio. I soldati di quella brigata, senza aver fattoun tiro, si misero a saccheggiare e ad appiccare l’incendio.
Siccome per alcune mie faccende dovetti recarmi nel villaggio, io udii in una casa orribili grida di donne, ed ebbi la fortuna di salvare dalle brutalità dei napoletani alcune donne ed una fanciulla, un angelo di bellezza.
Il giorno dopo (25), marciammo verso Piana dei Greci; i reggimenti di linea, ad eccezione d’un battaglione del nono reggimento, restarono a presidiare Monreale. Trovammo il villaggio deserto; al 26 fummo costretti ad attendere le nostre vettovaglie, e non potendo metterci in marcia che alla sera, bivaccammo presso Sant’Agosta dei Francesi; la notte era rigida ed umida, la mattina ci svegliammo bagnati ed intirizziti dal freddo.
Di là procedemmo verso Figuzza (castello di caccia reale). Qui ci fu detto che Garibaldi avea divise le sue forze il giorno prima in due colonne, delle quali una s’era diretta coll’artiglieria per Corleone e l’altra per Marineo nella direzione verso Misilmere e Palermo. Il colonnello avea giustamente pensato di marciare verso Corleone, onde battere ivi la colonna e ritornare quindi a Misilmere e prendere così il nemico fra noi e la guarnigione di Palermo, la quale avrebbe potuto, con 16.000 uomini tenere indietro il nemico per tre giorni.
(A domani il seguito)
Notizie politiche. […]
lTALIA. Torino 6 agosto. È giunto a Torino il generale Stefano Türr, di ritorno dai bagni d’Aix. Crediamo che sabato partirà per la Sicilia per riprendere il comando della sua divisione. (Diritto) Torino 7 agosto. La sola Armonia raccolse e versò nelle casse pontificie a tutto luglio scorso lire 131.986,40 di danaro di S. Pietro.
Questa cifra parla da sé stessa e non ha bisogno di commenti; quando si nota che la colletta aperta da un solo giornale, in un paese come è il Piemonte colle provincie annesse, produsse una tal somma, si ha la certezza del come la si pensi dalla maggioranza della popolazione.
Napoli 2 agosto. La marina militare eseguisce le crociere solo pro forma e due o tre legni che diconsi i più fidi non abbandonano mai Napoli, dove la Corte li vuole per ogni caso. (Cor. Mer.) Palermo 1. agosto. La risposta di Garibaldi al re, datata da Milazzo il 27 luglio, sarebbe riassunta nei seguenti termini: Malgrado il suo rispetto e la sua devozione, la situazione dell’Italia non gli permette di obbedire; le popolazioni lo chiamano; egli mancherebbe al suo dovere, comprometterebbe la causa d’Italia, se esitasse. “Permettetemi di disobbedirvi questa volta. Quando il compito sarà finito, io deporrò la spada ai vostri piedi, e vi obbedirò il resto della mia vita…” (Persev.)
- Un telegramma del dittatore al prodittatore signor De Pretis, ci annunzia una capitolazione fatta col signor generale Clary per l’evacuazione di Siracusa e di Agosta dalle truppe regie ivi stanziate. Per Agosta abbiamo ricevuto pria d’ora notizie ufficiali sullo stato in cui trovavasi il paese sino alla metà dello scorso luglio.
Il 16 i militari inalberarono la bandiera tricolore con lo stemma dei Borboni; tale inalberamento fu accompagnato dal tiro di 20 Cannonate.
Tostochè s’intese il primo colpo, le campane della chiesa di S. Domenico suonarono a morte. Seguirono l’esempio quelle della chiesa del Purgatorio, e di S. Francesco di Paola per fare intendere che la costituzione di re Francesco moriva in sul nascere.
Siffatta dimostrazione inasprì l’animo dei reali, al segno che ne chiesero vendetta.
Fu impossibile però scoprire le persone che suonarono, e quelle che ne diedero l’incarico. (Forbice)
- La Torre del Faro, che sta alla punta dello stretto, armata di 14 cannoni, è in mano dei garibaldiani. Essa minaccia il passaggio dei legni nemici, e protegge lo avvicinarsi dei legni nazionali.
Sono anco in mano degl’insorti il forte Gonzaga e quello del Salvatore, il primo stante sulle colline alle quali appoggiasi la città, l’altro alla punta del porto. L’occupazione di questi forti è avvenuta dietro capitolazione tra il brigadiere Medici e il generale Clary. (Forbice)
RUSSIA. L’esercito d’occupazione del regno di Polonia, a quanto si scrive da Varsavia, sarà prossimamente aumentato. I quartieri sono già preparati, e le truppe sono in marcia. Nell’anno venturo si vuol riprendere in tutto l’Impero la leva sospesa nel 1856.
TURCHIA. Belgrado 6 agosto. Ieri seguirono gravi risse tra Serbi e marinari Turchi. Vi furono alcuni Serbi feriti, alcuni Turchi uccisi, altri feriti; la guarnigione è rimasta tranquilla. (FF. II) SIRIA. Le più recenti statistiche fanno ascendere i cattolici maroniti del Patriarcato Antiocheno coi 7 vescovadi dipendenti a Cristiani a 181.500. Ma vuolsi osservare che nelle città della Siria e del Libano, abitate dai Maroniti, vi sono altri cattolici Greci, Siri, Armeni e Melchiti. Il Patriarcato Melchita ha 50.000 anime, il Siro 30.000, quello di Babilonia dei Caldei 120.000; quello di Cilicia degli Armeni, 16.000.
Nella Turchia asiatica i cattolici del rito latino sono 28.000 circa, quelli degli altri riti 427.325.