Il “Diavoletto Indipendente” (XXIII)

Il Diavoletto, Anno XIII, N. 190, 16 agosto 1860.
Il Germanismo.
(Dal Giornale di Verona. Cont. V. il N.ro 189)
Or bene, incominciata l’opera della nuova Austria, Metternich, gli altri principali suoi collaboratori, ebbero per primo e capitale pensiero, quello di porre in perfetta uguaglianza di doveri e di diritti le varie nazionalità, adoperando ogni modo per impedire le gelosie, le sopraffazioni, il dominio d’una sull’altra razza; ed in quest’opera saggiamente riuscirono, rispettando le tradizioni dei paesi, le autonomie amministrative, ed in ispecial foggia la distribuzione del personale negli ufficii.
Havvi un antico proverbio in Germania, che ogni terra deve bastare a sè stessa, e che ognuno trova sul patrio terreno i mezzi per la sua vita. Così dovrebbe appunto essere nell’Austria; e così fu per lungo tempo: stante la provvida mente di chi allora reggeva lo Stato. Il mischiare l’organamento interno di un dominio, l’introdurvi elementi eterogenei, il violare la tradizione amministrativa di un dominio, sono azioni impolitiche, altamente fatali al complesso della Monarchia, perchè risvegliano i sospetti fra le diverse nazionalità, fomentano antipatie, e coprono talvolta anche il bene colle apparenze del male, stante la forma inconsueta degli ordini e delle esecuzioni.
Francesco I soleva dirlo, che la potenza dell’Austria, moltiplicavasi colle varie nazionalità di cui era composta; ma che questi elementi di potenza si sarebbero rivolti al suo danno il giorno nel quale, invece di coltivarli ed accrescerli nella loro sfera di azione, si fosse voluto o spegnerli, o subordinarli ad una sola nazionalità, più estesa e più ambiziosa delle altre. Fu con queste massime che l’Ungheria, la Boemia, e specialmente il Lombardo-Veneto prosperarono in ogni ramo di vita industriale e civile, e le statistiche dei primi quattro lustri della dominazione Austriaca nell’Alta Italia sono lì per comprovarlo anche agli increduli.
Colla morte dell’Imperatore Francesco I di augusta e cara memoria, un’altra scuola cominciò ad allignare fra gli uomini di Stato dell’Austria, che ripeteva la sua origine, benché indiretta, dalla sviluppata idea del germanismo, e dalla influenza che la ultima gloriosa guerra di nazionalità aveva esercitata sulla Confederazione germanica. Volevasi creare una preponderanza tedesca in Europa;
e quasichè non bastasse un aggregato di più che 40 milioni di uomini per dar vita a potente nazionalità, si volle germanizzare gran parte dei paesi Slavi per meglio arrotondare la nazione. Fin qui la idea pareva, se non giusta, avere almeno un interesse politico.
Certi frammenti della famiglia Slava, chiusi in paesi germanici, potevano facilmente essere rimorchiati dalla nazionalità dominante, tanto più che parte degli Slavi, rimasti senza coltura e lettere proprie, avevano già subita la influenza della educazione tedesca, e tendevano se non a confondersi, a tollerare almeno il predominio di una nazionalità più vasta e potente.
Il felice esito di un tale esperimento in qualche parte della Moravia, e specialmente nelle antiche provincie Illiriche, incoraggì il germanismo, che stese le ali a volo più alto, e cercò portare la sua influenza su tutte le nazionalità dell’Austria. Non diremo delle altre, limitandoci a tener parola della italiana che ci riguarda, e dalla cui integrità saremo sempre intrepidi e zelanti fautori.
Per comprendere la forza del nostro concetto, è necessario distinguere fra le varie nazioni. Alcune senza passata coltura propria, accettano volonterose la influenza di un grande vicino popolo, che accomuna in certo modo i suoi vantaggi, ed alla imposta superiorità accoppia anche il beneficio del progresso, il quale colle forze isolate del paese non sarebbe possibile. Così per esempio la educazione tedesca fu unico e valido mezzo di miglioramento intellettuale pei Polacchi, per gli Ungheresi, pei Croati, pei Cechi; ed anche la istessa nuova letteratura di quei popoli, ripete tutte le sue origini dall’Allemagna, come lo prova il gusto estetico dominante nella letteratura, e la sistemazione delle scienze. Fin là adunque il germanismo potrebbe rendere in nazioni di importanza secondaria buonissimi frutti, limitandosi però al necessario nel bene, senza aggiungere il superfluo, che applicato a gente diversa, diventa fomite di malcontenti e distrugge anche i beneficii ottenuti.
In quanto alla nazionalità italiana, la quistione presentasi sotto diversissimo aspetto, imperocché la nazionalità nostra è una fra le dominanti in Europa, e forse la più tenace di tutte, appunto perché possiede una tradizione di più che venti secoli, ed uomini eccelsi in ogni ramo di scibile, e tesori di lingua e di concetto, non ché una vasta famiglia di popoli su cui l’influenza della educazione germanica non prevarrà mai per opposta maniera di costruire le frasi, per capitale differenza di vocaboli, di grammatica e perfino d’alfabeto. Germanizzare l’Italia è impresa stolta, e da evitarsi, come causa di incancellabili malcontenti.
D’altra parte un’Austria tutta tedesca sarebbe mostruoso prodotto di artificiale pressione, né potrebbe durare se non colla forza delle armi, ed a detrimento del benessere interno della Monarchia; per cui crediamo essere di capitale interesse pel sovrano, il chiudere il germanismo negli argini che gli appartengono, impedendo l’illegale straripamento di esso, che procedendo in luoghi a lui non adatti, non lascerebbe indietro, se non isquallore, solitudine e miserabili sabbie. (Continua)
La situazione.
Essa è mutabile come l’onda del mare, e quindi difficile ad essere colta e delineata.
La situazione presenta due lati salienti; l’uno minacciante l’equilibrio europeo, l’altro che sta formando la sua base, per poscia operare fortemente a ristabilire la legge della giustizia e il principio dei diritti, sconvolti, perduti nel turbine che li trascina in una sola società, di cui sono i soli e veri sostegni.
Il campo si stringe, per la lotta inevitabile; i campioni delle due parti scelgono il loro terreno, misurano le armi, s’apparecchiano all’estrema prova.
Di qui è il monarcato che lento e prudente attende il suo nemico; di là è la rivoluzione, che s’avanza sbrigliata, armata la mano furibonda, atroce, minacciosa, rompere gli antichi vincoli che legavano i principi e le nazioni, per iniziare l’èra della vendetta e della dissoluzione.
Il Governo sardo aspira al possesso della penisola dall’Etna alle lagune dell’antica dominante dell’Adriatico, abbraccia quanto ha in sé l’Italia, ch’esse vuol – tutta dominare; ma Roma, l’eterna città è sacra ai rappresentanti di Cristo in terra, e contro il Vaticano dovrà rompersi l’umana ambizione.
Garibaldi, a cui è impossibile negarel’ardire, come è evidente la fortuna che il seconda, si prepara a condurre in terra ferma sopra Napoli e Roma i suoi compagni; rotto ogni filo che alla diplomazia il legava, opera da sè; vede che Napoleone dovrà un giorno fargli buon viso, come al rappresentante naturale della rivoluzione, ed esso s’allieta della futura vittoria; e invita i suoi a prepararsi alle grandi giornate di Mantova e di Verona.
Ma a Roma Lamoricière non rallenta il suo lavoro; 25 mila uomini tenuti in continue marcie ed esercizii aspettano l’ora della pugna; e non tarderà: ché a Napoli, tuttoché vi sieno elementi buoni, questi non ponno rannodarsi a causa della rivoluzione che ha preso il sopravvento e vince quanto le si oppone; se l’armi del Piemonte entrassero nel reame, ciò non muterebbe il corso agli eventi,
ma li precipiterebbe.
A Torino si è in grande apprensione per la guerra; la si crede imminente, si parla di dittatura, di pieni poteri, di leva in massa.
L’Italia è tutta presa come da una febbre; è sotto l’influenza di un grande momento; sente che il tempo è venuto per una gran prova.
Napoleone III s’attacca come ad un’ancora di salvezza alla sua vicina, l’Inghilterra; il fantasma della coalizzazione lo spaventa, l’isolamento a cui s’è condannato ei lo sente intero, e vede già a Varsavia la Russia stringere la mano all’Autria, alla Prussia, alla Germania, ed in quella stretta vi legge la seconda edizione della storia della caduta di Napoleone I; ed è perciò che desso lascierà fare alla rivoluzione, ed a Garibaldi in Italia il loro piacimento.
Siamo alla vigilia dell’ultima fase della questione italiana.
Il Piemonte getta il dado, e dal giuoco potrà uscire o la sua vittoria, o la sua estrema caduta. Misteri sono per noi l’asserito intervento a Napoli dei soldati di Vittorio Emanuele, e mistero il fermarsi dei rappresentanti di Francesco II a Torino: mentre Garibaldi a nome di Vittorio Emanuele stesso occupa la Sicilia, fa invadere il napoletano, come è ella possibile la missione dei signori Manna e Winspeare?
Ricominciano le visite dei ministri piemontesi a Napoleone III; segnale che la burrasca vuol
riprendere il suo posto: Farini e Dalla Rocca vedranno l’Imperatore a Ciamberì; è venuta stagione nella quale la Francia dovrà forse fare appello ancora una volta a quelle passioni, delle quali essa medesima fu tante volte la vittima. Figlio della rivoluzione, Napoleone III, non sa svincolarsi affatto da essa, e la chiama in suo aiuto ogni volta che lo spirito del diritto e della legittimità fa sentire la sua voce; ora questa voce si ripete come un eco terribile in tutta Germania – a Teplitz, a Salisburgo a Monaco è un sol grido di fratellanza. Alla coalizzazione si sarebbe ora disposti di opporre la rivoluzione – vada in fiamme l’Europa, non monta; corra il sangue e la lotta fratricida sia padrona d’Italia, poco gli monta!
La voce da Torino ripetuta a Parigi il 13 d’un possibile intervento armato del Piemonte a Napoli a difesa della dinastia Borbonica contro l’invasione di Garibaldi sarebbe un fatto, dal quale le conseguenze non si ponno abbracciare d’un colpo; molto più, che questa notizia verrebbe in certo modo a cadere d’innanzi all’ordine ricercato da Winspeare da Napoli il 12 di abbandonare anche esso Torino, quando le trattative incamminate non riescissero a buon fine.
Garibaldi è l’uomo della rivoluzione, e l’Italia freme di questa dalla cima al fondo.
Se le diserzioni nelle file dei soldati piemontesi avvenivano ieri ancora, e i soldati correvano sotto le bandiere del dittatore della Sicilia, come serviranno esse le truppe lombarde, quelle dell’Emilia, le toscane, contro Garibaldi, pel quale osano rompere fino il giuramento che li lega a re Vittorio?
L’abbiamo detto da tempo – in Italia si prepara una guerra fratricida, e questa, l’Italia la dovrà alla Francia, a quella Francia che fu e sarà sempre la prima cagione dei grandi mali di questa patria nostra infelice.
Notizie di Napoli.
Napoli 4 agosto. Ci si dà come certa notizia il prossimo arrivo della squadra piemontese nelle acque di Napoli. (Omnibus)
Napoli 5 agosto. Il Giornale Costituzionale pubblica oggi un programma politico del ministero, il quale assicura l’attuazione piena e sincera della costituzione del febbraio 1848 e vuole la forte e legale soppressione di ogni avverso conato. Si promettono progetti di riforma in varie branche di pubblico interesse da essere sottoposti al Parlamento. Riguardo all’esterno, il Governo ha delineata rettamente la sua condotta, deciso di tenere alta e ferma la bandiera italiana.
Il programma parla in fine della missione in Torino per negoziare la lega col Piemonte, che il ministero proseguirà a trattare con ogni sforzo.
- È comparso il 1., 2. e 3. numero della Rivista Militare. Nel 3. vi ha un bell’articolo Ai Redattori dei Giornali Napoletani, dove è detto che non si parli sì spesso di reazione, confondendo tutti e tutto, e che bisogna conciliare, non inasprire, farsi amici e non promuover vendette. Quel sensato articolo merita tutta l’attenzione de’ buoni.
- Fra i nuovi giornali, e ne sorgono ogni giorno di altri, vi ha la Vespa, il Filibustiere, e la Luce Elettrica. Il primo è più letterario che politico; il secondo è molto ardito; il terzo non si capisce ancora, ma si farà.
- Seguitiamo a raccomandare all’autorità competente mettersi un freno ai disguidi postali delle province. Mentre i ladroncini sono disparsi a Napoli è doloroso verificarsi solamente per carte e stampe. (Omnibus)
Napoli 6 agosto. La situazione politica è oggi qual era nei trascorsi giorni, perciocché verun avvenimento è venuto a modificarla sostanzialmente, e sempre v’ha in essa alcun che d’incerto, di vago, d’indeterminato, che sfugge d’innanti misteriosamente. Il Ministero ha pubblicato domenica il suo programma, e senza ritornar su quanto abbiam detto nei passati fogli sulla difficoltà di un programma politico come stanno oggi le cose, ci limiteremo, per ora, a prender atto degli sforzi che il Governo responsabile fa onde ingenerar fiducia, e render tranquilli gli animi. Posto in mezzo alle esigenze da una parte, ed alla resistenza dall’altra, il Ministero fa il possibile per vincere le attuali gravi difficoltà, e durare per altro tempo ancora, laddove gli avvenimenti non precipitino. Ne giorni passati si parlò di una crisi ministeriale, per effetto di ordini, che sarebbero stati dati a varii navigli di guerra, di recarsi sul Faro a distruggere la grossa batteria ivi eretta da Garibaldi, ordini che ora, si dicono disdetti; ma se questa crisi è cessata, esistono però sempre quella indecisione, quell’ esitanza, quell’incertezza, che sono le conseguenze delle enormi difficoltà del momento. Alle questioni interne si aggiungono quelle esterne, le quali hanno una relazione diretta o indiretta colle cose del reame. La lettera di La Greca a lord Russell, che fu costretto a disdirsi in Parlamento, avrebbe avuto per conseguenza il ricevimento ufficioso dell’inviato di Garibaldi a Londra.
A Torino i nostri incaricati per la lega sono sopraffatti dalle maggiori cortesie, e mentre i pranzi dei diplomatici esteri in loro onore si succedono ogni giorno, poco si combina.
Quanto alla Sicilia, l’armistizio conchiuso fra il generale Clary ed il generale Garibaldi ha dovuto probabilmente spirare il 5, e s’ignorano sempre i disegni del secondo, e si vuol pure che la risposta di Garibaldi alla lettera del re Vittorio Emanuele non soddisfi ai desideri espressi dal Governo piemontese.
Tal’è al momento la nostra situazione politica, e quale sarà dimani è impossibile il prevederlo, perché fra oggi e dimani potrebbero aver luogo tali avvenimenti da mutarla sostanzialmente.
- Il 3 corrente gettava l’ancora nella nostra rada la nave ammiraglia piemontese, Maria Adelaide, con truppe da sbarco, e che vuolsi preceda l’intera squadra che dovrà giungere tra breve.
- Nelle ore pomeridiane di venerdì, 3 corrente, 4 sbirri dell’antica polizia diedero addosso ad un capo-squadra della nuova, costringendo colle armi alla mano a gridare Viva il re, abbasso la costituzione. Lo sciagurato si difese coraggiosamente, ma sopraffatto dal numero ebbe a soccombere, e venne ferito a morte da un colpo nel petto. Varii soldati dei tiragliatori si cacciarono in mezzo ed arrestarono due degli assassini; un altro fu arrestato dalla guardia nazionale, l’ultimo giunse a fuggire.
- Il Cardinale arcivescovo di Napoli, ha consentito alla celebrazione dei funerali per l’anima di Guglielmo Pepe, nella chiesa de’ Fiorentini.
Barletta 24 luglio. Se le vicende della capitale sono triste, quelle delle provincie non son certamente liete. Stamattina è stato imposto al sottintendente di cacciar via tutti i funzionari pubblici ed i forestieri; l’autorità resistette dapprima (e qui diviene inutile il descrivere le sfrenatezze e violenze a tutti) ma quindi si vide costretta a cedere, destituendo tutti dal giudice sino al cancelliere comunale, e mandando tutti gli stranieri, s’intende qui per stranieri quelli che non sono indigeni. Fummo quindi chiamati ed obbligati a partire fra 4 ore senz’avere il tempo di trasportar neanche le nostre robe, che ognuno dovè lasciare a qualche incaricato. (Omn.)
Castellanetta 20 luglio. Noi qui stiamo bene e tranquilli, non così negli altri paesidella provincia come Lecce, Taranto, Polignano, Massafra ecc. ove tanti galantuomini sono usciti dalle loro case ed errano pei boschi. (Omnibus)
Ultime notizie.
Hassi da Torino in data del 13: La Gazzetta ufficiale del regno, pubblica una circolare del ministro ai governatori. Essa ha per iscopo di biasimare le ingerenze illegali negli affari di Stato, d’impedire i preparativi delle violenze contro Governi vicini, nonchè di punire gli autori delle diserzioni.
La circolare annunzia in oltre la formazione di corpi volontarii della guardia nazionale.
- Si ha da Napoli 12 agosto. Una nota diplomatica del Governo di Napoli, informa i Governi stranieri e particolarmente il Piemonte, che nel caso qualche naviglio con bandiera piemontese volesse tentare di sbarcare dei garibaldiani, verrà fatto fuoco contro di esso. – Winspeare ha ricevuto l’ordine di abbandonare Torino dopo un dato termine, qualora le trattative non conducessero sino allora ad un qualche risultato.
Tre giornali, ostili al Governo, furono soppressi. S’attendono modificazioni nel gabinetto di Napoli e l’aggiornamento delle elezioni parlamentari.
- Da una corrispondenza di Messina, 3 corr., alla Presse, togliamo la seguente lettera, diretta da Garibaldi a S. M. la regina Vittoria a mezzo del principe San Giuseppe,allorchè questi fu incaricato di rappresentare,a Londra il Governo provvisorio della Sicilia.
La pubblichiamo come uno strano documento. Maestà!
Chiamato dal mio dovere verso la patria italiana a difendere la sua causa in Sicilia, io mi sono incaricato della dittatura di un popolo generoso, il quale dopo lunghe lotte, non desidera che partecipare alla vita nazionale ed alla libertà, sotto lo scettro d’un principe magnanimo a cui si è affidata l’Italia.
L’inviato che si presenta a V. M. in nome del Governo provvisorio stabilito in questo paese, non pretende rappresentare uno Stato speciale e indipendente, ma viene come l’interprete dei pensieri e dei sentimenti di due milioni e mezzo d’ Italiani.
Per questo titolo, io prego V. M. a degnarsi di riceverlo, accordandogli un’udienza, e compiacersi di prestare quell’ascolto ch’egli potrà rispettosamente domandare in favore di questa bella e nobile parte d’Italia.
Palermo 22 giugno. Garibaldi.
Lasciamo la responsabilità di questo scritto alla Presse.
Cattaro 12 agosto. Quest’oggi alle 8 di sera un atroce misfatto ha avuto luogo nella nostra città. Mentre il principe del Montenero colla principessa stava a questa riva per imbarcarsi e ritornare a Perzagno, dopo aver goduto del passeggio rallegrato dalla musica, una persona tra quelli che lo circondavano scaricò proditoriamente contro il principe una pistola, la cui palla lo colpì, penetrando presso l’osso sacro, e sortendo quattro dita al disopra dell’inguine sinistro.
L’autore del misfatto fu arrestato, e in lui fu riconosciuto il profugo montenegrino Todor Cadić da Bielopavlović, già espulso anche dal nostro territorio.
Cattaro 14 agosto. Ieri alle 8 p. m. seguì la morte del principe del Montenegro, e stamane alle 8 e mezza la di lui salma fu accompagnata fuori della città cogli onori militari, e consegnata ad una numerosa deputazione di montenegrini, venuta espressamente per accoglierla e trasportarla a Cettigne. (Oss. Dalm.)
La salma fu accompagnata dal generale maggiore Radich fino fuori delle opere fortificatorie di Cattaro.
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 191, 17 agosto 1860.
Particolari sull’assassinio del Principe Danilo.
Da quanto potemmo rilevare da persone giunte dalla Dalmazia, abbiamo ragione di supporre che l’assassinio commesso sul principe Danilo sia la conseguenza di una vendetta personale. Ecco quanto ci viene narrato sugli antecedenti di questa luttuosa catastrofe.
Un prete montenegrino, denominato Panissa, del distretto di Berda (Bielopavlovich) appartenendo alla parte ostile al principe, ed essendo per ciò da questi maleviso, s’era allontanato dal Montenegro portandosi a Zara.
Il detto Panissa, essendo sacerdote greco non unito, era ammogliato colla sorella dell’assassino Teodoro Kadich, pure del distretto di Berda. Avendo più tardi il Kadich conosciuto di essere egli stesso in uggia al principe. Se ne partì pure per Zara. Dimorando i due cognati in quella città, rilevarono che la moglie del Panissa fu istigata da qualche partigiano del principe di sposare un altro individuo. La donna, dopo molte lusinghe, si lasciò finalmente indurre a sposare l’uomo propostole. Giunta tale notizia a Zara, tanto il Panissa quanto il Kadich se ne irritarono, ed il Kadich si recò a Costantinopoli, dove uccise il fratello dell’individuo che avea sposato sua sorella. Notisi, che questa prima vittima della vendetta del Kadich era a Costantinopoli il capo dei 3-4000 montenegrini che trovansi nella capitale ottomana in cerca di lavoro.
Anche il sacerdote Panissa era sparito da Zara, ma nulla sappiamo di lui.
Temendo il Kadich d’essere colpito in Costantinopoli o dalla giustizia o da una controvendetta, se ne fuggì a Galatz, dove, colpito dal vaiuolo, fu talmente trasformato nella fisonomia da non poter essere sì facilmente riconosciuto. Ivi ridotto in miseria, ottenne per filantropia d’un consolato, il permesso di imbarcarsi gratuitamente su d’un vapore per Cattaro. Essendo poi stato riconosciuto dalle autorità, venne espulso dalla Dalmazia e si trasferì a Scutari. Stando in quel luogo approfittò delle ultime risse avvenute fra Turchi e Montenegrini, di cui si parlò nel nostro foglio un mese fa, ed essendo riuscito ad uccidere un suo compaesano ed a portare al Visir di Scutari la testa dell’ ucciso, il Visir gli fece il dono di due pistole e di alcuni zecchini.
Avendo più tardi rilevato che il principe Danilo s’era recato ai bagni di Perzagno, nel canale delle Bocche di Cattaro, egli decise di portarsi colà ad attendere il momento opportuno per adempire il voto omicida pronunziato così: “Prego Iddio che mi conceda soltanto di trovarmi un solo istante a quattro occhi col principe Danilo. Egli giunse a Cattaro travestito all’albanese, talchè sfigurato anche nella fisonomia, non era possibile fosse riconosciuto né dal principe né dal suo seguito, e poté quindi sfogare la sua vendetta sul principe ch’esso accagionava quale prima causa delle sue peripezie.
Tosto che avremo altre notizie in proposito non mancheremo di comunicarle, sia per rettificare le presenti ricevute a voce, sia per completarle.
- Corre voce che a futuro principe del Montenegro sarà nominato il nipote del defunto Danilo, cioè il figlio di Mirco Petrovich, attuale presidente del Senato. Questo giovane, di circa 21 anno, fece i suoi studi a Parigi e passò alcuni mesi sono per Trieste onde recarsi a Cettigne.
- Da Nisich (piccolo forte turco al confine del Montenegro) si ha la notizia che i rayah ebbero alcune collisioni coi Turchi, in seguito a che sono interrotte le comunicazioni colle Bocche di Cattaro.
I piani d’attacco di Garibaldi.
L’azione di Garibaldi sulla terra ferma ha principiato; benchè non abbia ancora abbandonato la Sicilia, la sua avanguardia è diggià arrivata nelle Calabrie, e questa – come esprimonsi i dispacci napoletani – viene ora inseguita nell’interno del paese dalle truppe regie. Cionnonpertanto si mantiene l’opinione che Garibaldi non pensi pel momento d’impossessarsi delle provincie di terra ferma; egli fece passare il Faro solo a 6-8.000 uomini per fare una forte diversione, per organizzare la guerriglia in terra ferma e tenere in iscacco le truppe napoletane fino al momento d’uno sbarco nelle vicinanze della capitale del regno di Napoli. Le sue disposizioni sarebbero state prese di concerto col comitato rivoluzionario di Napoli in modo che dopo i combattimenti nelle Calabrie abbia da seguire un movimento negli Abruzzi e quindi la partenza di Garibaldi per Napoli.
Stando al Pungolo di Milano parrebbe, che lo sbarco di cui fanno cenno i telegrammi (V. più sotto), sia seguito in vari punti, e intanto che la flotta napoletana si opponeva allo sbarco d’una piccola parte, si eseguirono su altri punti degli sbarchi maggiori senza impedimento.
La Patrie, da cui togliamo alcune di queste notizie, aggiunge che Garibaldi sarà al 25 agosto in caso di avanzarsi verso Napoli. A tale scopo egli forma un corpo di 15.000 uomini di truppa scelta, ed i suoi aderenti susciterebbero a tempo opportuno una sollevazione popolare nella città di Napoli, simile a quella che ebbe per conseguenza la presa di Palermo. Stando al Pays, il re Francesco sarebbe ora deciso di rinchiudersi a Gaeta e di non abbandonare il reame che in caso estremo; nel forte di Sant’Elmo furono prese contemporaneamente delle misure per bombardare Napoli in caso di necessità. Si mantiene tutt’ora la voce d’una prossima conchiusione d’alleanza fra Napoli e Roma (?). Nel caso che questo trattato dovesse effettuarsi, il generale Lamoricière assumerebbe il comando di entrambi gli eserciti, e procederebbe tosto contro le Calabrie nel caso che ivi sbarcassero dei volontari. Ora questo sbarco è già seguito, ma nulla si parla ancora di operazioni del generale Lamoricière al confine di Napoli.
Secondo notizie di Messina del 6 agosto, giunte a Marsiglia col vapore Hydaspe, il generale Garibaldi fa fortificare tutti i punti strategici sullo stretto, ed i lavori proseguono senza posa. La batteria all’ingresso del Faro è composta di 40 cannoni rigati. Dinanzi a questa batteria stanno ancorate sotto la protezione dei cannoni 400 barche, pronte ad ogni istante a far vela con una colonna di spedizione. I volontari si esercitano giornalmente alle armi sotto la cittadella, e siccome fra i volontarii sono rappresentate quasi tutte le nazioni del mondo civilizzato, Garibaldi ha emanato l’ordine che ogni soldato, oltre ai segnali comuni, porti i colori della propria nazione.
Il generale Clary è dopo il 2 agosto nuovamente nella cittadella. S. M. il re Francesco lo avrebbe biasimato allorchè gli presentò la convenzione stipulata con Medici, e dichiarò di non voler ratificare queste condizioni d’armistizio che sotto certe restrizioni, che Garibaldi non volle accettare. Gli stranieri che trovansi a Messina vivono in qualche timore a motivo di queste condizioni poco chiare, ed il console francese Boulard si ri volse perciò al generale Clary, il quale – a quanto vuol sapere il Semaphore – avrebbe dichiarato essere risoluto di rompere l’armistizio, tosto che Garibaldi facesse fuoco dai suoi nuovi trinceramenti del Faro contro un naviglio napoletano. In questo caso il generale Clary disse di non poter fare a meno di far fuoco dalla cittadella e di ridurre in cenere Messina.
Da ciò si scorge che tanto al di qua che al di là del Faro dovranno succedere nuovi combattimenti.
Dall’esito di questi dipenderà l’esistenza della monarchia di Napoli ed anzi tutta la conformazione degli Stati in Italia.
Circolare del Ministro Farini.
L’Armonia di Torino scrive: Tra le molte commedie recitate dal nostro ministero sul teatro politico, crediamo che la seguente circolare del ministro Farini non è inferiore a nessun’altra. Per ora vogliamo far notare in modo particolare ciò che si riferisce alle preparazioni di violenza contro i Governi vicini. Ci vuole una mutria di bronzo per istampare cosifatte… Del resto questa buffonata venne imposta dai consigli del signor padrone, il quale si trova in grande impiccio riguardo alle Potenze: massime. se è vera la Nota, che dicesi assai risentita, dell’Austria al Governo francese, nella quale si direbbe che l’Austria ha almeno tanto diritto di soccorrere Napoli attaccato dal Piemonte, quanto n’ebbe la Francia di soccorrere il Piemonte assalito dall’ Austria l’anno scorso.
Ecco dunque la Circolare del Ministro dell’ interno ai signori Governatori e ai signori Intendenti generali.
Torino 13 agosto 1860.
Sollevati, or sono tre mesi, i Siciliani allo acquisto della libertà, ed accorso in aiuto il generale Garibaldi con pochi valorosi, l’Europa fu piena della fama di sue vittorie; tutta Italia ne fu commossa e grande fu l’entusiasmo in questo regno, dove gli ordini liberi ed il libero costume non pongono impedimento alla manifestazione dei sentimenti della pubblica coscienza. Indi le generose collette di danaro ed il grande numero di volontarii partiti per la Sicilia.
Se in tempi meno commossi andarono lodati i popoli che diedero favore e soccorso alla liberazione di nazioni straniere, e se i Governi ubbidienti, diremmo, alle autorità del sentimento universale, dove non favorirono apertamente, lasciarono soccorrere le Americhe, la Grecia, il Portogallo, la Spagna, che combattevano per l’indipendenza e per la libertà, è a credersi che l’Europa civile porti giudizio equanime sui modi tenuti dal Governo del re in questo accidente dello irresistibile moto nazionale. Ora la Sicilia è venuta in condizione di esprimere liberamente i proprii voti, ed il Governo del re, che deve custodire tutte le prerogative costituzionali della Corona e del Parlamento, e deve adempiere eziandio quell’ufficio di suprema moderazione del moto nazionale che a lui s’appartiene, e per le prove che ha fatte e per pubblico consentimento, ora il Governo ha il debito di moderare ogni azione scomposta e di correggere gl’ingerimenti illegittimi nelle cose di Stato di chi non ha le costituzionali e le morali responsabilità, che esso ha gravissime verso la Corona, il Parlamento e la Nazione.
Altrimenti potrebbe avvenire che, per consiglio ed opera di chi non ha mandato né risponsabilità pubblica, lo Stato venisse a pericolo, e la fortuna d’Italia sinistrasse. E posciaché negli Stati liberi l’ordine e la disciplina civile, più che nel rigore della legge, hanno presidio nella pubblica opinione, il sottoscritto la invita a dare ogni pubblicità possibile a questa lettera circolare.
Più volte il sottoscritto ammonì non potersi, né volersi tollerare che nel regno si facessero preparazioni di violenza a Governi vicini, ed ordinò che fossero impedite ad ogni costo. Esso spera che la pubblica opinione basti a frenare gl’impeti sconsigliati; ma in ogni evento si confida nelle podestà civili e militari per la pronta esecuzione degli ordini che ha dati.
Raccomanda pure nuovamente, che con ogni maggior diligenza sieno ricercati, e con ogni legale severità puniti coloro che, cospirando e trafficando ad ingiuria dell’ordine nazionale e della disciplina militare, si fanno fautori e procuratori di diserzioni.
E perchè il sottoscritto deve compiere l’ordinamento della guardia nazionale mobile, e preparare la formazione dei corpi composti di volontari della guardia nazionale che la legge abilita, non vuolsi altrimenti permettere che altri faccia incetta e raccolta di soldati volontari.
Conchiudendo il sottoscritto deve dichiarare che, se il Governo del re è costante nella volontà di accettare il legale concorso di tutte le parti politiche, che intendono a libertà, unione e grandezza della patria, esso è pur fermo nel proponimento di non lasciarsi soverchiare da chi non ha dal re e dalla nazione il mandato e la responsabilità del Governo. L’Italia deve e vuole essere degli Italiani, ma non delle sette. Il ministro Farini.
Il Germanismo.
(Dal Giornale di Verona. Fine. V. i N.ri 189 e 190)
Avversando le idee ed i diritti di una forte nazionalità come la nostra, non si farebbe altro che frapporre una insuperabile barriera fra dominio e dominio: il popolo italiano è geloso della sua esistenza tanto come il tedesco: grandi e dotati ambedue di educazione potente, devono rispettarsi e comprendersi reciprocamente, non l’uno tendere all’abbassare il compagno. Partendo da questo principio, qualunque influenza che il germanismo tentasse avere sulla parte italiana dell’Austria sarebbe una sopraffazione, ed una ingiustificabile illegalità.
Ma il germanismo invece, in questi giorni di rimpasti amministrativi, piuttosto che attendere a sé stesso che ne ha pur di bisogno, anela ad uscire dalla propria sfera, e noi assistiamo da qualche tempo alla condotta impolitica ed illogica di parte della stampa tedesca, che risveglia contro di sé le antipatie diTrieste e dell’Istria 1, volendo quasi per forza cancellare d’un colpo la tradizione ed il passato di quei paesi, per renderli in tutto tedeschi. E impresa impossibile, ed indegna della nobile Allemagna. L’Istria da dieci secoli unita ai destini di Venezia, Trieste fedelissima città austriaca, ma tenace, quanto nei doveri verso il monarca, nei diritti che le si competono come Municipio italiano, non meritano la bassa offesa di crederle terre così prive di senso comune e di nobili intendimenti per abiurare con bassa deferenza alla propria gloriosa nazionalità, per indossare indumenti che loro non appartengono.
È una crudele ingiustizia, lo ripetiamo, e la nazione tedesca tanto leale non può applaudire alla aberrazione di qualche suo figlio, nel quale la nebbia del vaporoso sentimentalismo politico fa velo alla ragione.
Noi siamo Austriaci, forse più tenaci anzi di alcuni corrispondenti e dei furiosi alemanni della Presse di Vienna. Ma sapendo come l’Austria per esistere, e fiorire in modo degno della di lei importanza, ha d’uopo di fondare le basi di un’ alleanza di popoli, non già di estendere la supremazia assoluta di una razza seguendo l’esempio della Turchia, desideriamo che il Governo non subisca l’impressione di un floscio delirio, di teste spostate e di criterii resi tondi dal materialismo scientifico. Se l’Austria aiuterà, come sempre fece, l’incremento delle diverse nazioni, essa crescerà gigante in pochi lustri, giacché la idea di una unione fra i vari Stati dell’Europa centrale, è la più logica, è la più progressiva, destinata essendo a surrogare il principio troppo egoistico, ed in urto
coi tempi, di una dominante nazionalità.
Noi siamo Austriaci; e perciò vorremmo che negli impieghi si cercasse di adoperare l’elemento nazionale a preferenza d’ogni altro. Una autorità che non conosce il paese, le abitudini, i costumi della gente che è chiamata a dirigere, non potrà a meno molte volte di errare senza volerlo.
D’altronde le piccole gelosie non si possono distruggere, e perchè non riescano, è necessario appunto impedire che abbiano argomento a crescere dalla cattiva distribuzione del personale negli ufficii. È certo che l’Ungherese vede mal volontieri l’impiegato Boemo in casa propria, e così il Tedesco l’Italiano, e l’Italiano il Tedesco. Qual miglior mezzo adunque trovare che il lasciar tutti al posto loro? Le antipatie sparirebbero, i timori anche, non avendo motivo per essere; e la macchina della pubblica azienda camminerebbe più spedita, per opera di gente nata e cresciuta sul luogo, alla portata di meglio amministrare e governare, secondo le viste de’ loro proprii interessi ed in correlazione del Sovrano volere.
Sarà un bel giorno per l’Austria, per l’amato nostro Sovrano, per tutti i varii dominii, quello in cui l’Ungherese diverrà intieramente Ungherese, Slavo lo Slavo, Tedesco il Tedesco, Italiano l’Italiano. In tal giorno l’Austria capirà con gioia di aver triplice potenza di prima, ed il centralizzato potere supremo non sarà che un mezzo di più per far rispettare le diverse nazioni, raccolte dal dovere, dall’affetto e dalla riconoscenza sotto lo scettro di un solo monarca.
A quel giorno aneliamo, nutrendo ferma speranza che presto verrà. Il popolo Tedesco si troverà con maggior numero d’amici, quando alcuni de’ suoi figli rinuncino al sofismo di teutonizzare il mondo con una propaganda inutile e contraria al diritto ed alle leggi. Organizzino pure i socii del Casino di Schiller passeggiate, feste e scuole tedesche; per essi, e non per noi che non ne abbiamo bisogno.
Rispettino sovra tutto le tradizioni ed i diritti dei popoli, e non vadano sulle rive dell’Istria ad
- Non dimentichiamo che il territorio di Trieste e l’interno dell’Istria sono popolati da slavi, i quali hanno gli stessi diritti di conservare la loro nazionalità.
—————————–
intuonare canzoni che non trovano eco 2. Così staremo bene, e saremo fratelli, la migliore fratellanza essendoquella che riconosce i reciproci diritti.
Noi desideriamo adunque pel Lombardo Veneto, per Trieste, per l’Istria e pel Trentino una Austria di idee italiche, ferma ma progressiva, forte ma giusta, come appunto la desidera il Sovrano, e la vuole il supremo Consiglio dell’Impero. Desideriamo anche amministrazione nostra con impiegati nostri, educazione italiana sempre, e rispetto imperscrutabile per tutti i diritti inerenti alla nostra nazionalità. Noi possiamo assicurare i tementi che a questi patti le provincie italiane dell’Austria saranno in breve libere da ogni influenza rivoluzionaria, imperocchè il miglior modo per accontentare i popoli è quello di farli star bene, e noi staremmo egregiamente colle ottime leggi austriache e con una giusta e dovuta autonomia provinciale.
Abbiamo detto il franco nostro parere, credendo essere questo il tempo per farlo; e certi che il Governo ama meglio il parlar chiaro e senza circonlocuzioni, del cortigiano e pedissequo assentimento di gente che serve e tace, perchè usa a tacere e servire.
Notizie politiche.
[…] ITALIA. Torino 14 agosto, La convocazione del Parlamento, non ostante la smentita data dai giornali ministeriali, è cosa decisa nel consiglio dei ministri. Siccome si credevano imminenti le ostilità per l’irruzione delle bande dei volontari nelle Romagne, così si annunziò che il ministero stava per convocare il Parlamento per chiedergli i pieni poteri durante la guerra. I consigli di Napoleone avendo impedito quell’attacco degli Stati Pontificii, la convocazione è differita al primo segnale di guerra. Si dà per imminente l’entrata al ministero del generale La Marmora e di Rattazzi.
- Da fonte sicura sappiamo che Sua Maestà il re, commosso al vedere andar attorno molti vecchi soldati monchi o per antiche ferite inabili al lavoro, decise di fare dono di uno dei suoi palazzi alla nazione onde esso serva ad ospizio degli invalidi. (Diritto)
Napoli 9 agosto. Il Giornale officiale di Sicilia ci dà la ricomposizione del gabinetto dittatoriale rivoluzionario nel modo seguente:
“La segreteria di Stato della sicurezza pubblica è stata riunita al dicastero dell’interno. La segreteria di Stato presso il dittatore è stata soppressa. Oggi il ministero è formato dei seguenti individui: L’avvocato Francesco Crispi all’interno
L’avvocato Giovanni Interdonato ai lavori pubblici e all’istruzione pubblic L’avvo cato Vincenzo Errante alla giustizia
Il signor Francesco Di Giovanni alle finanze Il cavaliere Piola alla marina
Il generale Paternò alla guerra
Il signor Michele Amari agli affari esteri
Il signor Gaetano La Loggia, già ministro degli affari esteri, è nominato ispettore generale degli instituti sanitari dell’isola.
Un decreto del prodittatore prescrive la seguente formola di giuramente pei funzionari ed impiegati dell’ordine civile:
“Giuro di essere fedele a S. M. il re Vittorio Emanuele, di osservare lealmente lo Statuto e le leggi dello Stato, e di esercitare
le mie funzioni di……….. nel solo scopo del bene inseparabile del re e della patria”.
- Leggiamo nell’Unità Italiana di Palermo dell’8: In Messina si contano di presente trentamila soldati italiani, altri se ne attendono per la spedizione in terra ferma, al quale oggetto presentaronsi a
- La società del Casino Schiller è in Trieste una società inocua, senza alcuna vista politica. In
essa vengono accolti socii di qualunque nazione: vi sono greci, slavi ed italiani. La lingua della società è tedesca, perchè organizzata da tedeschi, ma ciò non vuol dire che la società abbia viste di propaganda germanica. In un porto franco dove esistono tante nazioni, dove esisteva per conseguenza per più anni un casino greco ed un casino slavo, dove esistono tutt’ora 3 o 4 società italiane inocue anch’esse, ed ove i soci si esercitano nella drammatica italiana, nel canto italiano e nella musica, non deve fare meraviglia se vi esiste anche una società tedesca che si diverte ed organizza delle feste con canto tedesco, e se questa società fece una gita di piacere sino alle coste dell’Istria, non fu certo per insultare quegli abitanti, né perché quelle canzoni trovassero eco su quelle rive. E quanto fu scritto in proposito, fece indignare i soci, per cui un gran numero sottoscrisse una formale protesta che puossi leggere nelle sale del casino stesso.
N. della Red.
—————————————-
Garibaldi seicento Calabresi armati di archibugio.
- Per facilitare le comunicazioni si pensa a gittare una fune telegrafica dal Capo Carbonara in Sardegna, a Marsala.
- Secondo l’Opinione, il comitato elettorale di Napoli presentò al ministero napoletano una petizione per il licenziamento delle truppe straniere.
Il Giornale Ufficiale di Sicilia dell’8 reca l’avviso dell’arrivo di 40 colli di camicie, bende, filaccie, ecc., spediti dal comitato di Torino, e gli indirizzi al dittatore, dei Comuni di S. Teodoro, Floridia, Cesarò, Bucchiari, Nicosia, Isnello e Comiso.