Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Il “Diavoletto Indipendente” (XXXIV)

Posted by on Apr 9, 2025

Il “Diavoletto Indipendente” (XXXIV)

Il Diavoletto, Anno XIII, N. 217, 18 settembre 1860

Rivista politica.

Trieste 17 settembre.

Abbiamo sott’occhio il Memorandum che il Governo del re di Piemonte ha diretto ai suoi rappresentanti all’estero.

Lo lessimo più volte, e siamo convinti, come lo eravamo prima di leggerlo, ch’esso è né più né meno di una lode dell’operato del Governo sardo, e della sua politica in Italia; una iliade di menzogne e di calunnie contro il Governo pontificio, nel mentre si fanno le più grandi proteste di rispetto verso il capo della cristianità, il che equivale a scherno sanguinoso.

Ci sorprende nel Memorandum, (che porta la data di Torino 12) sentire come il Santo Padre avesse già dato risposta negativa alla domanda fatta dal Governo piemontese di rimandare i soldati capitanati da Lamoricière, mentre una tale domanda doveva recarla a Roma il conte della Minerva che poteva essere nella eterna città solo il 13 o il 14.

Del resto il conte di Cavour protesta ch’esso rispetterà e difenderà al caso Roma che deve restare al Pontefice: dichiara pure implicitamente che rispetterà il Veneto; esso la questione della Venezia per ora non vuol trattarla nel suo Memorandum, e aspetta dal tempo la soluzione di una tale questione. E se egli non muove guerra all’Austria non è già che dubiti dell’esito della medesima, ma non lo fa solo per deferenza alle Potenze desiderando la pace per l’Europa che n’ha tanto bisogno!!!

S’intende da sè che nelle Romagne i soldati piemontesi vi entrarono chiamati e per l’ordine ecc. ecc.

  • Ciò non è neppur da mettere in dubbio.

Il signor Nigra resta a Parigi – a chi non sapesse chi sia questo signore diremo ch’esso è il rappresentante del Governo sardo alla corte di Napoleone III e l’ambasciatore del conte di Cavour a Parigi.

Il principe Talleyrand lascia Torino – ma Nigra rimane a Parigi – il che equivale a dire che siamo da parte di Napoleone alla solita leggenda dei bussolotti.

Sappiamo già che Napoleone III non intende fare una reale opposisione contro il Piemonte; lo sappiamo dal Morning-Post, e a dire il vero, almeno per nostro conto, il giornale inglese poteva risparmiarsi la fatica di una tale spiegazione, poichè credevamo fermamente che la fosse una commedia questa del richiamo dell’ambasciatore che Napoleone voleva far recitare e nulla più.

  • º con noi è della stessa

grande maggioranza, meno poche ostinate eccezioni che forse sono tali per farsi dire eccentricità e nulla più.

Benedetta tanto tanto la franchezza! Il corrispondente parigino della Perseveranza almeno non fa mistero della politica di Napoleone III; egli le cose le dice come sono: che cioè l’Imperatore di Francia non fa altro che un tantin di fuoco di paglia per l’affare dei piemontesi che invasero il territorio pontificio, solo perchè vada il fumo negli occhi alla diplomazia: come se questa non fosse già cieca abbastanza.

Ma lasciamo la parola a quel corrispondente:

merita a Napoleone III; egli lo fa comparire né più né meno di quel che è, cioè un gran… politico. Eccovi un brano di lettera del 12 inserita nella Perseveranza del 15 settembre di questo corrispondente:

“Il signor Talleyrand, ambasciatore francese a Torino, che ora si trova in via per ritornare al suo posto, ha ricevuto per telegrafo un dispaccio del signor Thouvenel, col quale gli si ingiunge di significare al Governo piemontese, con una nota, che se esso fa atto di intervento, la Francia ha risoluto d’interrompere con lui ogni relazione diplomatica.

Non si può dissimulare che questi fatti sono gravissimi. Tuttavia avreste torto di conturbarvene troppo; forse al postutto, è un mezzo astuto di dare soddisfazione alla Russia e d’impedirle che s’immischi negli affari della Penisola. In quanto all’Austria, essa rimane così, priva d’ogni pretesto per muovere alla Francia il rimprovero di non avere ancor una volta violate, coll’incoraggiare il Piemonte, le condizioni del trattato di Villafranca”.

Disapprovando la condotta del Governo sardo, sembra che la Francia consacri, in modo più speciale di prima, la sua intenzione che il principio di non intervento venga rispettato.

“L’Imperatore si crede ancor vincolato rispetto al Papa da doveri che apprezza a suo modo, e farà tutti gli sforzi affinchè la Santa Sede abbia a patire minori danni possibili dalla rivoluzione che già s’accese. Può anche darsi ch’egli abbia in vista certe eventualità, sulle quali noi ci asterremo dall’insistere. Gira la voce che Napoleone non giudichi sufficiente il rinforzo dei due reggimenti spediti a Roma, e che desse ordine di portare sino a dodicimila uomini il numero delle truppe di presidio: il generale Goyon ricevette l’avviso di ritornare al suo comando in Roma”.

Il ravvicinamento della Russia all’Austria o di questa a quella come si voglia, come il rallentarsi continuo dei vincoli d’amicizia fra l’Inghilterra e la Francia, sono fatti che vengono ad ogni ora constatati da circostanze che meritano la più grande attenzione: e al dire dei corrispondenti dei giornali piemontesi, al certo tutt’altro che proclivi alla unione dei due Imperi del Nord, come al dissolversi dell’alleanza franco-inglese, quello che dà maggior rilievo al ravvicinamento delle due Potenze settentrionali è appunto il manifesto allontanamento dell’Inghilterra dalla Francia “È assai malagevole, scrive appunto il corrispondente di Londra ad un giornale di Milano, se non al tutto impossibile, ristorare l’accordo e la fiducia tra queste due Potenze.

Il ripristinamento dell’alleanza inglese colla Francia è pressochè impossibile. Lord Palmerston, una volta che ha concepito un sospetto, una gelosia, ei diviene un oppositore tremendo ed ostinato.

I discorsi veementi ed oltraggianti con cui rispose la lettera cortese e affabilissima dell’Imperatore a Persigny, dimostrano di quale tempra sia egli forgiato, e quanto sia profondo e inalterabile il suo risentimento verso l’Imperatore Napoleone. Né debbesi dimenticare che lord Palmerston, quali che sieno i suoi sentimenti più recenti, è stato educato in una scuola ostile alla Francia; e le prime impressioni e le inclinazioni primitive sempre lasciano qualche vestigio nelle menti umane.

“Di fronte adunque ad un’alleanza austro-russa, il primo pensiero che sorge nella mente è di rinnovare l’accordo colla Francia. Sventuratamente, questo è quasi impossibile al presente. Non vi sarebbe che un atto che potrebbe togliere ogni diffidenza, e quest’atto sarebbe la cessione, da parte della Francia della Savoia alla Confederazione svizzera e di Nizza all’Italia”.

Dopo tutto questo sembra che Garibaldi voglia rompere le uova nel paniere al conte di Cavour – esso proclamerà dice, l’annessione, ma dall’alto del Campidoglio; Garibaldi l’ha detto ed ora il ripete vuol Roma, piaccia o non piaccia ai francesi, e mentre il suo amico Liborio Romano terrà da conto dei napoletani esso marcierà verso il Quirinale.

Davvero che se Garibaldi si intestarda nella sua opinione ne vedremo di belle: Garibaldi è meno politico di Cavour e di Napoleone, ma più conseguente. I primi due giocano di imbrogli, il dittatore di spada e di carabina.

Il Diavoletto, Anno XIII, N. 218, 19 settembre 1860

Un viva al re che costò caro.

Basterebbe il seguente fatto, per provare di qual sorta di libertà i rivoluzionarii, i garibaldiani, i piemontesisti vogliono far dono all’Italia.

  • Libertà di stampa, ben intesi per il partito dominante, non per i contrarii.
  • Libertà di associazione e di petizione, quando l’una cosa e l’altra non sieno in opposizione ai voleri dei capi-partito o del governo liberale. . . . Libertà di opinioni……….. però che si modellino sempre su quelle del governo e de’ suoi organi. Ma veniamo al fatto.

Garibaldi passò nel andare a Napoli da Vomero; la gente era accorsa sul suo passaggio, come avviene sempre del popolo che cerca e vuol novità.

ln un campo lavorava un buon vecchio; gli si avvicinarono alcuni della turba chiassosa, e gli intimarono appunto allorchè passava il dittatore che gridasse: Viva Garibaldi!

Al buon vecchio in vece l’amore al suo re non erasi spento nel cuore come ai mille traditori di Corte, di toga e di spada, e gridò a tutta voce: Viva il re, viva Francesco II…

  • Non aveva ancora finito che già una palla di moschetto partita da una guardia di finanza che gli si trovava d’ appresso, l’aveva steso morto sul terreno.

Ora domandiamo noi al nostro buon popolo con qual nome chiamerebbe il fatto?…

Siamo certi ch’esso lo giudicherà quale è infatti, un assassinio; eppure questo infame delitto trovò apologisti e lodatori nella stampa sarda.

Se domani un austriaco, dicesse a uno… di quelli che non lo sono: ohe! grida viva Francesco

Giuseppe, e l’altro rispondesse viva Garibaldi – e sul luogo si trovasse, ammettiamolo per un momento, una guardia che gli desse una schioppettata… che si direbbe dai nostri…. signorini?…

Guai sopra guai……. eppure che volete, buona gente, quel povero vecchio che fedele al suo re

voleva protestare tale sua fedeltà in faccia al mondo, s’ebbe una palla nel cuore…….. e per

sopramercato venne anche insultato…! Ma….. così la intendono i rivoluzionarii.

Il Diavoletto, Anno XIII, N. 219, 20 settembre 1860

L’attentato di Tolone.

Quando l’orrendo attentato d’assassinio compiuto da Orsini, faceva acclamare questo sicario dai liberali coi nomi d’eroe e di martire della patria italiana, e la stampa piemontese e di Londra non aveva che lagrime per gli assassini che la giustizia napoleonica colpiva della capitale sentenza, allora la stampa austriaca fu unanime, come il voleva onestà e giustizia, nel riprovare con tutta l’energia l’attentato assassinio, e di cuore si congratulò con Napoleone per lo sfuggito pericolo. Oggi, benché per nulla napoleoniani, noi ripetiamo le parole che abbiamo pronunciato in quella luttuosa circostanza, e riproviamo con tutte le nostre forze il nuovo attentato.

Non conosciamo i particolari dell’attentato di Tolone, ché il telegrafo non ci disse altro se non che un pazzo tirò a brevissima distanza un colpo di pistola sopra Napoleone; tuttavia dubitiamo fortemente della pazzia dell’assassino, e riteniamo ch’esso non sia che una di quelle mani armate dalla stessa setta che armò i regicidi di questi ultimi tempi. E forse il fatto non è vero.

Questo attentato posto assieme coi proclami rivoluzionarii mazziniani e con quello che lo stesso Garibaldi datava da Napoli ai Palermitani; e l’ingrossare delle file repubblicane nella Sicilia e a Napoli d’uomini noti al mondo pei loro immutabili sentimenti, ci dànno a sospettare d’assai sulla pazzia dell’uomo che attentò alla vita di Napoleone.

Dall’attentato di Orsini a quello di Tolone sono corsi varii anni – e se in quel tempo i fogli di Torino ornarono le loro colonne di lodi ai congiurati, e le nobili e gentili!! signore del partito liberale in quei dì ornaronsi il petto coi ritratti d’Orsini, lamentando il colpo fallito, e orando preci al martire caduto sotto la tirannia di Napoleone, da quel dì ad oggi passarono, diciamo alcuni anni, ed ora siamo sicuri che sarà mutata anche la politica sugli assassini. Se allora lo si lodava, ora lo si biasimerà, poichè ciò che era giusto ai dì d’Orsini, ora pei fogli

piemontesi sarà orrendo ed ingiusto; così essendo la bilancia politica dei liberali. È tale la condizione di chi segue l’inonestà politica dell’utile non quella del giusto.

In Austria s’innorridì allora al racconto dell’attentato alla vita di Napoleone; oggi un ugual senso viene provato e sentito alla nuova dell’attentato assassinio. Che sieno pur mutate le condizioni politiche, sia pure amico o nemico Napoleone, la sua vita è sacra come qualunque altra, e chi attenta ad essa sarà sempre per noi un assassino.

Noi la intendiamo così – e gli onesti saranno oggi come nel 1858 per noi e contro i sicarii.

Cose di Napoli.

I fatti compiutisi a Napoli nei giorni 5, 6 e 7 del corr. sono tanto curiosi che nulla più. Ecco come sono raccontati da un testimonio oculare e liberale, il quale scrive al Giornale des Débats che nella notte del 4 al 5 il ministero passò la notte presso il re, disputando sul da farsi. Il signor Spinelli propose il seguente dilemma: od il re deve ascendere a cavallo, e mettendosi alla testa del suo esercito, prendere l’offensiva; ovvero abbandonare la città, ritirandosi a Gaeta. Il principe Ischitella proponeva di inviare una parte dell’esercito contro Garibaldi, e di tenere l’altra parte in Napoli; ma fu riconosciuto impossibile questo piano, perchè si dubitava, con ragione, della fedeltà delle truppe. Alle 10 del mattino del 5, dopo una breve interruzione, riprendendosi le discussioni, i ministri fecero osservare che apparteneva ai generali di decidere se la guerra era possibile, e dopo la decisione i ministri provvederebbero alle cose necessarie. I generali, radunatisi a consulta, riconobbero unanimi che la guerra era impossibile, perchè essi non poteano contare sulle loro truppe. Il principe Ischitella fu incaricato di manifestare questo risultato al re, che allora decise

di partire, divenendo impossibile ogni resistenza; ma sorse un grande pericolo. Colla partenza del re

40.000 uomini armati, di cui il re formava il legame, restavano abbandonati a sé stessi. Il re si offrì di condurli a Capua per tentare di formarne un corpo d’esercito di qualche efficacia, od in caso diverso, avrebbe disciolto quelle forze che erano inutili per la difesa del Governo, e pericolose pei cittadini se si sbandavano a Napoli.

Al 6 nuovo Consiglio dei ministri, in cui il re sottoscrive la protesta alle Potenze estere, scritta dal signor De Martino, e firma il proclama ai Napoletani compilato dal signor Liborio Romano. Appena furono conosciuti questi due documenti, tutti i generali (vergogna! esclama il giornale des Dèbats), tutti gli ufficiali dello stato maggiore inviarono le loro dimissioni, eccetto due soli ufficiali, che il suddetto foglio lamenta di non conoscere per nome.

Alle due pomeridiane Sua Maestà si congedò dai suoi ministri, pregandoli a mantener l’ordine in una città di 500 mila abitanti, minacciata dai cospiratori, sconvolta in ogni senso da passioni violentissime.

Fu deciso che all’arrivo di Garibaldi il ministero resterebbe sciolto di fatto, ed il re a Gaeta ne formerebbe un altro, come avvenne, essendo falso il dispaccio telegrafico che annunciò la partenza del re per la Spagna.

Durante l’ultima mezz’ora giunsero ancora circa ducento altre lettere di alti impiegati, che inviavano la loro dimissione, le quali lettere venivano accumulate alla rinfusa intorno al re. Quei signori dimissionari il domani, 7, poterono vantarsi con Garibaldi di essere amici di lui d’antica data! Da molti giorni gli annessionisti faceano sforzi erculei, è sempre il Dèbats che parla, affinchè un ministro concentrasse in sua mano tutti i poteri e, formato un governo provvisorio, venisse subito proclamata l’annessione; speravano così d’impedire l’entrata vittoriosa di Garibaldi con poteri dittatoriali: gli stessi annessionisti si offrivano pronti a fare la piccola rivoluzione necessaria all’uopo. Ma il signor Spinelli, cui gli emigrati napoletani rendono giustizia, dicendolo persona onesta, sebbene non sia un’aquila d’ingegno, ricusò con isdegno le profferte degli annessionisti e, chiamati a consiglio i suoi colleghi, disse loro che l’onore volea che i ministri cadessero col re, al quale avevano giurato fedeltà, e tutti risposero: Sì! Sì! Ma al domani il ministro Liborio si unì coi curiosi per andare incontro a Garibaldi! Al 7, dietro alcune parole di Garibaldi male interpretate, si costituì un governo provvisorio, nel quale s’erano infiltrati tre cavouriani del partito dell’ordine, e verso le 11 di mattina pubblicarono il seguente manifesto: Italia e Vittorio Emanuele: Il governo provvisorio di Napoli decreta: Il generale Garibaldi è proclamato dittatore del Regno. Firmati: Ricciardi, Lambertini, Agresti, Carocciolo, Colonna, Conforti e Pisanelli. Ma Garibaldi minacciò questi ed altri di gettarli in prigione! Nella giornata fu udito Garibaldi medesimo pronunciare le seguenti parole: Vogliamo essere padroni in casa nostra, piaccia o non piaccia ai prepotenti della terra, le quali parole non sono tutte indirizzate all’Austria, soggiunge il giornale des Dèbats, , il quale soggiunge che Garibaldi volle essere padrone lui e pel diritto di conquista del reame, e perchè è il più degno! Garibaldi entrò a Napoli col camiciotto rosso e col cappello di feltro nero schiacciato: era accompagnato da soli otto dei suoi primari ufficiali; precedeva Garibaldi un inglese suo confidente, che portava una carabina a non so quanti colpi. Garibaldi sul principio non salutava se non colla mano, e parea molto stanco.

All’8 assistè alla festa religiosa di Piè di Grotta, come soleva fare il re di Napoli.

Notizie politiche.

AUSTRIA. Trieste 20 settembre. Il piroscafo francese, Seine et Rohne, arrivato ieri mattina a Trieste procedente da Ancona, avrebbe recato la notizia che i piemontesi attaccarono al 18 quella città simultaneamente dalla parte di terra e di mare. (O. T.)

Vienna 17 settembre. In risposta alla comunicazione circa al pranzo di gala ch’ebbe luogo l’11 all’i. r. Corte in onore della festa onomastica di S. M. l’lmperatore Alessandro, l’imperiale inviato russo di qui, signor de Balabine ricevette da Pietroburgo in via telegrafica l’ordine di presentare a S. M. I. R. Apostolica per questa attenzione i ringraziamenti dell’Imperatore Alessandro.

  • L’i. r. inviato austriaco alla Corte di Napoli, conte Emerico Szechenyi, levò il dì 7 corrente le sue armi in Napoli, e abbandonò la città in compagnia del re, assieme a tutto il personale d’ambasciata. Egli è atteso qui a questi giorni.
  • L’inviato napoletano, principe Petrulla, consegnò ieri a quest’i. r. Corte la protesta di S. M. il re Francesco, fatta a Napoli al 6 settembre, e contrassegnata dal Ministro de Martino.

lTALIA. Torino 16 settembre. Si scrive sotto questa data alla Perseveranza: “I particolari, che vanno giungendo dall’Umbria e dalle Marche, sono oltre ogni dire onorevoli per le nostre truppe. Esse non hanno avuto a riportare facili vittorie, ma hanno dovuto superare accanita e viva resistenza. I mercenarii si sono battuti disperatamente. Non è dunque una passeggiata militare, che i nostri soldati fanno, come era stato pietosamente insinuato: ma è una guerra bella e buona, che reca con sè molte difficoltà.

A Perugia i bersaglieri si sono al solito coperti di gloria. Un prete avendo ucciso con un’archibugiata un tamburo dei granatieri, è stato immantinente arrestato e per ordine del general Fanti passato per le armi.

Si rispettano i combattenti, ma si trattano con la necessaria severità gli omicidi. (Vedi un Viva al re nel N.º di ieri.)

Monsignor Bellà non va più in Baviera, ma bensì a Venezia.

Il marchese Giorgio Pallavicino Trivulzio, senatore del regno, è sulle mosse per andare a Napoli. Dicono che prima di accettare definitivamente le funzioni prodittatoriali voglia conoscere davvicino le condizioni delle cose.

Il conte di Siracusa è partito questa mattina col convoglio di Susa alla volta di Francia. Si reca, da quanto mi vien detto. in lnghilterra”.

  • Tutte le castella di Napoli sono state cedute in mano alla nazione. I soldati che vi erano di guardia hanno chiesto di riunirsi ai loro compagni a Capua.
  • Il signor Vittor-Hugo, repubblicano, ha l’intenzione di recarsi a Napoli.

Torino 17 settembre. La marcia del generale Cialdini alla volta di Osimo è un fatto militare e decisivo. Per esso il generale Lamoricière, che è a Macerata, trovasi tagliato fuori da Ancona. Le conseguenze di questa marcia sono evidenti: ed io non starò ad annoverarle.

Il numero dei prigionieri finora fatti nelle file dell’esersito pontificio è di intorno ai 5 mila: il quarto vale a dire, delle truppe capitanate dal generale Lamoricière. (Cart. d. Persev.)

  • L’Opinione parlando del proclama di Garibaldi ai palermitani, dove si dichiara che l’annessione si dee proclamare dal Quirinale, dice che “ha suscitato un sentimento doloroso, e lascia prevedere la possibilità di complicazioni che tutti gli uomini politici desiderano di antivenire”. Quindi soggiunge:

“I rinforzi della guarnigione francese a Roma non furono di certo mandati in seguito de’ movimenti delle Marche e dell’Umbria, ma perchè in Francia si sospetta che si voglia far qualche tentativo sopra Roma. Questo sospetto è deplorabile, e bisogna convenire che il proclama di Garibaldi non è fatto per dissiparlo”.

  • Riceviamo alcuni giornali di Napoli in data del 13, dai quali togliamo le cose più importanti. Fra gli atti ufficiali troviamo i seguenti decreti:

Il ministero dell’interno, che attualmente comprende anche il ramo della polizia, è diviso in due distinti dicasteri, l’uno denominato dipartimento dell’interno, e l’altro dipartimento della polizia. L’avvocato signor Raffaele Conforti è incaricato del dipartimento della polizia, continuando l’incarico già affidato al dipartimento dell’interno all’avvocato sig. Liborio Romano.

Dal giorno d’oggi:

I beni della casa reale,

I beni riservati alla sovrana disposizione, I beni dei maggiorati reali,

I beni dell’ordine Costantiniano amministrati già sotto la dipendenza del ministero della presidenza dei ministri,

I beni donati da reintegrare allo Stato, sono tutti dichiarati beni nazionali.

  • Il capitano De Maistre, morto combattendo a Perugia in difesa del Santo Padre, era figlio del governatore di Nizza, generale d’armata, Rodolfo De Maistre, e pochi mesi sono era ancora ufficiale nel reggimento Savoia cavalleria: egli era nipote del celebre scrittore Giuseppe De Maistre.

Genova 17 settembre. Domenica scorsa ebbe luogo in Genova un’adunanza del partito Mazziniano. Grandi furono le declamazioni contro il Governo, grandi i progetti che si fecero per atterrarlo.

Napoli 13 settembre. Il dittatore ha decretato che al popolo fosse fatto pagare il pane a 5 grani al rotolo: e che per questo fine fossero dalla autorità municipale distribuiti dei boni, ai presentatori dei quali i panattieri fornissero il pane a quel prezzo ribassato, restando il dippiù del prezzo a carico della città.

  • I bersaglieri piemontesi hanno occupato col beneplacito del dittatore, la gran guardia, ed occuperanno i castelli. Così potranno diminuire le incessanti e faticose occupazioni della guardia nazionale.
  • La notizia dell’entrata di Garibaldi in Napoli, invece di render più sentito e più opportuno il soddisfacimento del vivo desiderio di quelle popolazioni, fa al contrario sclamare al Precursore: Non è più tempo d’annessioni! A Roma dobbiamo dirigerci! Che la Sicilia si prepari a mandarvi i suoi deputati. Colà sarà inaugurato il regno d’Italia; e Vittorio Emanuele avrà la corona di torri! (Così si risponde dalla rivoluzione a Cavour.)

TURCHIA. Un dispaccio confidenziale del sig. Lavallette annunzia la condizione della Turchia essere ancora gravissima, ed imminente una catastrofe.

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.