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Il “Diavoletto Indipendente” (XXXVI)

Posted by on Apr 27, 2025

Il “Diavoletto Indipendente” (XXXVI)

Il Diavoletto, Anno XIII, N. 237, 11 ottobre 1860

Rivista di Politica.

Trieste 10 ottobre.

L’Europa conservativa assiste imperterrita all’inaugurazione di un nuovo sistema di gius pubblico, e di un codice internazionale sui generis fabbricato dal Piemonte.

Vide dapprima invadersi dai soldati sardi le Marche e l’Umbria, e moversi guerra al Santo Padre senza dichiarazione alcuna; il 10 settembre Cialdini passava sul terreno pontificio, e la dichiarazione di guerra giungeva a Civitavecchia l’ 1. Ora a Capua e nella battaglia di Maddaloni del 30 settembre presero parte alla lotta i soldati piemontesi e l’artiglieria sarda, senza che ne fosse indetta guerra dalla Corte di Torino a Francesco re di Napoli. Il gabinetto Cavour l’8 corr. solamente dichiara decaduta dal trono la dinastia Borbonica, e rilascia i passaporti a Winspeare, rappresentante di Francesco II di Napoli presso Vittorio Emanuele, rimasto fino a ieri testimonio delle più strane vicende che storia sappia narrare.

Questi fatti dovrebbero bastare a far vergognare la diplomazia che assiste al compimento dei medesimi e li suggella colla sua inerzia.

Quello però che più di tutto ci colpisce è la dichiarazione del conte di Cavour, che erettosi a giudice, sentenzia vacante il trono di Napoli. Esso si erige a Tribunale europeo e firma il decadimento d’una stirpe regia, e la morte di diritti riconosciuti e incontrastabili. Cavour impone a Francesco II di scendere dal trono de’ suoi avi, e vi scrive sull’armellino del regio paludamento – Vacante. Strano in vero – dopo che Garibaldi già da mesi chiama il regno di Napoli provincia del regno d’Italia, e intitola gli atti pubblici col nome di Vittorio Emanuele, il di cui stemma è impresso sui pubblici documenti e sulle bandiere del paese, ora Cavour dice quel regno vacante? – impudenza e doppiezza in uno. E non si sa forse che la votazione popolare è un atto pro-forma e nulla più. Napoli, tolto al suo re, appartiene ora a Vittorio Emanuele che colle sue e l’armi di Garibaldi, e la rivoluzione, se lo tolse – a che dunque aggiungere alla usurpazione la doppiezza? Francesco di Napoli, che pure ha un forte e grande partito per sè, e diremo anzi la maggioranza, potrà egli ottenere un libero voto dalle sue popolazioni? – Mai no – che ben si sa come tutto da lunga mano è preparato, affinchè questa prova, la più fallace che dare si possa, riesca a vantaggio del Piemonte.

Ma lasciamo questo ingrato argomento per raccogliere quanto ci recano di nuovo i giornali d’oggi, tanto più che esso ci trarrebbe a male parole.

Sulle cose di Napoli abbiamo molti particolari intorno agli ultimi combattimenti; nei giornali troviamo un nuovo ordine del giorno di Garibaldi ai militi dell’esercito italiano dato da Caserta 2 ottobre. – In esso è detto che:

“combattere e vincere, è il motto dei valorosi che vogliono ad ogni costo la libertà del l’Italia”.

Tutte le truppe garibaldiane che erano a Maddaloni, a Caserta, e sui monti, si portarono a Santa Maria, essendo intenzione del dittatore di attaccare Capua. Il 1. ottobre fuvvi attacco generale a Santa Maria; il fuoco durò 13 ore; il generale Sirtori spedì 2.500 prigionieri a Napoli.

Il governatore di Caserta mandò il seguente dispaccio al ministro dell’interno a Napoli: Caserta 2 ottobre.

“I regii verso le 7, 30 a. m. si sono avvicinati da Caserta vecchia, che avevano occupato ieri sera; erano entrati anche in Caserta nuova, ove danneggiarono la casa di Giovanni Santamaria. Attaccati dall’esercito italiano, ne furono fatti prigionieri un numero immenso, e gli avanzi ricacciati al di là di Norrone. La città è in festa, perchè uscita da pericolo così vicino, poichè vide financo i cannoni piantati nel suo centro nelle due strade che conducono alla parte settentrionale della città.

I giornali di Piemonte indipendenti tornano sulla risposta data dal conte di Cavour intorno all’asserto trattato di cessione della Sardegna alla Francia; e dichiarano chiaramente di non credere alle negative date dal signor conte: “Gli uomini indipendenti ed onesti, dice l’Unità Italiana di Genova, non hanno dimenticato le solenni promesse e proteste per Savoia e Nizza; le negative anche ufficiali in note pubblicate dal Governo inglese, e le negative della Gazzetta ufficiale del Regno – seguite da fatti che autorizzano a ritenere anche in avvenire il contrario di quanto viene asserito, Garibaldi fa arruolare nell’isola dell’Elba marinai per la squadra delle Due Sicilie; l’autorità sarde proibirono l’arruolamento, ma l’ufficiale garibaldiano, incaricato del medesimo, continua nella sua opera. Contraddizioni inesplicabili!

A Genova giunse l’8 il generale Lamoricière con 150 ufficiali prigionieri, figli delle migliori famiglie di Francia. Il Cattolico di Genova dice, che salpò per Marsiglia unitamente ai suoi compagni. L’Unità Italiana lo fa viaggiare per Torino. Giunsero pure da Napoli un migliaio di soldati napoletani fatti prigionieri negli ultimi combattimenti.

Intanto soldati e cannoni partono da Genova per Napoli onde unirsi alle truppe regie che già entrarono, con alla testa il re sul territorio napoletano.

Posto vacante!

Si dice che a Torino su per le cantonate si legga il seguente Avviso di Concorso

In ordine a reale decreto, il sottoscritto presidente dei ministri, e ministro degli esteri e della marina, conte ecc., ha aperto il concorso al posto sul trono di Napoli, dichiarato testè vacante dal sottoscritto stesso, giusta la superiore approvazione ad esso compartitagli dal non-intervento e dalla imperiale corte delle Tuileries.

Gli aspiranti dovranno presentare a protocollo del gabinetto di S. E. il signor conte di Cavour, ministro ecc., le loro petizioni in bollo competente entro tre settimane dalla data del presente, con dichiarazione di non essere legati in vincolo di parentela con nessuno dei principi testè spodestati in Italia, e molto meno coi reali di Napoli, i quali, in seguito ai concerti presi dal Piemonte con Inghilterra e Francia, non potranno essere ammessi quali aspiranti.

I petenti correderanno le loro suppliche, da presentarsi umilmente al signor presidente conte ministro, dei loro attestati, e dei servigi prestati alla rivoluzione, i soli validi e competenti dinanzi al tribunale di S. E., patrono supremo dell’Italia.

Nella eventuale nomina si avrà un particolare riguardo a chi potrà provare d’aver combattuto contro i principi d’Italia e contro l’ora vescovo di Roma (ex-Pontefice e principe delle Legazioni, Marche, Umbria, ecc.).

Si avverte che la proposta verrà fatta dal signor presidente sottoscritto, e la nomina spetterà ai popoli del reame in concorso, i quali a quest’ora sono informati dai fanti di S. E di quanto devono fare in proposito.

Per essere ammesse al concorso, le istanze devono essere documentate cogli originali allegati e colla tabella personale.

Le pezze giustificative richieste sono:

  1. Fede di nascita del petente; (Se questa porterà la firma di un curato della Savoja, ora dipartimento francese, sarà preferito il postulante).
  2. Attestati degli studi fatti e gradi conseguiti; (Qui fra gli studii, sarà bene si provi avere inmemoria alcuni paragrafi del Principe di Macchiavelli; chi avrà eminenza nel diritto internazionale e delle genti potrà essere il prescelto – di queste due scienze la scuola ed i testi migliori sono quelli del conte di Cavour e di Napoleone III. Il primo corso di tali scienze si tenne nelle università di Bologna, Parma, Modena e Firenze; il secondo in Sicilia e Napoli, e gli esami in Ancona!!)
  3. Attestati onorevoli.

(Saranno contemplati per tali, le prove di invasione a mano armata sui territori degli ex-principi italiani, e meglio quelli che comprovassero l’invasione dello Stato del Pontefice, ora vescovo di Roma secondo il nuovo jus Cavour e compagni; le guerre mosse senza previa dichiarazione; le calunnie e gli insulti gettati sui vinti: le guerre guadagnate con duplice, triplice, quadruplice forza sopra il nemico ecc. Questi attestati porteranno il visto della pacifica diplomazia colle armi dei rispettivi Governi onde convalidarne l’autenticità ecc.)

Dal concorso sono esclusi fino d’ora Francesco II di Napoli, la Spagna e quanti altri vantassero legittimi diritti sul trono delle Due Sicilie: essendo la legittimità un sopruso così dichiarato nel nuovo codice internaziomale edito a Torino a cura dei retori del Piemonte.

Resta pure escluso il principe e famiglia Murat, Garibaldi detto il Filibustiere in illo

tempore ed ora sopranominato l’Eroe. Del resto ai popoli è libera la scelta, come è libero il pensiero. Il presente sarà affisso in tutte le città del reame di Napoli, e nella Capitale della Subalpina ltalia. I fanti e i tubatori del Gabinetto di S. E. il ministro presidente sono incaricati della pubblicazione del presente concorso, con obbligo di farne analoga riferta.

Dato a Torino l’8 di ottobre del 1860. (D.G.) Cavour m. p.

Per conforme Il Diavoletto m. p

Il Diavoletto, Anno XIII, N. 238. 12 ottobre 1860

La battaglia al Volturno

Un corrispondente del Journal des Débats da Napoli dà la seguente relazione, in data 2 corrente, della battaglia al Volturno, relazione riprodotta anche dai giornali di Vienna:

Nei 5 o 6 ultimi giorni, Garibaldi aveva fatto dei miracoli di attività. Tanto aveva negligentato gli apparecchi ne’ precedenti giorni, altrettanto raddoppiò di cura, allorchè il pericolo divenne più imminente. Egli rinforzò dunque, come meglio potè, le posizioni prese da principio, chiamò uomini, munizioni e cannoni. Venne qualcosa; ma in così poca quantità, che un generale di truppe regolari si sarebbe creduto perduto e nella impossibilità di far qualcosa. Ma a Garibaldi parve sufficiente, animando tutto del suo soffio magico.

I reali avevano fatto sulla riva diritta del Volturno dei lavori formidabili di difesa. Essi tenevano le posizioni più favorevoli, senza parlare della piazza di Capua. La base dei garibaldiani si trovava a Maddaloni. L’ala sinistra si prolungava da Santa Maria ad Aversa, protetti qui dal canale che taglia profondamente la campagna ed occupata dal maggiore Corte coi volontari della Basilicata. Santa Maria, ben fortificata e guarnita di ridotti, era occupata dal general Milbitz, dalla brigata siciliana di La Masa, imbarazzo più che forza; dai due bei reggimenti di toscani Molenchini e Zacchieri e dai carabinieri genovesi di Balbi.

Il quartier generale restò a Caserta.

L’ala dritta, coperta dalle montagne, si prolungava da Dentici, occupato da Bixio, fino a San Salvatore per San Leucio. A mezzo miglio da questo villaggio evvi la Punta del Parco, ed un po’ più in là una collina che domina Caiazzo. La collina era occupata dai garibaldiani, Caiazzo dai regi. Un poco avanti dalla Punta del Parco, vi è un bivio, un braccio di esso mette a Caiazzo, l’altro a Capua. Questo bivio era pure occupato dai garibaldiani; Monte sant’Angelo, chiave della difesa dominante il corso del Volturno, era messo in istato di difesa e di attacco con un triplice piano di batterie confidate agli artiglieri genovesi, ed al corpo del colonnello Spangaro, della brigata Heber, sotto la direzione del capitano di stato maggiore Ferrari, disertore.

Questa posizione era particolarmente curata da Garibaldi in persona. Egli vi è andato pel meno 50 volte per ispezionare e regolare le batterie.

Il 29 il fuoco degli avamposti fu sempre mantenuto. I realisti parevano decisi a tentare un colpo. Il generale era agitatissimo e cupo. La piazza dello embarcadero di Santa Maria era ingombra di carrette, artiglierie, materiale da guerra, barche, affusti, vetture.

Il cannone tuonava verso sant’Angelo. La notte però non fu molto torbida. Domenica, 30, alla punta del giorno, Santa Maria aveva un aspetto agitatissimo. I soldati erano consegnati nelle caserme.

Garibaldi passò per recarsi a sant’Angelo; delle truppe, dei cassoni di munizione e dell’artiglieria traversarono al galoppo. Tutte le porte erano chiuse.

A Monte Sant’Angelo due battaglioni, comandati da Castellini, stanno per gettare un ponte sul Volturno, protetti dall’artiglieria del monte; essi si avanzano per un cammino coperto e pervengono a mettere delle barche nell’acqua; ma il nemico li scorge e immediatamente la riva dritta si trova coperta di realisti, e un fuoco spaventevole d’artiglieria s’apre contro le batterie di sant’Angelo e contro i garibaldiani. Una tempesta di granate li ricaccia molto maltrattati; essi abbandonarono il progetto del ponte e si ritirarono; i regi sono anch’essi malconci dal fuoco di monte sant’Angelo.

Garibaldi parte; ma ritorna dopo due ore e le artiglierie delle due parti ricominciano il fuoco.

Il 1. ottobre i regi tentarono il colpo decisivo. A ore 6 del mattino sortirono da Capua 15 mila uomini comandati dal general Palmieri, 5 batterie comandate dal general Negri. Ritucci comandava in capo. I generali Afan de Rivera, Barbalunga, Von Michel erano sotto a suoi ordini. Un altro corpo di 5 mila uomini marciò su Maddaloni, per prendere i garibaldiani alle spalle.

I reali si divisero in due corpi; uno per la via ferrata doveva attaccare la posizione di Santa Maria e attirare l’attenzione su questo punto, l’altro per la via consolare paralella, doveva traversare i campi, protetto dai reazionari e piombare dietro la posizione dei garibaldiani. Un migliaio d’uomini partendo da Plano, doveva passare il Volturno sopra Caiazzo e sboccare per San Leucio.

A sei ore e mezza, il fuoco vivissimo di fucileria cominciò e bentosto anche la cannonata. I reali arrivano sulle 15 arcate della ferrovia e ne scacciano i garibaldiani, ed a 8 ore attingevano Santa Maria, presso le mura dell’anfiteatro Campan. – lntanto che Ritucci faceva questo movimento, Garibaldi ne comandava uno analogo. Egli faceva partire da San Jamaro sulla sua sinistra il reggimento Melenchini, lo faceva passare fuori di Santa Maria e lo gettava sui campi che i reali volevano attraversare. Questi si trovarono così presi fra due fuochi, chiusi fra la ferrovia e la strada e cireondati. Il 7. cacciatori fu distrutto, eccettuati 35 uomini, un aiutante maggiore e il capitano Perelli fatto prigione.

Non si può dire l’ostinazione e l’accanimento dei combattenti. Tre volte le posizioni dei garibaldiani furono prese alla baionetta e tre volte riprese. Non si faceva quartiere, si combatteva senza gettare un grido e pressoché in silenzio. A mezzodì la vittoria cominciò a dichiararsi pei garibaldiani. De’ nuovi battaglioni e pezzi d’artiglieria arrivavano intanto da Caserta e da Napoli e prendevano

parte all’azione. I garibaldiani dapprima non erano che 10 mila, coi rinforzi giungono a 15 mila. Garibaldi si trovava per tutto. Egli osservava tutte le fasi del combattimento con i 2.000 uomini in riserva, pronto a gettarsi sulla sua sinistra in Capua se l’occasione si fosse mostrata. Egli era agitatissimo, rosso e bagnato di sudore, aveva la voce alterata.

Agli sbocchi della valle, dietro le montagne di Maddaloni, Bixio aveva definitivamente respinti i reali, che avevano preso e ripreso questa posizione. Presso San Leucio, la colonna di Assanti aveva impedito ai reali di passare il fiume. Il colonnello Corte aveva bravamente, coi Lucani e Calabresi, appoggiato il combattimento di Santa Maria e contenuto il nemico. Si son presi al nemico 5 cannoni coi loro muli e i loro affusti tutti nuovi. De’ prigionieri, dei feriti in grandissimo numero arrivavano a Santa Maria ed erano immediatamente mandati a Caserta colla via ferrata.

Una grande quantità d’ufficiali furono feriti o morti.

A mezzogiorno la cannonata cessò, la fucilata agli archi di Santa Maria però continuò. Le munizioni mancarono sovente ai garibaldiani, e mancò affatto il pane e il vino.

I garibaldiani si sono battuti da sei ore fino ad un’ora pom. senza bere una goccia d’acqua e senza mangiare un morsello di pane, sotto un sole ardente; ma nessuno mosse un lagno. I colonnelli Doun e Corrao rimasero

feriti al mattino. Il battaglione anglo-siciliano, comandato da Doun fu pressochè distrutto. Tutti gli ufficiali rimasero al loro posto feriti o morti. La batteria di Sant’Angelo è molto danneggiata. I campi erano coperti di morti e feriti che non si è avuto mezzo di levare. Gloriosa e feroce giornata per tutte e due le armate!

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