Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Il Ducato Longobardo di Benevento di Antonello Santagata

Posted by on Nov 11, 2020

Il Ducato Longobardo di Benevento di Antonello Santagata

Per almeno 15 secoli Benevento è stata una importante città, una vera e propria capitale e in alcuni periodi anche di un certo rilievo.

Capitale del Sannio Irpino per qualche secolo come Maloesis. Importante colonia romana a partire dal 268 a. C. come Beneventum, centro di commerci e snodo verso l’oriente. Poi capitale, con il nome attuale, dell’omonimo e potente Ducato Longobardo, dal 570 d. C. al mille inoltrato.

Sembra che oggi, di questo antico splendore, resti poca traccia nella coscienza collettiva dei beneventani, più impregnati, forse, della cultura e della mentalità “isolazionista” del lunghissimo periodo papalino.

Eppure, quando Napoli era un piccolo Ducato bizantino (che possedeva solo Amalfi e Sorrento), Benevento era un influente e vasto Ducato (dall’Abbruzzo a Crotone). Quando Napoli viveva di cultura riflessa (per quanto rispettabilissima) quella greco-bizantina, Benevento aveva raggiunto una tale autonomia culturale da creare nuovi modelli, esportati in tutto il meridione, come un particolare tipo di scrittura utilizzata nei manoscritti degli amanuensi (quella beneventana), un originale canto liturgico alternativo al canto gregoriano (il canto beneventano appunto) ed una scuola artistica di pittura nota come “scuola di miniatura beneventana” (di cui restano tracce nelle chiese di Santa Sofia, San Vincenzo al Volturno, Montecassino, San Michele sul Gargano).

Eppure, la città è uno splendido testimone vivente di quella gloria. Dall’Arco di Traiano al Teatro Romano, dalla Rocca dei Rettori alla splendida chiesa di Santa Sofia. Ogni giorno Benevento manifesta silenziosa la sua bellezza ad ogni singolo passante, il più delle volte distratto e inconsapevole.

Il prestigio del passato di Benevento, però, non sfuggì ad un grande stratega e cultore di storia come Napoleone Bonaparte che restaurò, nel 1806, il titolo di Principe di Benevento, concedendolo ad un Vescovo della famiglia Talleyrand.

Nel 570, fu Zottone, un capo guerriero, a fondare il Ducato. Quando scesero nel sud d’Italia i Longobardi non arrivarono con le intenzioni di conquistatori ma come mercenari al soldo dei bizantini, trovando l’Italia in uno stato di tremenda confusione dopo la dissoluzione dell’Impero di Roma e le guerre tra barbari e l’Impero d’Oriente.

Di stirpe e lingua germanica, adoratori di Odino e degli dèi del Walhalla, dovevano essere un popolo molto pratico e concreto. Non impiegarono molto, infatti, ad adottare il latino (l’Editto di Rotari, il compendio delle leggi dei Longobardi, fu scritto in latino già nel 643) e la religione cattolica (con il decisivo intervento di San Barbato da Castelvenere, come racconta la leggenda mista alla storia).

Pur se inferiori di numero rispetto ai residenti, (alcune stime calcolano, nel VI-VII secolo, la popolazione complessiva dell’Italia in circa 4 milioni, cioè meno della metà rispetto ai tempi dell’Impero Romano, a seguito di guerre, carestie ed epidemie) fu per loro abbastanza agevole imporsi e iniziare un duraturo dominio. Nell’Italia centro-meridionale, la cosiddetta Langobardia Minor che comprendeva il Ducato di Benevento e il Ducato di Spoleto, e nel nord, dove fondarono il Regno con capitale Pavia. 

La scelta di Benevento non fu casuale. La città era già un presidio bizantino molto ben fortificato, inoltre era situata in posizione strategica, protetta dai monti tutt’intorno e, soprattutto, si ergeva alla confluenza di due grosse vie di comunicazione: la via Traiana che portava a Taranto e la cruciale via Latina.

La conquista non fu indolore. Arrivavano in gruppi di circa duecento persone (dei clan familiari che si comportavano come vere e proprie orde) e portavano morte e devastazione. Prova ne è la distruzione di numerose ed importanti sedi vescovili che per anni non ebbero più successori. Dopo aver violentemente dimostrato chi fosse il più forte, imponevano ai possidenti locali di cedere un terzo delle loro terre e proprietà, proprio alla maniera dei Romani.

Parlavano una lingua di ceppo germanico ora estinta, che, come detto, abbandonarono ben presto in favore del latino e degli idiomi volgari neolatini. Della loro lingua sono rimaste molte tracce nell’italiano attuale. Termini come sguattero, stamberga, panca, trappola, guerra, schiena e verbi come russare e scherzare sono di origine longobarda.

Veneravano gli dèi della mitologia nordica il cui capo era Wotan (Odino) con sua moglie Frigg. Thor era il Dio del tuono e della tempesta e Loki il Dio dell’inganno e dell’astuzia.

A Frigg, “signora degli dèi”, è legata una leggenda sull’origine del loro nome. In una battaglia in cui essi si trovarono in inferiorità numerica la dea suggerì di schierare nello scontro anche le donne dopo aver girato sul volto i lunghi capelli così da sembrare al nemico uomini dalla “lunga barba”.

Come detto la loro integrazione, anche religiosa, fu molto rapida. La conversione al cristianesimo, almeno nel meridione, si dice sia stata opera di San Barbato. Avvenne nel 648, quando il Santo convinse il Duca Romualdo che avrebbe salvato Benevento, assediata da Costante II Imperatore bizantino, invocando la protezione della Vergine. In cambio chiese la conversione sua e del suo popolo.

Il miracolo riuscì. Benevento fu salva e i Longobardi adottarono ufficialmente il culto cattolico, anche se alcuni conservarono per un po’ di tempo i culti pagani come l’adorazione delle Vipera d’Oro. A essa dedicavano dei riti misterici e sfrenati, utilizzando teste di caproni neri, che celebravano lungo il fiume Sabato (da cui qualcuno fa derivare il nome “sabba”) ai piedi di un grosso albero di noce.

La tipologia di questi rituali li fece identificare, dall’immaginazione popolare, come culti satanici dove le donne, considerate come streghe o janare, si incontravano, anche carnalmente, con il diavolo. Ancora una volta ci pensò San Barbato che, con un atto di forza, proibì questi culti demoniaci facendo ardere il malefico “noce di Benevento”.

A Zottone successe Arechi I. Duca friulano che non aveva rapporti di parentela con il primo ma che di questi continuò l’opera espansionistica annettendo al Ducato Capua e Salerno, già rilevanti centri bizantini. Diversi Duchi beneventani non furono originari della città ma imposti dal Re di Pavia. Il ducato, infatti, era di fondamentale importanza strategica nella politica del Regno longobardo, essendo l’estremo baluardo posto ad arginare l’espansione bizantina nel mezzogiorno della penisola, e perciò doveva essere governato, il più possibile, da nobili di origine longobarda.

Nonostante ciò i Duchi beneventani godettero sempre di una spiccata autonomia rispetto al Re del nord, sia per le difficoltà di comunicazioni con la capitale, a causa della lontananza geografica, sia perché, come capi di un vasto e strategico ducato, si sentivano importanti e potenti. Autonomia che divenne completa quando, nel 774, con la caduta del Regno longobardo di Pavia ad opera dei Franchi di Carlo Magno, Benevento divenne un Principato, cioè totalmente indipendente.

Tornando alla cronologia, dopo brevi governi da parte di altri Duchi di origine friulana, venne il momento di Grimoaldo che, da abile politico, riuscì, nel 662, a farsi incoronare Re a Pavia e, nel frattempo, a controllare l’altro grande ducato longobardo di Spoleto lasciando, contemporaneamente, al comando di Benevento il figlio Romualdo (quello di San Barbato e della conversione dei longobardi). Anche Romualdo fu un conquistatore, riuscendo ad allargare i confini del Ducato fino alla penisola salentina, sconfiggendo più volte i bizantini.

Con Romualdo si stabilì, inoltre, una successione per via ereditaria, non in uso tra i Longobardi. Infatti, a questi successe il figlio Romualdo I poi il nipote Grimoaldo II e poi l’altro nipote Gisulfo I. Sotto i citati Duchi il territorio ebbe la massima espansione arrivando a comprendere anche la Puglia (tranne Otranto) e la Lucania.

Seguirono, poi, anni di congiure, di complicati intrighi politici e diplomatici tra i longobardi del nord e del sud, papato, bizantini ed aristocrazia beneventana, la quale cercò, per un paio di volte, di far insediare sul trono un nobile della città.

Fino ad arrivare, nel 774, ad Arechi II. Questi riuscì a farsi proclamare Principe dopo che il potere dei longobardi in Italia era entrato in crisi per la caduta di Pavia e Spoleto nelle mani dei Franchi. In tal modo Benevento rimase “l’unica erede dell’identità politica e culturale dei Longobardi in Italia”. Arechi ingrandì ed abbelli la città, che doveva testimoniare la magnificenza del principato, costruendo la Rocca, Santa Sofia e San Modesto.

Chissà perché contro Arechi, Carlo Magno non mosse mai una vera e propria guerra, nonostante le insistenze del Papa di allora, fermando, di fatto, il suo Sacro Romano Impero alle porte del Ducato di Benevento.

Tra i successori di Arechi II è da ricordare Sicardo, Principe tiranno che combattette a lungo contro Napoli e l’Impero d’Oriente trafugando da Lipari (possedimento bizantino) le ceneri di San Bartolomeo divenuto, poi, patrono della città.

Dopo la morte di Sicardo il principato cominciò a frantumarsi tanto da essere diviso, nell’849, in due entità: quello di Benevento, a cui rimasero la Puglia, il Molise e la parte abruzzese, e quello di Salerno a cui andarono la Lucania e la parte nord della Calabria.

Successivamente a questa spartizione, Benevento cominciò ad avere sempre meno importanza. Ci fu un periodo in cui fu occupata dai bizantini mentre, nel 900, il Conte longobardo di Capua, Atenolfo, fondò il nuovo Principato di Capua e Benevento però a predomino capuano.

Nel 978, un ultimo tentativo di ritrovare la passata potenza lo effettuò Pandolfo Testadiferro (fondatore anche dell’Arcidiocesi di Benevento) che per breve tempo riuscì a riunificare tutta la Langobardia minor raccogliendo sotto la sua autorità Benevento, Capua, Salerno e Spoleto. Dopo di che Benevento cadde nelle mani dei nuovi conquistatori normanni i quali, nel 1078, l’affidarono al potere papale sotto il quale rimase fino al 1860.

Antonello Santagata

L’articolo è tratto dal libro “Guida alla Valle Telesina e al Sannio- ad uso dei suoi abitanti o dell’ospite interessato” Ed. Fioridizucca 2019

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.