Alta Terra di Lavoro

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IL FALSO RISORGIMENTO

Posted by on Gen 19, 2025

IL FALSO RISORGIMENTO

Il processo chiamato “unità d’Italia” ha visto come protagonisti una sfilza di uomini più o meno celebri, i cosiddetti padri del Risorgimento. Dal nord al sud Italia ogni piazza o via principale si fregia di nomi come: Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele etc.

Il popolo viene indottrinato fin dalla più tenera età a considerare costoro dei veri eroi, gli artisti li raffigurano esaltando il loro valore in maniera da rafforzare il mito che li circonda. Innumerevoli sono infatti le opere d’arte che ritraggono l’eroe dei due Mondi a cavallo, in piedi che impugna alta la sua spada, che indossa la camicia rossa, altre volte si regge su di un paio di stampelle come un martire. Ma un ritratto che non vediamo è mai il Gran Maestro massone, Giuseppe Garibaldi, privo dei lobi delle orecchie. E dire che nessuna raffigurazione potrebbe essere più realistica poiché al nostro falso eroe furono davvero mozzate le orecchie, la mutilazione avvenne esattamente in Sud America, dove l’intrepido Garibaldi fu punito per furto di bestiame, si vocifera che fosse un ladro di cavalli. Naturalmente nessuna fonte ufficiale racconta questa vicenda.

È dunque lecito chiedersi quante altre accuse infanghino le gesta degli eroi risorgimentali? Quante altre macchie vennero lavate a colpi d’inchiostro da una storiografia corrotta e pilotata? Ma soprattutto quale fu il ruolo dei banchieri Rothschild nel processo di Unità d’Italia?

La Banca Nazionale degli Stati Sardi era sotto il controllo di Camillo Benso conte di Cavour, grazie alle cui pressioni divenne una autentica Tesoreria di Stato. Difatti era l’unica banca ad emettere una moneta fatta di semplice carta straccia. Inizialmente la riserva aurea ammontava ad appena 20 milioni ma questa somma ben presto sfumò perché reinvestita nella politica guerrafondaia dei Savoia. Il Banco delle Due Sicilie, sotto il controllo dei Borbone, possedeva invece un capitale enormemente più alto e costituito di solo oro e argento, una riserva tale da poter emettere moneta per 1.200 milioni ed assumere così il controllo dei mercati.

Cavour e gli stessi Savoia avevano ormai messo in ginocchio l’economia piemontese, si erano indebitati verso i Rothschild per svariati milioni e divennero in breve due burattini nelle loro mani. Fu così che i Savoia presero di mira il bottino dei Borbone. La rinascita economica piemontese avvenne mediante un’operazione militare espansionistica a cui fu dato il nome in codice di Unità d’Italia, un classico esempio di colonialismo sotto mentite spoglie. L’intero progetto fu diretto dalla massoneria britannica, vero collante del Risorgimento. Non a caso i suddetti eroi furono tutti rigorosamente massoni.

La storia ufficiale racconta che i Mille guidati da Giuseppe Garibaldi, benché disorganizzati e privi di alcuna esperienza in campo militare, prevalsero su un esercito di settanta mila soldati ben addestrati e ben equipaggiati. In realtà l’impresa di Garibaldi riuscì solo grazie ai finanziamenti dei Rothschild, con i loro soldi i Savoia corruppero gli alti ufficiali dell’esercito borbonico che alla vista dei Mille batterono in ritirata, consentendo così la disfatta sul campo. Dunque non ci fu mai una vera battaglia, neppure la storiografia ufficiale ha potuto insabbiare le prove del fatto che molti ufficiali dell’esercito borbonico furono condannati per alto tradimento alla corona. Il sud fu presto invaso e depredato di ogni ricchezza, l’oro dei Borbone scomparve per sempre. Stupri, esecuzioni di massa, crimini di guerra e violenze di ogni genere erano all’ordine del giorno. L’unica alternativa alla morte fu l’emigrazione. Il popolo cominciò a lasciare le campagne per trovare altrove una via di fuga. Ben presto il malcontento generale fomentò la ribellione dei sopravvissuti, si trattava di poveri contadini e gente di fatica che la propaganda savoiarda bollò con il dispregiativo di “briganti”, così da giustificarne la brutale soppressione.

Da allora, malversazioni, truffe, plebisciti truccati, donnine di non specchiata virtù usate come agenti d’influenza, voltafaccia, menzogne, attentati, ruberie, delitti eccellenti, morti sospette e insabbiamenti. Per non dire delle stragi e della guerra di religione, nonché il decollo della mafia e della camorra usate come quinta colonna quando non come vera e propria polizia da parte dei conquistatori.

A 162 anni di distanza si parla ancora di questione meridionale. Anche i più distratti scoveranno diverse analogie con quella che oggi viene invece definita questione palestinese. Stesse tecniche di disinformazione, stesse mire espansionistiche e soprattutto stesse famiglie di banchieri.

Solo che un tempo gli oppressi erano chiamati briganti… oggi invece sono i cattivi terroristi.

Ma negli anni ’70 inizia la svolta, escono una serie di saggi, di giovani intellettuali e storici meridionali (Nicola Zitara, Edmondo Maria Capecelatro, Antonio Carlo e altri).

Nei loro saggi attraverso una puntuale e rigorosa analisi socio-economica del Meridione preunitario, sostengono e dimostrano con dati e numeri inoppugnabili, (per esempio sull’industria agro-alimentare ma anche siderurgica nel Napoletano, ma non solo) che al momento dell’Unità il divario Nord-Sud non esistesse (o comunque non fosse determinante) sicché a determinare il sottosviluppo del Sud sia stata l’azione politica dello Stato unitario. In altre parole sostengono che la dialettica sviluppo-sottosviluppo si sia instaurata nell’ambito di uno spazio economico unitario – quindi a unità d’Italia compiuta – dominato dalle leggi del capitale.

Tale tesi, si ricollega fra l’altro a una serie di studi sullo sviluppo ineguale del capitalismo, in modo particolare di Paul A. Baran, di Andre Gunter-Frank e Samir Amin, che pongono in rilievo come la dialettica sviluppo-sottosviluppo non si instauri fra due realtà estranee o anche genericamente collegate, ma presuma uno spazio economico unitario in cui lo sviluppo è il rovescio del sottosviluppo che gli è funzionale: in altri termini lo sviluppo di una parte è tutto giocato sul sottosviluppo dell’altra e viceversa e dunque il sottosviluppo del Sud è il risultato dello sviluppo capitalistico e non della sua assenza.

Zitara, Capecelatro e Antonio Carlo furono accusati e tacciati di “nostalgie borboniche”. Perché? Per le differenti analisi parzialmente anche rispetto a Gramsci sulla Questione Meridionale? No! Perché avevano osato dissacrare quanto tutti avevano divinizzato: il movimento e il processo, considerato progressivo e progressista, del Risorgimento. Avevano osato mettere in dubbio e contestare le magnifiche sorti e progressive dello Stato unitario, sempre celebrato da chi a destra, a sinistra e a centro aveva sempre ritenuto che tutto si poteva criticare in Italia ma non l’Italia Unita e i suoi eroi risorgimentali….

Come spiegare diversamente l’atteggiamento nei confronti di Garibaldi? Durante il ventennio fu santificato ed eletto “naturalmente” come padre putativo di Mussolini e del regime e dunque fu “fascista”. Dopo il fascismo, prima nel ’48, alle elezioni politiche, la sua icona fu scelta come simbolo elettorale del Fronte popolare e dunque divenne socialcomunista. Negli anni 80 fu osannato da Spadolini e dunque divenne repubblicano, “come il generale vittorioso, l‘eroico comandante, l’ammiraglio delle flotte corsare e l’interprete di un movimento di liberazione e di redenzione per i popoli oppressi”. Fu poi celebrato da Craxi, e divenne socialista, “come il difensore della libertà e dell’emancipazione sociale che univa l’amore per la nazione con l’internazionalismo in difesa di tutti i popoli e di tutte le nazioni offese”. Infine fu persino rivendicato da Piccoli che lo fece dunque diventare democristiano. Ecco, è proprio questo unanimismo, questa unione sacra – destra, sinistra centro, tutti d’accordo – intorno al Risorgimento e ai suoi personaggi simbolo, che non convince. E’ questa intercambiabilità ideologica dei suoi “eroi” che li rende sospetti. Ecco perché occorre iniziare a sottoporre a critica rigorosa e puntuale tutta la pubblicistica tradizionale, ad iniziare dunque dai testi di storia, liquidando una buona volta la retorica celebrativa del Risorgimento. Per ristabilire, con un minimo di decenza un po’ di verità storica occorrerebbe infatti, messa da parte l’agiografia e l’oleografia patriottarda italiota, andare a spulciare fatti ed episodi che hanno contrassegnato, corposamente e non episodicamente, il Risorgimento e Garibaldi: Bronte e Francavilla per esempio. Che. non sono episodi né atipici né unici, né lacerazioni fuggevoli di un processo più avanzato. A Bronte come a Francavilla vi fu un massacro, fu condotta una dura e spietata repressione nei confronti di contadini e artigiani, rei di aver creduto agli Editti Garibaldini del 17 Maggio e del 2 Giugno 1860 che avevano decretato la restituzione delle terre demaniali usurpate dai baroni, a chi avesse combattuto per l’Unità d’Italia. Così le carceri Borboniche, appena svuotate, si riempirono in breve e assai più di prima. La grande speranza meridionale ottocentesca, quella di avere da parte dei contadini una porzione di terra, fu soffocata nel sangue e nella galera. Così la loro atavica, antica e spaventosa miseria continuò. Anzi: aumentò a dismisura. I mille andarono nel Sud semplicemente per “traslocare” manu militari, il popolo meridionale, dai Borboni ai Piemontesi. Altro che liberazione!

Così l’Unità d’Italia si risolse nella “piemontesizzazione” grazie all’esercito in combutta con gli interessi degli industriali del Nord e degli agrari del Sud, il blocco storico gramsciano, contro gli interessi del Meridione e delle Isole e a favore del Nord; contro gli interessi del popolo, segnatamente del popolo-contadino del Sud; contro i paesi e a vantaggio delle città, contro l’agricoltura e a favore dell’industria.

Al Sud, tutti erano briganti, banditi, criminali comuni, mentre gli altri che venivano dal Nord erano i liberatori.“Due mondi erano in conflitto tra loro. Perchè l’uno venisse a patti con l’altro occorreva che il vincitore riconoscesse le differenze e cercasse di cancellarle realizzando una maggiore giustizia sociale. Invece scrive Guerri, “si preferì l’azione repressiva, determinata a stroncare, soffocare, estirpare. Una logica che alimentò se stessa: la violenza ne generò altra, sempre più crudele”.
I meridionali dagli ufficiali e soldati italiani furono percepiti come una razza inferiore, ma nello stesso tempo, Guerri considera questi soldati che andarono a combattere una sporca guerra, furono forse i meno colpevoli, “furono l’ultimo anello di una catena di errori e orrori[…] furono vittime, come i loro nemici, di una carneficina che poteva essere evitata”. Le colpe maggiori sono di chi dirigeva il Regno sabaudo, con la legge Pica del 1863, il governo di Torino, “in pieno accordo con il Parlamento, impose lo stato d’assedio annullò le garanzie costituzionali, trasferì il potere ai tribunali militari, adotta la norma della fucilazione e dei lavori forzati, organizzò squadre di volontari che agivano senza controllo, chiuse gli occhi su arbitrii, abusi, crimini, massacri”. Per i Savoia,“i briganti erano l’emblema di quel figliastro malato e depresso, geneticamente tarato”.

E’ necessaria una “profonda opera di revisione storiografica”, specialmente sul brigantaggio. “Come ogni guerra civile, anche quella tra piemontesi e briganti è stata raccontata dal vincitore. Che però, a differenza del solito, non ha potuto vantarsene: si preferì nascondere o addirittura distruggere i documenti, perchè non fossero accessibili neppure agli storici”. Il brigantaggio postunitario, per la nostra storia fu “quasi un incubo da rimuovere o censurare, una pagina vuota, una tragedia senza narrazione. I briganti scontano, oltre alla sconfitta, anche il destino della dannatio memoria. A loro, non spetta l’onore delle armi”. Per i padri della patria rappresenta una specie di zona d’ombra, “una guerra in-civile come quella andava dimenticata, rimossa o almeno ridimensionata alla stregua di una semplice, per quanto sanguinaria, operazione di polizia”.
Ironicamente Guerri scrive che per i vincitori, “le pagine luminose, da consegnare agli archivi della memoria, sono altre: con tricolori sventolanti, imprese da trasmettere alle future generazioni nei manuali di scuola[…]”. Tuttavia lo storico senese auspicava che per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità nazionale, si rinunciasse al “conformismo retorico e patriottardo”, a quelle “tentazioni oleografiche”, non tanto per “denigrare il Risorgimento, bensì di metterlo in una luce obiettiva, per recuperarlo – vero e intero – nella coscienza degli italiani di oggi e di domani[…]”. 

Mentre cronisti e storici locali contano oltre 100.000 caduti fra i meridionali. “Cifre a parte, il dato oggettivo non cambia: fu combattuta una guerra civile, con rappresaglie, saccheggi e fucilazioni sommarie. E’ il lato terribile di ogni contrapposizione fratricida”, “quella conquista comportò episodi da sterminio di massa”.

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1 Comment

  1. E’ un articolo che dovrebbe trovar posto tra quelli che riempiono seminando ignoranza anziché conoscenza diffusi nei libri scolastici… nessuno che si indigna e reclama nelle cosiddette alte sfere?…e’ da lì che deve partire la diffusione della verità’ per riabilitare metà del popolo cosiddetto poi “italiano” dopo averlo calpestato con falsità’ seminando fin dalle aule scolastiche ignoranza! caterina

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