Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

IL LAZIO MERIDIONALE: STORIA, CULTURA E NATURA.

Posted by on Gen 15, 2017

IL LAZIO MERIDIONALE: STORIA, CULTURA E NATURA.

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Incastrata tra i colli Albani a nord, il fiume Garigliano a sud, i monti Simbruini ed Ernici ad est, il mar Tirreno ad ovest, sta la subregione del Lazio meridionale, un territorio oggi sovraprovinciale che ingloba le province di Frosinone e Latina con il sud di quella di Roma. Trattasi di uno spazio storico che un tempo fu chiamato (in parte) Latium vetus (antico Lazio) o identificato col Latium adjectum (Lazio aggiunto). Piu’ tardi lo chiamarono Campagna di Roma, ed in epoca pontificia fu denominato come provincia di Marittima (la zona costiera) e Campagna (la zona interna). Il termine “Ciociaria” gli fu assegnato solo di recente, e massimamente con riferimento alle valli del Sacco e del Liri. Ne risulta dunque una zona cuscinetto tra Roma e Napoli, dalle culture, tradizioni e costumi per lo piu’ risolvibili ed assimilabili in senso agro-silvo-pastorale, pertanto dai forti connotati contadini da cui Roma trasse, meglio, succhio’ disinvoltamente (ma la storia continua) risorse economiche, artistiche, commerciali, culturali in senso lato, e prima ancora soldati per la guerra, uomini per la politica (di guerra) e la religione, edificandovi strade, citta’, dimore ed insediamenti “ad usum delphini”, secondo i meccanismi del piu’ classico sistema coloniale.

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Negli anni ’30 la provincia di Latina, allora Littoria, venne bonificata dalla malaria, ripopolata per lo piu’ da veneti e ricostituita in un comprensorio atipico, un’ enclave antropologica e culturale di sicura originalita’. La differenza geografica tra la “Marittima” e la “Campagna” colpisce perfino a prima vista. Di la’ la pianura con vista al mare, di qua l’interno coi rilievi collinari e montagnosi, ora aspri e brulli, ora boscosi, solcati dai fiumi Aniene, Sacco, Liri e Garigliano che disegnano le ben note valli sulle cui colline pulsano ritmi e vita delle genti annidate nei borghi ciociari. e le diversita’ morfologiche, come spesso accade nelle classificazioni geo-antropiche, si riflettono sui toponimi. I monti Ernici, all’interno, richiamano l’etimo herna= sasso, gli Ausoni, sulla piana costiera, rimandano ad ausa= la fonte, ossia alle terre del popolo vicino alle fonti, alle acque del Liri e Garigliano. A Ceprano, Valle del Sacco, si rinvennero i resti di una calotta cranica datata 800mila anni fa, intorno e’ di casa l’Uomo di Neanderthal, sulla costa cacciavano invece popolazioni con insediamenti nell’oltre Sacco e riconducibili all’ultima glaciazione.

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Un esploratore che, agli albori della civilta’, a guisa di un Colombo ante litteram, fosse sbarcato sulle coste del Lazio meridionale, sarebbe rimasto allocco all’impatto con la meravigliosa sequela di spiagge incontaminate, bianche e fini di sabbia, o nere, di costoni e speroni rocciosi a picco sul mare, di distese densissime di verzura smeraldina fatte di pinete e lecceti e poi di boschi, e via via, verso l’interno, di rilievi calcarei e tufacei, ed infine di monti rocciosi e compatti e alti. Ecco l’Appennino, con le sue enormi riserve d’acqua tra le maggiori d’Europa, che alimentano gli storici acquedotti del Simbrivio a est, dell’Aniene a nord, del Gari a sud a rifornire e dissetare tutto il comparto ma, in primis, Roma, la citta’-regione, la tentacolare metropoli i cui bisogni primari fanno ineducatamente ombra, comprimendoli sovente, agli stessi bisogni delle province sorellastre, soverchiate in economia, demografia, politica, storia, cultura e quant’altro. Nondimeno ecco, l’esploratore prende confidenza e coscienza, ormai ha scoperto nel bel territorio tre direttrici longitudinali: per prima la costa, con l’agro pontino e la piana di Fondi chiusi dal Garigliano a sud, dai monti Ausoni e Aurunci a sud-est; poi la Valle del Sacco e del Liri, piu’ centralmente e ad est; infine la direttrice formata dall’Aniene e quindi dai monti Ernici e Simbruini ancora piu’ ad est e che gia’ sconfina verso i canonici duemila metri dei monti della Meta (monte Meta m. 2241, monte Viglio m. 2156, Mainarde m. 2070, Pizzo Deta m. 2037). Ma qui e’ gia’ l’Abruzzo che ti chiama da dietro l’angolo. Ne deriva che, stanti i tre settori longitudinali, e’ impensabile un clima uniforme. Occorre mettere sulla bilancia ben quattro variabili: la centralita’ del Lazio meridionale rispetto all’Italia, la sua ampia fascia costiera, l’orografia del territorio addolcita da pause pianeggianti, l’altimetria. Ne risulta un clima vario e variabile, per nulla conforme, con frequenti sbalzi termici specie nei fondivalle e nelle depressioni intermontane, appena mitigati dalla barriera appenninica che ripara dai venti freddi di nord-est e dalle correnti umide occidentali. Nella fattispecie, la fascia costiera presenta poco o punto escursioni termiche, ha scarsa piovosita’ (tra i 750 e i 1000 mm di pioggia annua). al contrario, procedendo ad est verso l’interno, l’inverno si fa piu’ rigido sulle zone collinari dove aumentano le precipitazioni (dai 1250 fino a 2000 mm annui sui colli laziali, sui Lepini, Ausoni e Aurunci) che si fanno sempre piu’ intense e frequenti lungo la dorsale sub e preappenninica, cosi’ come le escursioni termiche. A nord della foce del Tevere prevalgono i venti di nord-est giacche’ scavalcano l’Appennino, a sud invece di piu’ quelli caldi e piovosi. La media isotermica sulla costa si aggira sui 17°, nei rilievi interni sui 15°. Una curiosita’: a Velletri distante dal mare 25 km la media termica gennarina e’ di 7°, a Casamari, distante dal mare 45 km, la stessa media e’ di 5°, e due gradi di differenza dimostrano la difformita’ di un clima alquanto ballerino, quando non traditore.

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La storia dei documenti dimostra che tra il sette e l’ottocento a.c. furono gli Etruschi a farla da padrone nel lazio meridionale, pur dovendosela vedere con popoli indigeni per nulla infingardi come i Latini, Ernici, Volsci, Equi, Ausoni. Anche i Romani cominciarono ad alzare la voce fondando sui Lepini colonie come Norba, Segni, Cori. Sono di questo periodo le imponenti mura ciclopiche o poligonali delle citta’ erniche di Anagni, Alatri, Veroli e Ferentino, possenti fortificazioni murarie (che segnano l’apoteosi della conservazione proprio nella civita alatrese) come anche quelle Volsche di Sora, Arpino (corrispettivo della civita alatrese per fama e importanza), Cassino, Roccadarce, Aquino, Terracina, Artena, Atina, Cori, Norba, a testimonianza inoppugnabile dei primi insediamenti abitativi nel Lazio meridionale. Specie nel popolo volsco, allocato tra i monti della Meta e gli Ausoni, i Romani trovarono una sorta di castigamatti, agguerrito ed espansionista specie verso le potenzialmente fertili, in realta’ malsane all’epoca, pianure della costa. Oltre alle mura, furono edificati transiti e strade. Tra queste, la nota via Latina che gia’ dal IV sec. collegava Roma con Segni, quindi, sforando in valsacco e val di liri, raggiungeva la Magna Grecia passando per Teano e Capua, permettendo cosi’ agli Etruschi come ai proto-romani un florido commercio con le colonie piu’ a sud. La fama della via Latina sara’ oscurata dalla costruzione (312 a.c.) ed utilizzo della celebre regina viarum, la via Appia, che collegava l’urbe con Brundisium (Brindisi). Nondimeno tornera’ in auge verso il crepuscolo dell’impero romano, con il concomitante aumento di insicurezza che strapazzava i viandanti sull’Appia.

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I Volsci furono sempre una spina nel fianco dei Romani, almeno per duecento anni e mezzo, dal 600 fino alla seconda meta’ del 300 a.c. riottosi e mai domi, al contrario degli Ernici che, pur lottando per i propri diritti, mai misero in forse la supremazia romana ed anzi fecero parte della Lega latina contro Equi e Volsci. Quest’ultimi premevano da sud, da un lato verso i territori di Roma, dall’altro ad est verso quello degli Ernici. Parallelamente alla decadenza etrusca, affermarono il proprio predominio sul Lazio sud, giungendo alle porte di Velletri. Erano i Volsci cosiddetti eceterani (da Ecetra, l’attuale Atina). Sulla costa dominavano i Volsci anziati (da Antium, cioe’ Anzio), altra ala dello stesso uccello, signori da Terracina a Satricum. Tutti si spandevano su un vasto territorio del sud Lazio, dall’interno al mare con importanti centri: Arpinum, Cominum, Sora, Atina verso il centro; Terracina, Formiae e Pontiae sul mare; sui Lepini: Cori, Velitrae, Norba e Privernum. Spinti da ambiziose mire non evitarono lo scontro con Roma che ando’ avanti per due secoli, tra alterne vicende che li vedevano conquistare e riperdere centri come Frusino, Arx fregellana, Aquinum, Interamna lirenas. Infine, subirono la batosta della vita nel 338 a.c. a Suessa Pometia. per cui Roma non tardo’ ad imporre la sua pax in questo periodo (trattato del 306 con gli Ernici, del 304 con i Sanniti) sottomettendo, compresi i famigerati Volsci, tutto il Lazio meridionale.

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Conquistato il quale ormai l’appetito romano si rivolse ancora piu’ a sud, al Sannio. E la sub-regione divenne il teatro di seri episodi di guerra come l’assedio di Fregellae del 321, con gli abitanti finiti arsi vivi. Storia poco nota questa e che in seguito si arricchisce – si fa per dire – di altri episodi cruenti a danno degli indigeni che ci andarono di mezzo anche nella guerra punica contro Annibale. L’africano degli elefanti mise al sacco cittadine come Casinum, Interamna, Aquinum e ancora Fregellae, minacciando la stessa Roma. E’ il 211. A guerra finita l’Urbe ingrata non fece altro che centellinare a pochi degli strenui alleati lo status di municipia, che consentiva di battere autonomia e gestione in proprio. Le uniche beneficiate furono Anagni, Veroli, Ferentino, Alatri che pure si beccarono quasi una punizione col “sine suffragio”, in pratica il non voto. A tutti gli altri mazzate e corna. Dovette passare piu’ di un secolo perche’ Roma si addolcisse un po’ e, nell’88, ormai sottomessa e pacificata l’Italia tutta, munificamente elargisse i diritti politici in senso lato ai popoli italici. Ma siamo gia’ al tempo degli Homines novi, non piu’ rampolli del patriziato, sibbene una sorta di self-made-men, espressione di una embrionale classe media che dalla provincia va a far fortuna in capitale: Gaio Mario da Casamari (un toponimo rimasto a gloria della domus dove nacque), tribuno e avversario di Silla, grande trionfatore su Giugurta (104 a.c.); Marco Tullio Cicerone, da Arpino, il retore per eccellenza ed antonomasia, teorico e fondatore dell’ars oratoria, forbito principe del foro e padre indiscusso della lingua latina classica che ebbe rapporti turbolenti con l’intera intellighentsia allora al potere, da Giulio Cesare, a Pompeo, a Catilina, Lucullo, Crasso (che fece una brutta e annunciata fine a Formia, per mano di un sicario di Marcantonio); Giulio Cesare Ottaviano Augusto, da Velletri, volsco doc dunque, l’ambizioso, scaltro e lungimirante fondatore di un impero che tra millenarie vicende in occidente ed oriente viaggio’ per ben 1480 anni nella storia del mondo; Marco Vipsanio Agrippa, da Arpino come Cicerone, lo stratega di Azio (31 a.c.), il repressore delle gallie ribelli, l’architetto del celebre Pantheon che, sul frontone, ne celebra imperituro il nome.

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Risulta motivo di fierezza che della dominazione romana nel Lazio sud restino vestigia a testimonianza, non solo e non gia’ di una pedissequa ed automatica acculturazione ai vigenti elementi di matrice romana, ma di una sorta di sincretismo su vasta scala che rivendica aspetti identitari propri e, del resto, ben individuabili ad un’analisi non superficiale. In concreto, gli elementi culturali locali non annegarono nel mare magnum della conquista, ma, fondendosi con quelli apportati dai vincitori, diedero vita ad esiti nuovi in cui quelli locali non si estinsero ma finirono per restare visibili nei successivi sviluppi della civilta’. Per gli Ernici, Volsci, Equi, quand’anche in formato ridotto, successe quanto era accaduto per gli Etruschi e stava accadendo ancor piu’ con le colonie greche che irradiarono nel sud Italia e altrove usi, costumi e tradizioni fatte proprie dai discendenti di Romolo (ne e’ celebre esempio la famosa proposizione “Grecia capta ferum victorem coepit”- “la grecia conquistata ingentili’ il barbaro vincitore”), ossia: Roma vinceva, dettava le leggi, ma non disdegnava di assorbire e rispettare le consuetudini e i costumi dei popoli soggiogati. Pur sempre, si capisce, continuando a radicare indelebili le tracce del suo dominio. Nel lazio sud, tra tali e tante, prevalsero templi e mura, quelle di Aquino, Alatri, Segni, Norba, Anagni (Santa Maria del popolo), Palestrina, Ferentino, Cori, Priverno, Terracina. I romani amavano gli “otia” (assieme ai “negotia” – cioe’ riposo e affari) e allora giu’ ville a non finire. Ci restano quelle di Varrone a Cassino, Pompeo Magno ad Anagni – qui soggiorno’ anche Marc’Aurelio imperatore – di Tiberio a Sperlonga, di Adriano a Tivoli, di Nerone a Subiaco. E siccome quando conquistavano un territorio nuovo pensavano subito, oltre che a come muoversi e andare in giro, a fare abluzioni e a dissetarsi, ecco l’importanza delle strade che solcavano il Lazio sud, degli acquedotti (sopravvivono quelli di Cassino, Atina, Alatri e Subiaco) e poi delle terme dove si spupazzavano pomeriggi interi (famose vestigia nella villa di Varrone a Cassino, Aquino, Supino, Interamna, Anagni, Priverno). Ma i Romani nemmeno si astenevano dai diletti del tempo libero, percio’ andavano a donne ma anche a teatro. Ce ne restano, con gli anfiteatri, a Cassino, Aquino e Ferentino. Tombe se ne trovavano ovunque, e il tempo ci ha restituito le pochine vicino a Ferentino, Anagni, Cassino. La ritrattistica era in voga, qualcosa ci e’ giunto e sta a Cassino. Ci resta anche una statua, ed e’ quella di Tiberio a Priverno (ora nei musei vaticani), un arco di trionfo e’ di stanza ad Aquino. Un po’ grafomani lo erano i Romani, si conservano lapidi e iscrizoni, tra questi i famosi Fasti verulani a Veroli, il testamento di Aulo Quintilio a Ferentino. Per gli amanti dell’epigrafia niente di meglio che il lapidario di Anagni, annesso alla cattedrale, con scritte, iscrizioni e lapidi in gran parte dei primi secc. dopo Cristo. Il Lazio sud ha anche i suoi scrittori latini, Lucilio di Sessa Aurunca, un creatore del genere satirico di cui restano scritti datati intorno al 180 a.c., in piena espansione della cultura greca, Titinio di Sezze, il piu’ antico scrittore di commedie togate, cioe’ di ambiente italico, e poi un nugolo di oratori, a cominciare dal sommo Cicerone da Arpino, Visellio Aculeione e suo figlio Visellio Varrone da Sora, M. Pontidio, M. Gratidio con suo figlio Mario Gratidiano, D. Valerio e Quinto Valerio ancora da Sora, Lucio Porfirio da Fregelle. Aulo Irzio da Ferentino e Betililieno Varo da Alatri vengono ricordati per l’arte. Menzione a parte meritano i signini, produttori di un ottimo vino ed inventori di un ingegnoso sistema di impermeabilizzazione del fondo di pozzi e cisterne passato alla storia come “Opus signinum”. Era di Aquino il grande Giovenale, nativo contraltare pagano del supremo San Tommaso. L’autore delle famose 16 satire, divise in cinque libri, vissuto tra 1° e 2° secolo d.c., spande la sua fama mondiale per aver messo alla gogna la societa’ corrotta e decadente del tempo che scandalizzava perfino i piu’ rotti alla crapula et similia. Era di Sezze, invece, G. Valerio Flacco autore delle Argonautiche. Fu la Regina viarum, la via Appia, a favorire la diffusione a raggiera prima dei culti orientali anche esoterici e misterici, quindi, a partire dal 2° sec., della nuova religione cristiana.

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Nel periodo paleocristiano il Lazio-sud offre il sacrificio di quasi altrettanti martiri cristiani che Roma, nonche’ la costituzione di prime comunita’ a partire dal 250 a Fondi, Terracina, Ferentino; venne poi l’editto di costantino (313) che sdogano’ la religione cristiana attraverso la liberta’ di culto concessale al pari delle tante figuranti nell’impero. Il cristianesimo si apriva la strada, solo 67 anni dopo (380), al privilegio di diventare l’unica ed ufficiale religione di stato -diremmo oggi-. In conseguenza il Lazio sud conosce un vivace fervore religioso suggellato dalla partecipazione dei vescovi Costantino di Aquino e Gaudenzio di Anzio al concilio di S. Maria Maggiore (465). Cade l’Impero romano d’occidente (476) e da allora il potere della Chiesa, in simbiosi con quello bizantino d’oriente, si va via via affermando grazie ad un’abile politica mediatrice condotta dai vari vescovi tra le famiglie dei signorotti locali, (specie quelle nobiliari romane, cui i papi concedevano territori in enfiteusi alla terza e quarta generazione) e le frange delle orde barbariche scorrazzanti nella penisola. Questo espediente consenti’ alla proto-chiesa, che un vero esercito se lo sognava, di far fronte ai diversi eserciti e alle soldataglie di temibili potenze militari.

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Alla formazione di questa sorta di potente “no trespassing zone” contribui’ una delle nostre glorie nazionali, non sempre ricordata secondo i meriti, che va sotto il nome di monachesimo. Il Lazio sud ne diventa un’area d’elezione, quasi d’eccellenza tra le tante sparse in Italia. Una volta ribadito il suo potere temporale in primis nel centro-sud italico, il papato pensa a trasmettere ed affermare sul territorio il suo alter ego spirituale, seguendo un impulso di depaganizzazione del contado. L’affermazione del potere spirituale implica infatti la conservazione di quello temporale, piu’ e’ forte quello, piu’ resiste questo che rafforza e rinvigorisce l’atro. A vicenda si autoincludono, e’ impossibile concepirli separatamente. Quest’assioma e’ alla base dello sviluppo del monachesimo, i cui centri diventano punti di riferimento, irragiamento, di identita’ della civilta’ cristiana in cui il popolo si riconosce e di cui va orgoglioso. Ma la civilta’ non ha senso senza la storia, le tradizioni, le consuetudini, il territorio sul quale insistono. Dunque la spiritualita’ della Chiesa diventa un perfetto connubio con la terra, la proprieta’ della Chiesa. Entrambi formano un tutt’uno. Tra il ‘500 e ‘600 nascono i primi monasteri, sia in forma cenobitica (basata su regole che comportano lavoro unito a preghiera) che eremitica (con norme impostate sull’isolamento del singolo). San Benedetto da Norcia fonda quello celebre di Subiaco. ne proliferano altri dodici ciascuno dei quali contiene dodici monaci (rimando emblematico agli apostoli). Il Lazio sud viene punteggiato di eremi. Nel 529 viene fondato quello famosissimo di Montecassino, poi e’ la volta di quello femminile di Primarola (vi risiedette S. Scolastica), quindi quelli di S. Sebastiano ad Alatri e S. Erasmo a Veroli. Nell’alto medioevo, a partire dal XII  sec., la fioritura si fa impressionante. La casa madre di Citeaux in Francia spande la sua fama ed ecco, esempio unico in Italia per il fatto di erigersi tutte in ciociaria, nascono le imponenti Abbazie Cistercensi di Casamari (1203), la bellissima Fossanova (1208), Valvisciolo (1240), la possente Certosa di Trisulti (1204), quella dei Florensi ad Anagni. Traslando dal dominio religioso a quello storico-politico, tal fenomeno risulta quasi una palese “reconquista” da parte di Roma imperiale, ormai sepolta, di quella sua provincia meridionale del “vetus latium” ormai in balia di sempre nuovi invasori, Vandali (455), i Goti di Alarico (489), i Bizantini di Giustiniano che si ripresero (535), ma per poco, molti territori in occidente, i Longobardi (568) con la loro lunga saga, i Franchi (774), i Saraceni con le loro frequentissime e rapaci scorrerie, i Normanni con il grande Guglielmo il conquistatore, i Germanici con i due Federico.

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E’ l’epoca in cui si formano le grandi famiglie nobiliari romane legate a filo doppio alla corte papale cui forniscono servigi, protezione, appoggio, non di rado prelati che diventano anche pontefici, e da cui ricevono favori e domini territoriali inalienabili. Del pari, la situazione si ripete nel Lazio sud. Le famiglie nobiliari piu’ in vista sono i Tuscolani e i Crescenzi (basso medioevo), quindi signoreggiano i De Ceccano, i Conti, i Colonna, i Caietani a cui si deve “motu proprio” la creazione sagace di un articolato sistema di controllo del territorio fondato su una rete di castelli (incastellamento), di roccaforti militari, amministrativamente rinvigorite dalla controparte papalina gia’ con diocesi, domuscultae, domini monastici e citta’ di fondazione papale. Le autonomie comunali chiudono l’anello di questo regolato complesso di vigilanza che chiude come in una morsa le velleita’ centrifughe piu’ propriamente popolari. Castelli e roccaforti formano un monolitico blocco di difesa, collegamento e avvistamento, suddiviso in formazioni definite “castra specialia”. Dislocate nei punti strategici del territorio (Paliano, Fumone – acquistato da Adriano IV, morto ad Anagni nel 1159 -, Castro dei Volsci, Labico), proteggono le zone nevralgiche del territorio, da autentici snodi della strategia militare. Inizia a questo punto, tra l’XI e il XIII sec., il periodo aureo del Lazio meridionale. Il papato, merce’ figure grandiose della sua storia, riesce a far fronte alla signoria imperiale di Federico Barbarossa ed a proporre e giocarsi la propria. Non piu’ subalterno all’imperatore, ma avversario di primo piano che negozia e si impone. Uno dei piu’ importanti pontefici della storia, Innocenzo III, da Anagni, incarna questa svolta. Convinto assertore della supremazia del vicario di Cristo in terra, esposta nella sua plenitudo potestatis, accorto mediatore in campo internazionale, si afferma come uno dei maggiori edificatori dello stato della chiesa, della sua influenza e del suo potere contrattuale nello scacchiere europeo. Eletto nel 1198, detto fatto ottenne a Neuss, dall’imperatore Ottone di Brunswick, il riconoscimento del territorio compreso sotto il dominio del papa tra Radicofani a nord (attuale provincia di Siena) e Ceprano a sud (attuale provincia di Frosinone) e poi l’esarcato di Ravenna, la pentapoli, la marca di Ancona, il ducato di Spoleto, le terre della contessa Matilde, la contea di Bertinoro (e scusate se e’ poco). Innocenzo III nomino’ per ciascuna di queste terre una sorta di governatore, un rettore. Ad es. il rettore di Campagna e Marittima risiedeva a Ferentino, ma anche ad Anagni e a Ninfa.

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Fu il secondo papa anagnino, Gregorio IX (1227-1241) a garantire una ulteriore sistemazione amministrativa dello stato pontificio. Regolamento’ i castra specialia, sparsi un po’ dovunque nel Lazio sud a garantire, come gia’ detto, la difesa e il controllo territoriale (Paliano, Serrone, Fumone Lariano in Campagna, Ninfa, Giuliano, Cori, Cisterna, Terracina), facendoli gestire da rappresentanti papali muniti di potesta’ assoluta nella decisione di ripopolarli, costruirne di nuovi, o fortificarli secondo le necessita’. Per tutto il 1200 invalse presso le loro santita’ l’abitudine di trasferirsi spesso da Roma, con tutto il codazzo della corte, presso altre degne residenze sia per motivi connessi ad insicurezza ed insalubrita’ dell’urbe, sia per vigilare da vicino sui beni, affari, e sulle velleita’ peregrine dei sudditi provincialotti. Anagni ne fu la piu’ importante nel Lazio sud. Gregorio VII, amico di Pietro da Salerno, il costruttore della cattedrale anagnina, Vittore III, ex-abate di Montecassino, e Urbano II, il primo papa eletto lontano da Roma, propugnatore della prima crociata (1096-1099), diedero linfa a questa tendenza centrifuga che raggiunse il culmine alla fine del XIII secolo. Benedetto Caetani fu eletto papa col nome di Bonifacio VIII (1294). La famiglia, verosimilmente originaria di Gaeta (e lo stemma con le onde ne sarebbe segno tangibile), era gia’ presente in Anagni almeno dal 1150, come testimonia il pagamento versato a Todi a Giacomo da Iseo da un suo membro, Orso Caetani, dell’ultima rata erogata per la costruzione del palazzo comunale della cittadina. Fornito di solida dottrina teologica e giuridica nonche’ ottimalmente edotto sui problemi politici del momento, il cardinal Caetani incappo’ suo malgrado nell’occhio del ciclone in occasione del conclave messo su per eleggere il successore di Niccolo’IV. Si ritrovo’ infatti in balia di una delle ricorrenti crisi della corte pontificia, tormentata da turbolenti bagarre tra gli alti prelati esponenti della nobilta’ romana piu’ in vista, le famiglie dei Colonna e Orsini, da sempre in lotta, e poi gli Annibaldi, i Savelli, i Conti, e per finire, come se non bastasse, alle prese con le mire anche di Carlo lo zoppo di Sicilia, Angioino, che dal sud indebitamente e inopinatamente irruppe nel conclave di Perugia, minacciando sfracelli. Fatto sta che, due anni dopo – erano interminabili questi conclavi – dalla venerabile assise scaturi’ un accomodante compromesso palesatosi con l’elezione di un papa debole, certo monaco eremita Pietro da Morrone, che coerentemente si scelse un etereo nome che era tutto un programma, Celestino V. Lo sconosciuto Pietro-Celestino, prescelto come controfigura a fare come da prestanome ante litteram, divenne e sarebbe diventato improvvisamente famosissimo perche’, vuoi per ritrosa timidezza, vuoi per cronica incapacita’, vuoi per fragilita’, vuoi perche’ minacciato, si scanso’, fece “lo gran rifiuto”, insomma non se la senti’ di fare il papa e, primo ed unico caso nella storia della chiesa, abdico’, lascio’ il posto a un altro. I papabili si fregarono le mani, di nuovo conclave a Napoli, e qui la fazione Caetani ebbe il sopravvento. Fu eletto Benedetto che “sibi nomen imposuit” Bonifacio VIII. Per prima cosa, tanto per dimostrare chi comandava, fece rinchiudere per sicurezza Celestino V nel castello di Fumone, poi si diede subito, per non essere da meno dei concittadini Gregorio IX e Innocenzo III, a rafforzare il suo potere personale e quello del papa, logorato dalle aspre lotte con l’imperatore. Nel 1300, all’apice del suo pontificato, indisse solennemente dalla loggia del Vaticano il primo giubileo della Chiesa. Ma due aspetti della sua politica cominciarono a non andare giu’ ai contemporanei. Prima l’appropriazione anche cruenta di numerose terre sgraffignate alle famiglie di Roma, specie ai Colonna per farle pappare alla sua famiglia, poi il contrasto con la monarchia francese sulla questione di tassare il clero. Si inserisce qui l’episodio condotto a termine dalle truppe pontificie della distruzione di Palestrina, feudo dei Colonna, sul cui suolo fu cosparso il sale, simbolico gesto in segno di annientamento. I Colonna non ci videro piu’ e ce la misero tutta per coalizzarsi col re di Francia Philippe IV Le bel. Il sette settembre 1303, le soldataglie del re di Francia, dei Colonna, dei Conti di Ceccano e di Supino, stanchi anzicheno’ della rapace egemonia dei Caetani, grazie anche all’aiuto di un traditore che apri’ le porte della citta’, penetrarono in Anagni, irruppero nei palazzi del papa, siti sull’acropoli cittadina, di fianco alla cattedrale, e lo fecero prigioniero. Si narra che Sciarra Colonna, losco figuro passato alla storia come manesco e di pochi scrupoli, schiaffeggiasse Benedetto, che dapprima, quasi ad esorcizzare la paura, si era fatto trovare seduto sul trono, con tanto di chiavi, tiara, pianeta e triregno. Ma non servi’ ad evitare lo smacco dell’affronto. Pochi giorni dopo, Bonifacio ci mori’. Lo “Schiaffo di Anagni” non solo segno’ la fine dell’egemonia dei Caetani, ma anche della supremazia pontificia e, per contro, l’inizio dell’affermazione dei primi stati nazionali in europa.

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L’esito della vicenda bonifaciana all’inizio del 1300 segno’ la fine, come gia’ detto, del predominio papale sulla scena politica nazionale ed europea. Qualcosa si ruppe nei rapporti tra papato ed impero, e la frattura marco’ uno dei periodi piu’ difficili della chiesa e del suo potere temporale. La corte papale si trasferi’ ad Avignone (1305), dando inizio alla ben nota “Cattivita’ avignonese” che duro’ settantadue anni. La morte di Bonifacio arresto’ la tendenza nepotistica ad acquisire terre e territori sottratti alle altre famiglie nobiliari romane, specie i Colonna, nemici eterni ed acerrimi dei Caetani, al fine di ingrandire le proprieta’ dei Caetani e garantire la loro egemonia nelle future provincie di Marittima e Campagna. Alfine fu neutralizzato per forza di cose il gioco abile e prezioso di Bendettto Caetani di fare da paciere ed arbitro tra di esse pur di mantenerne in equilibrio i rapporti con mille compromessi e attraverso una altalenante situazione di pace armata. Una politica producente per i Caetani che da Fondi a Sermoneta, da Torre Cajetani ad Anagni si godevano i frutti delle vieppiu’ estese proprieta’, ma naturalmente invisa ai concorrenti oggetto di spoliazioni dolorose. Per inciso, si deve all’insigne, compianto prof. Giuseppe Marchetti Longhi, lo storico archeologo tra l’altro ideatore e deus ex-machina dei ben noti scavi di largo Argentina a Roma eseguiti in epoca fascista, l’allestimento permanente, presso il palazzo Bonifacio VIII di Anagni, di una mostra fotografica documentante i luoghi storici della vicenda di Benedetto Caetani. Se condotto a termine, il sogno di Bonifacio avrebbe, non solo politicamente, ma idealmente unificato le tre aree geografiche del Lazio sud, corrispondenti alle tre ben note direttrici longitudinali di cui dicevamo all’inizio, ossia la costiera pontina, la valle del Sacco e la valle dell’Aniene, vale a dire la famosa zona cuscinetto tra Roma e Napoli. In tal senso, Bonifacio VIII verrebbe non solo “ripescato” ma anche rivalutato come nostalgico riunificatore in un unico comprensorio di tre zone culturalmente e storicamente affini. Anche in cio’ sarebbe stato grande Bonifacio, nell’anticipare tentativi di associare territori vari si’ da farne blocchi egemonici. Piu’ tardi, mutatis mutandis, ricordiamo analoghi sforzi ad opera di papa Alessandro VI Borgia a favore del figlio duca Valentino in Romagna, o quello di papa Paolo IV che nel 1556 creo’ un vero ducato per il nipote Giovanni Carafa con le terre di Paliano confiscate ai Colonna. Tentativi falliti, del resto, perche’ la monarchia elettiva pontificia difficilmente permetteva la rielezione di ulteriori rappresentanti di una sola famiglia al soglio di Pietro, proprio per impedire di mettere radici, cioe’ di consolidare ancor piu’ il potere sempre nelle stesse mani. Ma tant’e’. Non resta da sottolineare che ormai, dopo Bonifacio, i Caetani vengono irrimediabilmente ridimensionati. Di fatto, ora possiedono solo Giuliano, Norma, Ninfa e Sermoneta. I Conti sono padroni di Valmontone, Montefortino e Montelanico; i Colonna imperano su Genazzano, Gallicano, Palestrina, Frascati, Zagarolo, Montecompatri, Marino e Rocca di Papa; ai Savelli toccano Albano, Ariccia, Genzano, Roccapriora e Castelgandolfo. In senso antinobiliare si inserisce in questo periodo la vicenda dell’anagnino di adozione Cola di Rienzo, ma e’ col cardinale Egidio Albornoz, ed e’ soprattutto alla fine della cattivita’ avignonese (1377) che il papato riduce all’obbedienza la riottosita’ a volte smargiassa dei potentati vari, aggregati nelle famiglie nobili di Roma, opponendosi decisamente alle loro ribellioni, confiscando beni e territori e rivendendoli. Fino a tutto il ‘500 una sorta di pax papalis prevale tra la campagna romana e il Lazio sud. Tra l’altro fu gia’ il cardinal Albornoz, con le sue Constitutiones Aegidianae, a riformare amministrativamente l’intero territorio. S’incarico’ l’Albornoz di suddividere il Lazio meridionale nelle province di Marittima e Campagna, di definire il confine sud col regno di Napoli. Da Terracina questo risaliva ad est fino a Ceprano, quindi da Ceprano fluiva verso i monti Ernici fino a Collepardo, e da questo paesino correva sul crinale dei monti Simbruini. Gaeta, Formia, Fondi, Arce, Isola Liri e Sora restarono imbottigliati entro i confini del regno di Napoli. Pontecorvo invece, pur appartenendo a quest’ultimo, restava soggetto alle leggi papaline. Tale confine rimase inalterato, pensate, per nientedimeno che 600 anni, fino al 1927, quando lo stato italiano creo’ la provincia di Frosinone. Nel 1934 istitui’ anche quella di Latina (l’antica Marittima).

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A questo punto lo stato della Chiesa si diede una sua riorganizzazione fondata sulla centralizzazione statale che era stata via via minata dai poteri feudali delle signorie locali e delle autonomie comunali. Ad esautorarli contribuirono alcuni pontefici come Innocenzo XII che, tra il ‘500 e il ‘600, con apposita bolla, cancello’ il “nepotismo”, la triste pratica clientelare di favorire arricchimento, privilegi e poteri del parentado nobiliare. Altri pontefici cercarono di mettere ordine nella stratificazione amministrativa che si era burocraticamente sedimentata nei secoli attraverso province, ducati, stati, legazioni e delegazioni. Da questa frammentaria e secolare polverizzazione derivo’ un riassetto non sempre efficace. I vari tentativi si susseguirono ed il Lazio meridionale segui’ la farragine delle velleita’ riformatrici. La Repubblica romana diede vita al dipartimento del Circeo con capoluogo Anagni, la parentesi napoleonica incorporo’ il Lazio sud nel circondario di Frosinone, Tivoli e Velletri. C’erano pure stati altri sforzi nelle persone dei papi Pio VI e Pio VII, nonche’ del cardinal Consalvi, volti a dare nuova impostazione ad una seria riforma che non era solo di facciata ma che costituì un punto di partenza per un sia pur lento processo di laicizzazione delle strutture statali, fino a fare del Lazio meridionale una autentica regione.

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Nemmeno il Lazio sud rimase immune dal triste fenomeno del brigantaggio che prese ad infestare lo stato borbonico, lo stato pontificio,  nonche’ il nascente regno d’Italia a partire dai decenni a ridosso, prima e dopo l’unita’ nazionale. Era poco raccomandabile a quei tempi imbattersi, fuori dell’abitato, in personaggi poco men che pittoreschi come Antonio Gasbarrone da Sonnino, Alessandro Massarone da Vallecorsa o Luigi Alonzi, detto Chiavone, da Veroli. Il ceto medio, borghesi, artigiani, commercianti, possidenti, specie in contrapposizione al predominio delle classi nobiliari e clericali, anelava ormai, dopo la vicenda napoleonica ed in pieno assetto resturativo, alla partecipazione diretta nella gestione del potere. Le varie occasioni si presentarono dapprima con i moti del 1831, poi con la Repubblica romana, quindi con le diverse fasi che portarono all’unita’ d’Italia e alla presa di Roma nel 1870. Per la verita’ l’adesione ai moti risorgimentali del Lazio meridionale fu abbastanza tiepida, sporadica e altalenante. Ci fu qualche entusiasmo per la Repubblica romana nel 1849, per Pio IX e l’istituzione della guardia civica, timidi slanci per iniziative insurrezionali contro gli austriaci. Nondimeno il tutto rimase confinato entro singoli sforzi individuali come quelli di Pietro Sterbini da Sgurgola, uomo di spicco della Repubblica romana, i mazziniani Sisto Vinciguerra di Alatri, Giustiniano Nicolucci di Isola Liri, Giacianto Visocchi di Atina, Nicola Ricciotti di Frosinone, giustiziato assieme ai fratelli Bandiera. Ma e’ confortante che da questi limitati accadimenti venga a originarsi la futura classe dirigente del territorio pronta a salire in cattedra non prima del 1870.

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E’ persino un eufemismo dire che il Lazio sud entrante a far parte del regno d’Italia fosse una regione depressa. Pochissime erano le industrie manifatturiere disseminate nel suo territorio, la maggior parte presenti a Roma. La vita della quasi totalita’ della popolazione era quotidianamente scandita dalla dominante attivita’ agricola condotta con sistemi arcaici ed inefficaci. Nell’agro romano imperava il latifondo, tra Frosinone e Velletri la piccola proprieta’ risultava talmente parcellizzata da non permettere di vivere nemmeno a un servo della gleba. I contadini eran per lo piu’ mezzadri analfabeti sospinti per forza di cose verso il grande latifondo dei pochi e ricchi proprietari, spesso di famiglia nobile che dettavano le condizioni di lavoro pilotate, gia’ da allora, dal “caporalato”, l’ante litteram sistema mafio-camorristico di reclutamento pre-mattutino della manovalanza gestito dagli stessi padroni e fondato sul minimo costo per loro e sul massimo sfruttamento per i “villani”. Accampati in grotte od in capanne fatte di paglia o di canne di mais per nove mesi l’anno, questi letteralmente bivaccavano insieme a famiglie intere, le proprie ed altrui – mai meno di decine e decine di persone in una sola grotta – in tuguri dislocati tra acquitrini malsani e insicuri, in condizioni igieniche spaventose, preda sovente della malaria e nutrendosi sempre di farina di granturco, erba e pochissima carne non raramente infetta. Queste terribili situazioni non migliorarono affatto con l’ingresso nello stato italiano, semmai avvenne il contrario, perche’ lo stato sabaudo non fece che trasmettere pedissequamente ed imporre le proprie leggi tout court nelle regioni annesse. Il Lazio meridionale non fece eccezione. Infatti, in seguito all’incameramento e alla vendita dei beni ecclesiastici, vennero aboliti gli usi civici e i monti frumentari, fu creato un mercato unico nazionale soggetto alla concorrenza delle merci estere; gli indifesi locali furono letteralmente aggrediti da una fiscalita’ rapace e prepotente, dovendo inoltre anche corrispondere al servizio di leva obbligatorio che sottraeva per anni alle famiglie braccia da lavoro e sostentamento. Insomma lo stato sabaudo piu’ che aiutare succhio’ alla gente risorse vitali tanto che le popolazioni stremate si videro costrette ad emigrare. La prima grande ondata migratoria si ebbe a partire dal 1880 nelle lontane americhe e duro’ fino all’inizio della grande guerra. Il Lazio sud forni’ all’emigrazione un alto contributo umano, parimenti offri’ al conflitto un notevole apporto produttivo ed economico nonche’, soprattutto, di sangue. Queste le cifre: tra Frosinone e Sora partirono per il fronte 14mila soldati, di cui 4mila600 furono i caduti e mille800 i mutilati.

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Nnel periodo che va dal 1870 alla prima meta’ degli anni venti, anche nel Lazio sud, come in diverse parti d’Italia, esplose la questione sociale. Alimentata in primis dalla mancanza di manodopera maschile in gran parte assorbita presso il fronte bellico. Le tristi condizioni caratterizzanti  l’ anteguerra peggiorarono nel dopoguerra. Malgrado donne e bambini avessero sostituito la forza uomini nelle poche fabbriche tessili, nelle cartiere del sorano ed Isola Liri e nel regio polverificio di Fontana Liri, tuttavia l’economia era al collasso, l’inflazione e i prezzi quasi fuori controllo, la disoccupazione alle stelle, la scarsezza dei generi di prima necessita’ un tormento quotidiano. Inoltre l’amarezza di veder disattesa  la promessa della redistribuzione equa della terra agli agricoltori fatta all’indomani della disfatta di Caporetto, in aggiunta alla chiusura delle frontiere statunitensi che impediva una seconda ondata migratoria, porto’ a scioperi, manifestazioni di piazza, occupazione di terre incolte e conseguente dura repressione dell’autorita’ costituita fascista. Dal punto di vista amministrativo nel Lazio meridionale nulla era cambiato dalla riforma di Pio IX che aveva diviso la storica regione del Lazio nell’unica provincia di Roma con i circondari di Civitavecchia, Viterbo, Velletri e Frosinone. Nel 1927 fu creata la provincia di Frosinone, come in avanti gia’ ricordato, e nel 1934 quella di Latina; dopoche’ una impegnativa e gigantesca opera di bonifica aveva liberato dalla malaria tutto l’agro pontino, ripopolato di bel nuovo con famiglie di volontari per lo piu’ veneti, il tutto accompagnato da una parallela fondazione di nuove citta’ come Littoria (1932), Sabaudia (1933), Pontinia (1935), Aprilia (1936), Pomezia (1938). La provincia di Littoria, poi Latina, divenne cosi’ il fiore all’occhiello del regime, che la ingrandi’ assegnandole la giurisdizione su comuni sottratti a Roma e Napoli (isole pontine). Durante la seconda guerra mondiale il Lazio sud fu teatro di scontri sanguinosissimi tra le forze tedesche e quelle americane che risalivano la penisola per liberarla dalle forze nazifasciste. A cassino, dove passava la linea difensiva tedesca “Gustav” che correndo longitudinalmente congiungeva Gaeta al Sangro – in Abruzzo -, si apri’ un fronte spaventoso, con le forze alleate che si intestardirono a bombardare selvaggiamente (ed inutilmente giacche’ nell’abbazia, come si dimostro’ poi, non si celavano clandestinamente ne’ truppe ne’ mezzi strategicamente o militarmente importanti) l’Abbazia di Montecassino attraverso quattro possenti e successive ondate d’attacco di fortezze volanti (b29), dal 1943 al 1944, che la sotterrarono sotto un cumulo di macerie. Si salvarono solo l’archivio, i libri, e qualche dipinto gia’ messi al sicuro con l’aiuto dei tedeschi. L’esiziale annientamento di Montecassino, faro di storia e cultura monastica di rilievo mondiale, segno’ simbolicamente la vittoria della barbarie sulla civilta’ e sulla storia del genere umano, stimolando le coscienze alla condanna piu’ categorica e assoluta della guerra. Intanto, il 22 gennaio 1944, c’era stato un secondo sbarco in Italia degli alleati sulla spiaggia di Anzio, che nondimeno si risolse in un insuccesso poiche’ gli anglo-americani furono costretti a stazionare pressoche’ nel luogo del “landing” dalla inattesa resistenza nazista ben fino alla liberazione di roma (giugno 1944). Non si puo’ parlare di vera e propria resistenza nel Lazio sud, ma solo di sporadiche azioni di disturbo alle linee di comunicazione tedesche da parte di pochi gruppi che si distinsero anche in qualche scontro cruento. Fu invece la popolazione, specie contadina, a fornire sincero, convinto e concreto aiuto ai ribelli ed ai prigionieri anglo-americani in fuga dai tedeschi.

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Nel corso del xx secolo il Lazio meridionale ha subito radicali mutamenti. la sua economia da arcaicamente agricola e contadina si e’ evoluta anche troppo ed oltre le aspettative su scala industriale e post-industriale. Grosso modo, a partire dagli anni ’60, sequele di insediamenti piccoli, medi e grandi, hanno stravolto i connotati del territorio. Fabbriche metallurgiche, chimiche, meccaniche, farmaceutiche, tessili, alimentari, a tecnologia avanzata, aerospaziali hanno innervato il sistema strutturale dell’agro pontino, del frusinate, e del sud di roma, coinvolgendo nuove mentalita’ e modus vivendi. La casilina, l’appia, la pontina, le direttrici autostradali, i poli dei fondivalle di Sacco e Liri, pertinenti a quattro aree di sviluppo in ciociaria – Anagni, Frosinone, Ceprano, e Cassino-Pontecorvo – l’impressionante zona di Pomezia, costituiscono una teoria ininterrotta di piccole e medie imprese ormai nerbo portante, vero fulcro ed alimentatore insostituibile dell’industria laziale. Un simile complesso vive grazie all’acqua sufficientemente presente nel territorio ed alle centrali idroelettiche, una ottantina in tutto il Lazio, che forniscono energia a tutti gli opifici, merce’ numerosi elettrodotti che si snodano tra boschi, colline e monti. Anche le risorse agricole hanno fatto progressi. Al vecchio frumento i pochi e veri agricoltori superstiti hanno aggiunto ortaggi, frutta, vigneti specializzati, perfino nuove culture come kiwi e piante esotiche nell’agro pontino che resta la zona d’elezione dell’allevamento bovino, dei bufali e della produzione della ben nota e squisita mozzarella di bufala. Un discorso a parte merita il bosco che, nonostante il continuo depauperamento specie dovuto agli incendi, resiste ancora oltre i 600 metri sui monti Ernici, Simbruini e Lepini. questa degli incendi e’ una piaga ricorrente in estate. Ad essa non sembra estranea la mano perfino di qualche addetto ai lavori, come gli stagionali ad es. che, da furbetti, sotto sotto appiccherebbero i fuochi per essere poi chiamati a spegnerli (un modo come un altro per procacciarsi lavoro in tempi di vacche magre – sic! -). Altro che piromani! purtroppo gente incompetente, giornalisti a livello nazionale compresi, continua a chiamare cosi’ quelli che invece dovrebbero definire incendiari, perche’ i piromani veri, persone malate col gusto dell’accensione, sono talmente rare che incidono sul disastro con una percentuale appena da prefisso telefonico. Occorrerebbe tenere di piu’ gli occhi aperti, per accertare le responsabilita’ vere di chi all’80% almeno possiede tutta la colpa della calamita’. E questo i restanti addetti ai lavori lo sanno anche troppo bene. Assai modesta e’ la pratica della pastorizia transumante che fa il paio con la pesca che conta su piccole flottiglie di stanza ad Anzio, Terracina, Formia e Gaeta. Il settore dei trasporti e’ quasi all’altezza. Una buona rete viaria interna affianca la direttrice autostradale che attraversa la ciociaria da nord a sud e quella pontina dell’appia di cui han “raddoppiato” il percorso mediante una strada parallela a scorrimento veloce. Anche troppo veloce, visto che, a causa dei frequenti incidenti mortali, s’e’ guadagnata una fama sinistra nelle famigerate statistiche nazionali. La ferrovia fa ancora leva su due tratti storici che da Roma portano a Napoli, la linea Roma-Napoli via Cassino inaugurata nel lontano 1863, che attraversa tutta la ciociaria e la linea Roma-Napoli via Formia, che insiste specie sulla litoranea pontina, costruita nel 1927. Giova segnalare l’attraversamento del territorio da parte della tav (treni ad alta velocita’) che collega Roma con Napoli e diversi altri progetti concepiti per rendere il Lazio sud sempre meno Roma-centrico. Quello della dipendenza da Roma, sia economicamente, sia nei collegamenti che culturalmente, e’ un problema secolare da cui il sistema romanocentrico non ha mai affrancato il Lazio sud, per varie ragioni. in primis perche’ Roma alberga i 2/3 della popolazione laziale, poi perche’ e’ l’imprescindibile polo di riferimento, di attrazione, di lavoro, di servizi, di commercio, di affari, che attira inevitabilmente chi e’ in cerca del minimo. Poi perche’ e’ la capitale politica, sede di tutti i ministeri, della regione, di ogni tipo di attivita’ amministrativa, polo sanitario e commerciale di un certo spessore, con cui bisogna fare i conti. Liberarsene non e’ facile, anche per l’insipienza dei governanti decisamenti adusi a mantenere lo stallo pur di conservare situazioni e stati di fatto, non esclusi decennali privilegi. Una citta’ come Roma, butterata dal traffico e dalla speculazione, centro mondiale indiscutibile della cristianita’ e della storia, non puo’ essere nel contempo capitale, capoluogo provinciale, di regione e, con probabilita’, capitale federale. All’estero ridono di questa polivalenza ormai anacronistica ed inammissibile. Altrove delle grandi metropoli sono abituati a fare al massimo un distretto, un territorio che ricade nella citta’ stessa e poco fuori il suo ambito, quello strettamente necessario a far vivere la metropoli di vita propria al fine di evitarle il ripiegamento e l’appattimento su ambiti estranei alla sua realta’. Citta’ del Messico, Buenos Aires, Tokio, New York, Parigi, etc. si amministrano da sole. Cosi’ dovrebbe essere per Roma, sara’ inevitabile creare un distretto di Roma, per Roma e basta. Insomma vivi e lascia vivere, nel rispetto del destino di ciascuna delle altre quattro provincie laziali pronte giustamente a rivendicare e quindi a riacquistare autonomia, identita’ e valore propri.

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In tal senso, la pianura pontina, giusto a causa o in virtu’ della sua piu’ recente urbanizzazione con relativo sviluppo, sembra essere maggiormente attrezzata a trasformarsi in un polo alternativo allo stradominio romanocentrico. Discorso opposto per l’altra “ala” del Lazio-sud, il frusinate, o ciociaria, o campagna, o circondario di Frosinone, a seconda delle passate storiche denominazioni. Qui l’industrializzazione per lo piu’ cinica e selvaggia che tipizzo’gli anni ‘60 e ’70 si e’ arresa ad un malinconico tramonto post-industriale capace gia’ di soffocare la sua identita’, il suo stesso contesto storico, culturale e sociale nonche’ ambientale. Si assiste, in una totalizzante decadenza cultural-popolare, ad un generale imbarbarimento di costumi, meriti e valori, che non si fa scrupolo, a dispetto di balbettanti e sporadici sussulti controcorrente, di annichilire interi settori economici grondanti estrosa fatica e genuina invenzione come l’artigianato, che davvero non solo sfamo’ la dignita’ e il ventre di teorie di generazioni, ma assurse a simbolo della piu’ vitale tradizione di queste terre.

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E’ notorio che il meccanismo della tradizione innerva ed irrora tutta la vita umana trasmettendole con processo dinamico, da una generazione all’altra, il patrimonio della societa’ nel suo complesso, allo scopo di conservare e perpetuare cognizioni, idee, costumi cui tutti attribuiscono somma importanza perche’ ne hanno sperimentato vantaggiosamente le virtu’ che hanno decisamente garantito l’ordinato andamento dell’esistenza comune. Ma la tradizione puo’ essere anche scritta. Ricercatori poco conosciuti, colpiti dall’ambiente rurale ancora intatto, ci hanno lasciato interessanti scritti su usi e consuetudini della gente legati al quotidiano, in primis ai riti nuziali e alle esequie. Cosi’ Pietro Ettore Visconti, autore di un saggio del 1830, intitolato “Saggio dei canti popolari della provincia di marittima e campagna”, o Alessandro Marsiliani che, nel 1888, pubblico’ i “Canti popolari dei dintorni del lago di Bolsena, di Orvieto e della campagna del Lazio” dove sono riuniti molti canti delle campagne ciociare. Giovanni Targioni Tozzetti, autore dei versi del libretto di “Cavalleria rusticana” di Mascagni, dopo che nel 1887 giunse fresco professore nel liceo di Ceccano, pubblico’ nel 1891 i racconti della vita quotidiana dei nativi, desunti dalla loro viva voce.

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L’alluvione cementizia che ha imperversato a partire dagli anni 60 non ha oscurato tuttavia le bellezze naturalistiche del Lazio sud, poco note e poco propagandate fuori provincia, appena visitate in assoluto. In realta’ spiccano i fondivalle e i fianchi delle montagne, dal fondovalle dell’Aniene, alle gole del fiume Melfa, l’ouso di Pozzo comune, l’abisso di Consolini, il pozzo di Antullo e la grotta di Collepardo sugli Ernici. Gia’ piu’ famose le grotte di Pastena, quasi sconosciute, se non localmente, le grotte di Zi’ Checca e della Ciauchella (Ausoni e Aurunci). Verdeggiante e rilassante oasi naturalistica risulta buona parte della costiera di “Marittima”, regno della macchia mediterranea (ibisco, lentisco, mirto) punteggiata dai laghi di Fondi e del Circeo, con i parchi naturali di monte d’Orlando e torre Gianola e la paradisiaca oasi di Ninfa, la citta’ morta risorta a giardino dell’eden. Signoreggiano sul calcare dei Lepini, Ausoni e Aurunci, consistenti catene gia’ degradanti sulla costa e soggette anche a fenomeni carsici, i boschi di leccini dirimpetto al mare, quelli dei faggi a sfidare i venti del nord, quelli misti nell’umidore dei versanti a mezzogiorno. Poiana e greppio osano nell’alto, martora, tasso, lepre e scoiattolo sfrecciano a terra, il passero solitario non smentisce la sua fama nidificando tra le crepe delle alte rocce. Per la gioia di Nero Wolfe, vi spuntano spontanee molte specie di orchidee. Non meno attraenti si stagliano poco piu’ a nord gli 80 chilometri della poderosa catena degli Ernici saldata ai Simbruini a formare una autentica calcarea dorsale (di nome e di fatto, essendo dichiarata tout court dorsale appenninica), anch’essa erosa dallo sgretolare carsico. Qui padrona e’ la flora “orofila”, cara alla montagna, che offre tutta la varieta’ dell’arcobaleno, il giallo dei ranuncoli, il cobalto delle genziane, il celeste del nontiscordardime’, il viola dell’omonimo gioiellino, il bianco immacolato dell’anemone. Parimenti vi emerge l’orchidea, per il piacere del corpulento detective. Prima della scomparsa osava alta, sui simbruini, sua maesta’ l’aquila reale. Caso forse unico in Italia, il Lazio sud possiede, e ne va orgogliosissimo, ben due parchi regionali, quello (transregionale) d’Abruzzo, creato nel 1922, che insiste sui comuni ciociari di Settefrati, Campoli appennino, Alvito, Picinisco, S. Biagio Saracinisco,  S. Donato val di Comino -con la val Canneto- il gruppo del monte Meta e le Mainarde; e quello del Circeo, istituito nel 1934, in piena bonifica pontina. Fu allora che lo stato acquisto’ ben 3200 ettari di foresta, mettendo sotto protezione fino a 7500 ettari di territorio comprendenti, con la foresta, il promontorio del Circeo, i laghi costieri, l’isola di Zannone, ed una striscia della fascia litoranea. Mangiando viene l’appetito, e cosi’ e’ in programma per i laziali meridionali la creazione di ulteriori parchi. Tuttavia la vera perla troneggia sull’idea ambiziosa di costituire uno tra i piu’ grandi parchi d’europa che sarebbe quello dei monti Simbruini in primis, cui verrebbe poi associato quello degli Ernici, con un’estensione ragguardevole di 40 mila ettari, con l’effetto di creare un vero polmone naturale che dalle porte di Roma si estenderebbe fino alle soglie del parco nazionale d’Abruzzo. Un progetto grandioso, purtroppo ancora sulla carta. Anche gli sciatori sono serviti. Per loro due stazioni abbastanza note, Campo Staffi e Campo Catino. Per chi ama l’erboristeria pulsa il regno delle piante officinali in quel di Collepardo e nella Certosa di Trisulti, sede di una celebre farmacia amorevolmente curata e gestita dai monaci cistercensi.

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Il territorio del Lazio sud resta dunque ben disseminato, come s’e’ visto, di testimonianze storiche, artistiche, monumentali e naturalistiche. Rimangono quali vestigia del passato tanti resti di edifici e monumenti purtroppo spesso avulsi dalla quotidianita’ contemporanea proiettata invariabilmente verso il post-modernismo. Eppure quelle testimonianze rimandano a personaggi spesso oscuri, come monaci, amanuensi, uomini d’ingegno che contribuirono a definire il patrimonio culturale e architettonico della penisola, dalle cattedrali, ai mosaici, ai dipinti, alle chiese, ai monasteri, ai castelli, agli edifici civici, ai nobiliari. Gli sconosciuti autori dei mirabili dipinti della cripta nel Duomo di Anagni, di Ferentino, nel Sacro Speco di Subiaco, spesso identificati con nomi di comodo (Primo, Secondo, Terzo maestro nella Citta’ dei papi) segnano la gloria storica con un marchio indelebile. L’enumerazione snocciolata per via empirica ci sembra lo strumento piu’ adatto a rendere giustizia ed omaggio a tanti insigni personaggi del passato culturale lazialsud. Partiamo dai ben noti pontefici di Santa romana Chiesa di cui, in questo scritto, s’e’ tessuta la vicenda terrena. Dalle pieghe dei secoli andati compare lo storico Paolo Diacono, autore della famosissima Historia longobardorum, operante nell’Abbazia di Montecassino, quindi uno dei massimi esponenti della filosofia ecclesiatica mondiale, l’immenso Doctor Angelicus della tomistica, San Tommaso d’Aquino, nativo di Roccasecca. In epoca moderna, diviso il territorio Lazio sud tra Stato pontificio e regno di Napoli, le due corti di Roma e Napoli gareggiarono ovviamente nell’accasare le menti migliori. Cosi’ a Roma ritroviamo il verolano Giovanni Sulpizio, i poeti Ambrogio Novidio Fracco da Ferentino e Domizio Palladio di Sora, presso il circolo umanistico di Pomponio Leto. Di Ferentino e’ celebre Martino Filetico, da Filettino, che insieme alla moglie si fa promotore dell’apertura di una scuola per giovani bisognosi. e che dire di Aldo Manuzio, il piu’ famoso tipografo italiano che da Bassiano, paese natale sui Lepini (1449), emigra a Venezia dove instancabilmente si da’ ad editare classici greci e latini, dando forte impulso all’umanesimo pre-rinascimentale? o dello scrittore in volgare di Alvito, Mario Equicola (1470-1525), autore di due importanti opere, “De natura et de amore” e “Il cortegiano”, dove, da anticipatore della riforma, polemizza su diversi temi di natura ecclesiastica, o del fautore della stessa riforma, il verolano Aonio Paleario, che resto’ vittima dell’avversione intollerante dei tempi, finendo giustiziato come eretico? sfilano altri personaggi importanti, come lo storico Cesare Baronio (1538-1607) da Sora, ben conosciuto nella letteratura italiana, che realizzo’ una gigantesca Storia della Chiesa e collaboro’ con S. Filippo Neri; il sommo Pierluigi da Palestrina, (1535-1594) gigante della musica sacra in piena controriforma; l’illustre caravaggesco Giuseppe Cesari, piu’ noto come Cavalier d’Arpino, celebratissimo ai suoi tempi nella sua bottega di Roma. Nel settecento, ecco spuntare a Veroli l’Accademia degli Elisi, su imitazione dell’Arcadia romana, dove spiccarono Vittorio Giovardi (1699-1787)- da cui la nota Biblioteca giovardiana- e Silvio de’ Cavalieri (1641-1717). Ciociaria terra di poeti, ed ecco allora Desiderio de Angelis (1670-1731), da Boville Ernica, farsi largo nell’Accademia veneziana degli Indefessi. Alla fine del 700 emergono riformatori e patrioti: Clinio Roselli (1752-1799), barone di Esperia, che fu della sfortunata congrega della Repubblica partenopea del 1799 decimata anzitempo dall’ammiraglio Nelson in combutta coi Sanfedisti. Pietro Sterbini, da Sgurgola (1793-1863), fu attivo nella Repubblica romana, i gia’ menzionati Sisto Vinciguerra di Alatri, Giustiniano Nicolucci di Isola Liri si distinsero da mazziniani, Nicola Ricciotti da Frosinone fini’ giustiziato coi fratelli Bandiera, Giacinto Visocchi, oltre che valente patriota, fu anche fine letterato amico del piu’ grande critico che la letteratura italiana abbia mai avuto, tal Francesco de Sanctis. Pochi sanno che il teorico del socialismo ideale e militante Francesco Labriola (1845-1905) era nativo di Cassino. Come anche il celebre Leone XIII, pietra miliare nella storia della Chiesa, quale autore di una delle piu’ note encicliche, la “Rerum novarum”, che pose d’attualita’ ed impose al mondo la questione sociale, in tanti ignorano che era il cardinale Gioacchino Pecci da Carpineto Romano. Fu lui a garantire la prima prudente apertura del mondo cattolico all’impegno civile nel giovane stato italiano.

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Pur seguendo la storia di Roma e d’Italia, il Lazio sud tuttavia rivendica a ragione suoi sviluppi autonomi che diedero luogo a soggetti culturali, situazioni, realta’ peculiari e stereotipi vigenti completamente sganciati dal contesto dominante. Tanto per fare un esempio, in campo artistico, tra Latina e Frosinone, predominavano gli stili cistercensi, romanici e gotici, o lombardi, mentre Roma era inondata dal suo magnifico barocco. Nell’ingombrante storia romana, nell’ancora, se possibile, piu’ totalizzante storia d’Italia, annegarono i destini dei laziali del sud. Oggi, per sorte, resuscitano focolai, aneliti che lungi dal configurarsi come separatisti rifuggono istintivamente, questo si’, l’imperante, l’asfissiante, “regime” romanocentrico per annunciare nei settori politici, sociali, storici, artistici, gastronomici perche ‘no?, e culturali in genere, postazioni e posizioni decisamente improntate all’autoctonia. Del resto ci sono gli uomini per farlo, a cominciare dall’ambito artistico-letterario, cui il Lazio sud ha dato uomini come lo scrittore Tommaso Landolfi, il musicista Severino Gazzelloni, i registi Vittorio de Sica e Anton Giulio Bragaglia, l’eclettico e grande attore Marcello Mastroianni, l’indimenticabile Nino Manfredi da Vallecupa (Castro dei Volsci). Antonio Fazio, recente governatore della Banca d’Italia viene da qui, come pure l’acutino Enrico Guidoni, nientemeno che astronauta. I laziali del sud hanno le ali per volare da soli, per distinguersi nettamente ormai dalla storica “protezione” della capitale, troppo grande, potente e pesante, per non pensare di affrancarsi dal suo predominio che da secoli depaupera e appiattisce la “qualita’ della vita” di questo stupendo lembo d’italia.

 

Da città in arte.it

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