Il Leopardi di De Robertis
La fortuna di Giacomo Leopardi si sa quanto ha variato fra noi. I lettori italiani per tutto un secolo, mentre magari l’onoravano come un poeta del Risorgimento, finivano con il trascurarlo, intenti a diverse letture e ciò è ben comprensibile, se si pensa come Alessandro Manzoni , nato prima, gli abbia sopravissuto e come, dopo Manzoni, stesso, si siano avuti in Itala poeti non più grandi, ma almeno tali da avere un’eco rara nell’animo dei cittadini della nuova nazione. Leopardi, per anni, è restato, appena di nome, un grande poeta: Ha avuto i suoi lettori, eppure è restato, sia come lirico, sia come prosatore in disparte. Il suo insegnamento cadeva senz’altro nel vuoto.
Cose che non avvenivano senza ragione. Gli insegnamenti di Leopardi prosatore potevano dare l’avvio ad una prosa moderna, di cui l’Italia pare che non abbia avuto necessità fino al 1915. Il Leopardi lirico poi non poteva essere inteso che a metà. Ora quello delle canzoni all’Italia, l’altro un po’ seicentista: sfuggiva ai letterati il punto dolente di un poeta tanto moderno. Strano a dirsi, Leopardi, che non è certo il poeta che piacque di più a Pascoli e a d?Annunzio, è divenuto comprensibile appieno dopo Pascoli e d’Annunzio: Dopo di loro, quando la poesia italiana, esauriti per sempre o momentaneamente che sia, certi schemi tradizionali, si è volta ad effetti che potremmo dire musicali : “Se mai fu dato d’avvertire”, scrive De Robertis nel capitolo del suo saggio dedicato ai Canti, “stato d’animo “musicale”, nello spirito dico della musica, indeterminato e reale insieme, questa è la volta che un poeta gli diede espressione con la sostanza più elementare e lontana delle parole, e con le modulazioii più arcane. ”
Così è De Robertis di fronte a Leopardi. Giuseppe De Robertis è, a modo suo, e, diremmo quasi nascostamente, un umanista, un critico di lettere che tutti sanno. Da noi raramente è possibile affidare l’edizione di un classico ad un critico di cose vicine. La nostra letteratura è grandissima agli occhi di tutti, ma resta cosa lontana allo spirito di tanti. Spesso si legge un classico solo per il gusto e per la nobiltà della lingua: insomma per trovarci insegnamenti formali. Si è parlato tanto di romanzo in questi ultimi anni e poco di Boccaccio, Sacchetti, Lasca,, Basile. Riguardo a Leopardi, le cose non stanno diversamente. Se c’è un poeta che può aiutare quei pochi poeti giovani che ci sono in Italia è Leopardi. Mentre spesso, appena un poeta italiano lo accosta, non ne trova che accorgimenti di metrica e di forma. La musicalità che diceva De Robertis sta invece altrove: non nella canzone, non nell’endecasillabo di Leopardi, che spesso è visto di fianco e sempre parzialmente. Lo si dice poeta e prosatore moderno, mentre poi non si cava da lui che quegli esempi di lingua e di stile che si possono cavare da scrittori assai più inattuali. Mentre l’insegnamento di Leopardi ora meno che mai può essere scolastico.
De Robertis, di fronte a Leopardi, non è uno scrittore in cerca di novità. Vuole essere di Leopardi lo studioso o al massimo il lettore. Legge e non mira all’articolo; anzi ad un’ideale antologia. E’ sempre il suo abito mentale del ricercatore di pezzi, sicché l’articolo da rivista, quando salta fuori, risulta come trama di appunti per una scelta da fare. Quasi viene un sospetto: che De Robertis, se non avesse certa consuetudine per le lettere contemporanee, non lo scriverebbe nemmeno l’articolo. Ma quella consuetudine dura da anni e gli deriva da assai lontano : dai tempi de “La Voce” e dell’amicizia con Serra, che non fu un’amicizia casuale, di quella che nasce o sui banchi di scuola o al caffè. Un’amicizia volontaria, diremmo : raggiunta soltanto per elezione.
De Robertis sempre di un autore ti dà la trama, la rete. Va annotando i punti che poi gli serviranno non per tirarne fuori un saggio discorsivo, anzi tutto il contrario. Se c’è nella nostra letteratura un critico che sfugge il bozzetto, privo addirittura del gusto per la cronaca letteraria, è lui. Come di fronte all’ultimo volume di un giovane, così è De Robertis di fronte a Leopardi. Con Leopardi maggiore è l’impegno, perché maggiore è stato lo studio. La rete sarà più vasta. E il saggio premesso al primo volume delle opere di Giacomo Leopardi è veramente una trama vastissima. Sono cinque lunghi capitoli : sul “primo Leopardi”, sullo “Zibaldone” (dove utilizza, in parte, certi suoi studi già pubblicati), sulle “lettere come storia di un’anima”, sulle “Operette morali” e, infine, sui “Canti”. Rete fittissima e prova fittissima. Addirittura un sommario di Leopardi.
Alfredo Saccoccio