Il mistero della cassa dei Mille
Qualche anno fa Fazi Editore ha pubblicato un romanzo storico di Paolo Ruffilli dal titolo “L’isola e il sogno” interamente dedicato alla vita, breve ma avventurosa, di Ippolito Nievo, l’autore de “Le confessioni di un italiano”. . Ippolito era nato nel 1831 a Padova da un’agiata famiglia. Giovanissimo aveva partecipato ai moti del 1848.
Ma era stato l’incontro con Giuseppe Garibaldi a condizionare la sua vita, tanto che nel 1859 si arruolò nei Cacciatori delle Alpi per poi partecipare, l’anno seguente, alla spedizione dei Mille. Ippolito si comportò così bene in Sicilia che Garibaldi lo nominò vice-intendente generale della spedizione. Il Nievo compilò un diario in cui annotò tutti gli accadimenti che si verificarono dal 5 al 28 maggio del 1860. In seguito fece ritorno a Torino soddisfatto di aver dato il suo apporto alla causa dell’unità nazionale. Nel frattempo, però, le cose avevano preso una piega non proprio prevista. Garibaldi era stato messo da parte senza troppi riguardi (il 9 novembre, abbandonata Napoli, si era ritirato a Caprera) e ogni cosa veniva vagliata e decisa dal re Vittorio Emanuele II e dal suo primo ministro Camillo Benso conte di Cavour, attraverso una luogotenenza affidata a fedelissimi alla corona sabauda. L’aver esautorato Garibaldi, però, si rivelò assai pericoloso. Il generale godeva ancora di moltissime simpatie e la sua impresa era stata esaltata da tutti gli organi d’informazione del continente europeo. La manovra sabauda, insomma, rischiava di far esplodere una polveriera i cui effetti avrebbero anche potuto essere destabilizzanti per la nazione italiana che si era appena costituita. E così il diabolico Cavour iniziò a far circolare voci sull’allegra gestione finanziaria della la spedizione di Garibaldi in Sicilia. Erano solo voci oppure c’era qualcosa di vero? Difficile saperlo. Sta di fatto che il gigantesco fiume di denaro raccolto grazie alle sottoscrizioni effettuate in Italia e all’estero (specialmente in Inghilterra), che poi aumentò grazie alla confisca dei depositi finanziari del governo borbonico sull’isola, raggiunse la stratosferica cifra di 600 milioni di lire. Garibaldi affidò l’amministrazione di tale patrimonio ad Agostino Bertani, medico milanese di fede repubblicana, di fatto il “cassiere” della spedizione dei Mille. Nessuno ha mai potuto accertare se Bertani abbia impiegato quel denaro o, per lo meno una parte di esso, per fini che niente avevano a che vedere con la rivoluzione. Una cosa però è certa: all’improvviso il dottore meneghino diventò ricchissimo, il che prima non era. Una circostanza che, al di là della manovra di Cavour, fece nascere moltissimi sospetti. Bertani tentò di difendersi dalle accuse presentando un rendiconto in cui elencava le entrate e le uscite della spedizione. Ma neanche quest’operazione riuscì a dissipare i dubbi sul suo operato. Anche perché da quei conti risultava un residuo di 17 milioni di lire che in cassa non c’era. Dov’erano finiti quei soldi? Mistero. Né Bertani seppe giustificare il clamoroso ammanco. Ed è proprio in questo momento che torna alla ribalta Ippolito Nievo che da vice intendente aveva curato la gestione finanziaria della spedizione, lavorando a stretto contatto di gomito con il Bertani. Anzi, mentre quest’ultimo dirigeva il tutto da Genova, egli si trovava proprio lì, in Sicilia. Per questo a Torino pensarono bene di affidare al Nievo il delicato incarico di tornare sull’isola per cercare di recuperare ogni sorta di documentazione sulla gestione finanziaria dell’impresa garibaldina. Una missione che anche Garibaldi vedeva di buon occhio, conoscendo la zelo del giovane Ippolito, anche perché in tal modo sperava di mettere fine a quella ridda denigratoria di voci. Nievo, nel suo diario, aveva annotato con precisione maniacale ogni cosa. Compreso il numero degli arruolati, le paghe corrisposte, i costi delle forniture militari e le spese di gestione. Spesso si era trovato in disaccordo con i responsabili della guerra del governo dittatoriale, riscontrando un’enorme confusione e conti che non quadravano. Ippolito si imbarcò sul vapore “Elettrico” a Napoli il 15 febbraio del 1861 e giunse a Palermo tre giorni dopo. Verso la fine del mese, dopo aver raccolto un’imponente documentazione cartacea che stipò in sei capienti casse, si imbarcò sul vapore “Ercole” per far ritorno a Napoli. Sulla nave, al comando del capitano Michele Mancino, vi erano 63 marinai, 12 passeggeri e 233 tonnellate di merci. Nella notte tra il 4 e il 5 marzo, giunti in vista dell’isola di Capri e, quindi, molto vicini alla meta, la nave improvvisamente s’inabissò. Non ci fu alcun superstite. Si trattò, in effetti, di una strana circostanza. Forse quella vecchia carretta aveva avuto un cedimento strutturale. O forse no. Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito, parecchi anni dopo, parlò senza mezzi termini di affondamento provocato da un’esplosione. L’Ercole, insomma, fu fatto saltare in aria e sprofondare negli abissi marini proprio per distruggere prove lampanti di situazioni poco lecite e compromettenti. Ma per chi? Per Garibaldi o per i suoi amici/nemici di Torino? Una domanda alla quale nessuno potrà più dare risposta. La scomparsa di quei documenti, nei quali si trovava la chiave per risolvere il mistero, non placò le polemiche tra cavouriani e garibaldini che anzi proseguirono roventi per un bel pezzo. E se i primi continuavano ad evidenziare l’allegra gestione finanziaria e le ruberie dei garibaldini nel periodo della dittatura siciliana, quest’ultimi, invece, parlavano di misteriosi agenti del primo ministro entrati in azione per cancellare scomode verità. Come quelle contenute nei bauli di Ippolito Nievo finiti in fondo al mare del golfo di Napoli. E’ questa una pagina tanto inquietante ma poco conosciuta, estrapolata tra i tanti eventi che portarono all’unità d’Italia. Eventi che non furono tutti eroici né tanto meno tutti edificanti. Ma questo la vulgata scritta dai vincitori non potrà mai riconoscerlo.
Fernando Riccardi
fonte
http://www.linchiestaquotidiano.it/news/2020/06/27/il-mistero-della-cassa-dei-mille/33577
Non sapremo mai l,affondamento a chi giovò, ma è certo che quelle risorse furono sottratte all’economia meridionale, non più napolitana!