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IL NOSTRO SANGUE VENDUTO (II)

Posted by on Ago 5, 2025

IL NOSTRO SANGUE VENDUTO (II)

Nel Regno delle Due Sicilie il tradimento riguardò prima gli ufficiali della marina e poi quelli dell’esercito, ma non ne rimase esente il vertice stesso della difesa. Infatti ben presto si mise a disposizione degli assalitori anche il ministro della guerra, il Generale Giuseppe Salvatore Pianell, nel 1856 diventato conte, che in realtà in origine si chiamava Pianelli. (Il motivo per il quale a un certo punto abbia cambiato il suo cognome nel più esotico Pianell non è noto e in realtà sarebbe tutto da decifrare.)

E infatti nel capitolo precedente abbiamo visto come anche l’ufficiale borbonico Luigi Gaeta nel suo ‘Nove mesi in Messina’ lo indichi con il suo vero cognome di Pianelli.

Comunque ben presto, ed esattamente il 4 marzo 1861, l’ex ministro, come era facile aspettarsi, venne premiato per il suo contributo alla causa piemontese e venne nominato Luogotenente Generale del nuovo esercito.

Al generale borbonico, che aveva tradito la propria bandiera, dedicò un accorato libello il giovane maggiore d’artiglieria Carlo Corsi, figlio del colonnello Luigi Corsi, che dal 1840 aveva diretto i lavori per la fondazione del Reale Opificio Meccanico di Pietrarsa.

Carlo Corsi, che seguì Francesco II a Gaeta e dopo la resa non volle passare nell’esercito italiano, nel suo ‘Cenno biografico di Giuseppe Salvatore Pianelli’ (Napoli, 1861) scrive: ‘Qui lascerò la penna signor Conte, sperando di non doverla mai più riprendere per scrivere di voi. Accettate un consiglio, che se non vi viene da un amico, che non potrei esservi attesa la opposizione dei nostri principi militari, vi si offre da un uomo di cuore, il quale sebbene vi detesti per la vostra condotta, pure vi compiange, e non vi odia per come meritereste. Godetevi nel massimo silenzio quello che l’attuale governo avrà la bontà di darvi, avvolgetevi nelle tenebre, e fate che il vostro nome non si senta, onde evitare che qualche altro salti fuori per scrivere il resto sul vostro conto, con quella energia che non ho potuto usare io, perché disgraziatamente per me, fortunatamente per voi, manco di quell’ingegno necessario per potersi scrivere.’

Nel suo libello Carlo Corsi denuncia il tradimento del generale Pianell, ma denuncia anche il tradimento di molti altri ufficiali. La sua è una testimonianza importante, perché proviene da un autore contemporaneo a ciò che stava accadendo, un vero e proprio spettatore oculare dei fatti, certamente molto più credibile di tanti narratori contemporanei, che ricostruiscono le vicende di quegli anni a distanza di tempo, attenti più alla difesa delle proprie rendite di posizione, che alla ricerca della verità.

Il testo del maggiore d’artiglieria ci consegna un dato incontrovertibile: i traditori ci furono. Ci furono, però, anche molti ufficiali che non vennero meno ai propri giuramenti e a loro Carlo Corsi in conclusione si rivolge. Nelle sue parole si legge tutto il suo dolore, ma si ritrova anche l’orgoglio di un uomo che è rimasto coerente con se stesso, che non si è piegato di fronte alle sventure della storia e che ha saputo affrontare a testa alta il proprio destino.

Ecco Carlo Corsi cosa dice ai suoi commilitoni che non hanno tradito e che lui chiama compagni amatissimi: ‘L’onta e le umiliazioni che abbiamo sofferto per cagione di una parte degli ufficiali di differenti gradi nostri compagni d’arme una volta, oggi dispregevolissimi traditori dei propri doveri, verso l’onor militare e l’onor nazionale, sono nulla in confronto a ciò che ad essi è riservato. Tutto quello che in quest’opuscolo potrete leggere di umiliante e di vituperevole per ragion di fatti, dell’abominevolissimo Giuseppe Salvatore Pianelli, sarà una frivolezza, in confronto a quanto la storia sta segnando nelle sue immortali pagine, a carico di essi. Io conosco uno che la sta compilando, ed ogni volta che deve segnare uno dei loro nomi, si ferisce la mano e lo scrive col proprio sangue, onde aizzarsi per non risparmiare loro nessuna delle imprecazioni che gli competono.

Quando la storia contemporanea dell’ex regno delle Due Sicilie potrà darsi alla luce, allora vedremo la disperazione di tali signori, considerando che essi saranno eternamente maledetti, dai loro figli e nipoti, per il retaggio d’infamia ad essi lasciato!

Non ci avviliamo adunque compagni amatissimi in faccia ad una sventura morale, che pure per noi sarà di breve durata, e confortiamoci col riflettere che è tanto onorevole l’esser vittima del proprio dovere, per quanto è orribile il trovarsi in condizione opposta.

Verrà tempo e non lontano in cui, quei medesimi febbricitanti, i quali si sono tanto scagliati contro di noi per opprimerci, rientrati in sé medesimi, ci faranno giustizia della nostra onoratezza, che la troveranno uniforme a ciò che si richiederà da ogni soldato italiano, e si dissiperà ogni passato malinteso; mentre la punizione di quei rinnegati sarà eterna!’

Ed è così che vorrei chiudere questo mio breve lavoro, ricordando che il tempo è venuto. Oramai c’è un solo termine per definire quelli che hanno venduto la propria bandiera e la propria patria: sono stati, sono e saranno per sempre traditori. Quelli che invece hanno rifiutato facili soluzioni e che non hanno rinnegato i propri giuramenti, noi li ricorderemo per sempre come i nostri eroi senza tempo.

Enrico Fagnano

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