Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Il peperoncino rosso come storia

Posted by on Ago 23, 2024

Il peperoncino rosso come storia

La sola identità, che i suditaliani hanno di sé, sono il peperoncino rosso e la frisa arriganata. Quanto al resto, che pure ci sarebbe, è negato; è storia disonorevole. La nostra vera storia comincia in cima al Sempione e finisce alla foce dell’Arno, dalle parti di Pisa. I nostri veri antenati   Gioacchino Murat, Giuseppe Garibaldi, Camillo Benso, la Massoneria, i Medici, i Visconti, i Savoia, la Juventus,  il Milan, la Ferrari; tutta roba che non ci appartiene.  Certo, ogni tanto ci ricordiamo anche della Magna Grecia, ma poi non sappiamo neppure se essa ebbe svolgimento qui o tra la Valle d’Aosta e Zurigo. 

Siamo ubriachi di identità cavourriste, ma poi il primo Bossi che appare sulla scena è libero di prenderci a calcioni sul muso. Ripubblichiamo un articolo dal titolo “Erano veri patrioti i ‘briganti’ che combatterono gli invasori francesi” del compianto amico, Roberto Selvaggi, che molto operò perché gli italiani del Sud riacquistassero coscienza di sé.  Autore di numerosi lavori di recupero della memoria storica, come “Nomi e volti di un esercito dimenticato”, “La Marina napoletana nel 1861”, “Il Collegio Militare a Maddaloni”, ha collaborato con numerosi quotidiani e settimanali: da “Il Mattino” al “Giornale di Napoli”, dal “Tempo” di Roma al settimanale “Il Denaro”.

*

La Lucania è una delle regioni del Sud che più ha sofferto in termini di sacrifici morali e materiali durante le invasioni che nell’800 tormentarono il nostro meridione. Nel 1810 fu infestata da un francese della peggiore specie, inviato anche in Calabria, da Gioacchino Murat [si fa riferimento al famigerato generale Manhes, n.d.r.].

È incredibile […che ] la storiografia ufficiale ci abbia fatto digerire come esempio di grande civiltà un regime sanguinario come quello murattiano. Dal 1806 al 1811 gli Abruzzi, la Lucania e la Calabria furono perennemente in rivolta. Già nel 1799 queste regioni si opposero con tutti i mezzi alla penetrazione francese e giacobina; con il Cardinale Ruffo, calabresi e lucani contribuirono a riconquistare il regno e a cacciare gli stranieri dal paese. Varie campagne di repressione furono messe in atto da Giuseppe Bonaparte prima e da Gioacchino Murat poi, ma l’indomito popolo di quelle regioni non si piegava.

La mistificazione a senso unico della storia del nostro mezzogiorno continua, soprattutto per il periodo che va dalla fine del ‘700 a tutto il 1860.

Per [i nostri] intellettuali […] il popolo del Sud non ha diritto alla dignità e alla verità storica, ma soltanto alla più umiliante rappresentazione folkloristica. Per costoro il popolo ha due facce: quando è quello che si unisce al Cardinale Ruffo per cacciare l’armata francese e i suoi complici, colpevoli soprattutto di voler sradicare con la forza usi, costumi e religione diventa plebaglia, feccia; diventa brigante. Quando invece si presenta sulle posizioni opposte, e quindi facilmente strumentalizzabili, diventa soggetto intelligente e maturo. È però arrivato il momento di fare chiarezza: l’invasione del Regno da parte dei francesi non ha caratteristiche diverse da quelle dell’invasione tedesca nell’ultima guerra per cui, se doverosamente va dato rispetto e dignità a chi, come i partigiani, contrastò con ogni mezzo detta invasione, allora pari dignità e rispetto vanno dati anche ai “Briganti Meridionali”.

La storia ufficiale non ha consentito mai […che ] l’insurrezione popolare calabrese contro i giacobini e i francesi dal 1806 al 1811 [fosse] trattata nelle scuole italiane come un fatto storico, ma come un atto di banditismo, mentre la contemporanea insurrezione del popolo spagnolo contro le truppe napoleoniche è stata ed è considerata uno degli eventi più gloriosi della sua storia.

È certamente il concetto di Nazione a far sì che, in Spagna e ancor di più in Francia, le insurrezioni popolari come quella della Vandea siano rispettate e hanno potuto godere anche in tempi lontani della Giustizia Storica.

In guerra, quasi due secoli addietro, tutto era permesso, ma non è accettabile che questo sia ricordato a senso unico, e soprattutto non è accettabile che non vengano considerate le ragioni di una parte dei contendenti. Nel 1799 Ettore Carafa, giacobino e collaborazionista di una invasione che, è bene ricordarlo, costava alla città di Napoli tonnellate d’oro di contribuzione forzata, fece di molto peggio ai cittadini delle città pugliesi da lui messe a ferro e fuoco.

Su Calabria e Lucania si è preferito enfatizzare la natura del popolo, i suoi costumi, le sue usanze e soprattutto la sua grande e radicata fede cristiana: ma la cultura storica è stata per oltre un secolo predominio ed esclusiva di un intellettualismo composto da soggetti preoccupati di dar lustro all’establishment sabaudo prima e fascista poi, un intellettualismo che ha ridotto il meridione a una massa informe di mani tese verso una elemosina permanente, attraverso la cancellazione della memoria storica di un popolo […]

La guerra dei poveri contro i francesi non fu solo in Calabria e Lucania. Fu presente in quasi tutto il Sud, e in particolare negli Abruzzi dove conobbe momenti di violenza inaudita.

In una lettera che il comandante della provincia di Chieti, Merlin De Thionville invia al generale Lamarque, che lo esortava a passare per le armi tutti gli insorgenti senza eccezione alcuna, esso non risponde in termini conciliativi per la popolazione, ma solo fa notare che la massa dei prigionieri è tale che converrebbe impiccarne una quarantina come esempio, e chiede che gli altri vengano imbarcati su “cattivi battelli”, in modo che questi possano affondare con il loro carico.

Furono comunque le Calabrie e la Lucania la vera Vandea del Sud, e già si era ben visto pochi anni prima, quando il cardinale Ruffo di Bagnara, calabrese anch’egli, sbarcato con una decina di uomini sulle coste della regione, in pochi giorni era stato raggiunto da decine di migliaia di uomini, armati alla meglio, sotto la bandiera della Santa Fede.

In pochi mesi questi valorosi, gli stessi presi a sberleffi dalla storia ufficiale per la loro riservatezza e la loro indole, arrivarono a Napoli e liberarono il Regno dalla presenza dello straniero.

Nel 1806, per la cupidigia napoleonica che andava cercando un nuovo trono da far occupare alla numerosa famiglia, l’esercito francese invase il Regno.

L’esercito napoletano, numericamente e tecnicamente inferiore, si ritirò verso le Calabrie per tentare lì una estrema resistenza: ma non fu l’esercito a impensierire i francesi di Massena. Infatti, battuto con onore a Campotenese, si imbarcò per la Sicilia dove poté essere utilizzato per continuare la lotta e difendere con i denti il suolo patrio.

Sembrò ai francesi di poter effettuare una passeggiata in quella terra inospitale e chiusa, abitata da uomini taciturni e apparentemente inoffensivi, ma non fu così. Quando a Catanzaro un ufficiale francese fu ucciso da un contadino dal tipico nome calabrese, Carmine Caligiuri, perché tentava di violentare sua moglie, scattò la rivolta. Torme di contadini raggiunsero le montagne e i boschi per iniziare la guerriglia. Per quattro anni, dal 1806 al 1810, la regione sarà ricoperta dal sangue di questi partigiani e dei loro invasori. Appoggiati da truppe inglesi e napoletane scriveranno pagine eroiche, come quella dell’assedio di Arnantea, durato molti mesi e terminato con una resa onorevole. Altrettanto accadrà a Scilla, a Crotone, alla stessa Reggio Calabria, ma la fiamma non si spense mai. Solo con l’arrivo a Potenza del generale Mahnes, inviato da Gioacchino Murat con pieni poteri, e con le commissioni militari che decretarono centinaia di condanne a morte, la rivolta si placò e fu domata.

Sul campo rimasero quindicimila francesi e ventimila tra calabresi e lucani, ma rimase anche il ricordo di quegli anni che non si cancellò mai, e l’amarezza di essere considerati banditi e non patrioti.

Spagnoli, francesi e americani del Sud ci hanno insegnato che anche quando si perde occorre conservare la memoria di una epopea, per poter tramandare ai propri figli l’orgoglio e la dignità: agli italiani del Sud questo non è stato consentito.

Roberto Selvaggi

Da “IL SUD” del 25 gennaio 1997

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.